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«Che futuro avranno agricoltura e le risorse che le ruotano attorno?»

L’intervento dell’associazione “Amici del Nure”

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di IlPiacenza

In questo periodo di superato fermo delle attività e dei paventati pericoli legati all’approvvigionamento alimentare specialmente del grano, ci domandiamo che futuro avrà l’agricoltura nazionale e come sarà importante riflettere su nuove strategie che tutelino sia il reddito degli agricoltori sia la salute delle persone e dell'ambiente.

Dai dati oggettivi pubblicati anche sulla stampa nazionale, si desume questa situazione generale:

  • l’Italia risulta essere un paese autosufficiente per vino e riso, molti di questi prodotti però, provengono dall'estero mentre i nostri, anche di qualità superiore, li esportiamo e in  tal modo si raggiunge l'equilibrio dell'autosufficienza;
  • siamo carenti nel comparto molitorio, l’Italia infatti dipende per il 40% da farine e semole provenienti dall’estero e circa il 45% delle materie prime per pasta made in Italy  arriva da altri Paesi dove può essere una pratica diffusa l’utilizzo del glifosato per la sua maturazione. È così che vi si ritrovano residui nelle farine con le evidenti problematiche connesse.
  • La nostra forza storica di produzione dell'olio d'oliva soddisfa oggi il 40% dei nostri fabbisogni e il restante 60% è importato dall'estero.   – fonti Federalimentare -

Ma non eravamo il Belpaese rappresentate della dieta mediterranea che ha alla base pasta e olio?

Qui allora qualcosa non funziona per il reale fabbisogno nazionale!

Se si guardano più in specifico alcune realtà più locali:

  • nella regione Lombardia, che ha un livello di cementificazione dei suoli pari al 25%,  circa la metà della  coltura del mais, che è molto idroesigente , è dedicata alla produzione di biogas ; questo significa togliere molto potenziale alimentare sostenendo un elevato consumo di risorse;
  • anche in provincia di Piacenza, qualche impianto funziona solo con colture dedicate, ma il numero maggiore è di biodigestori funzionanti da deiezioni animali che usano fino al 20-25% della materia organica fermentante in mais per economizzare rese e costi di produzione sia della linea dell’allevamento bovino che di produzione dello stesso mais. Scarso è il quantitativo di recupero da scarti di trasformazione alimentare.
  • nella provincia di Piacenza si produce almeno il 28% del pomodoro di tutto il nord Italia, e se si guarda la produzione totale dell’areale settentrionale, viene esportato all’estero almeno il 40%, (e come ben si sa è una coltura molto idroesigente)  . Fonte ANICAV .

Ciò evidenzia una economia dell’alimentare non allineata con il reale fabbisogno umano locale con una distribuzione molto disomogenea delle colture implicando un grande consumo e sperpero di risorse tra acqua e suoli.

Questo quadro rientra in un contesto di rotazioni agrarie forzate che non rispettano il riposo del terreno e il suo reintegro di sostanza organica. Ciò comporta una perdita nella capacità di ritenzione idrica, la riduzione dell’assorbimento durante eventi piovosi intensi che creano ambienti asfittici per lo sviluppo radicale, aumentata evaporazione durante i periodi più asciutti e una maggiore resistenza alle lavorazioni meccaniche con conseguenti maggiori consumi di carburante. Basti pensare che un suolo all’inizio del secolo scorso aveva un contenuto medio del 5% in sostanza organica mentre oggi è circa dell’1%.

Ma ben sappiamo che tutte le politiche agricole sono state regolamentate da diversi anni a oggi anche attraverso contributi.  Secondo un articolo di agrifoodtoday del 9 marzo scorso, 3600 esperti della coalizione “Cambiamo Agricoltura” di 36 Paesi di cui 240 italiani, queste politiche comunitarie e contributi, sarebbero responsabili nell’aver favorito solo grandi allevamenti intensivi, perdita di biodiversità e non hanno aiutato gli agricoltori perché non si sono raggiunti gli obiettivi socio-economici per le aree rurali. Bensì, si è favorita la distruzione di natura, favorito l’inquinamento senza portare vantaggi significativi a lavoratori e imprese.

Se poi si prende in considerazione che addirittura parte dei vegetali prodotti vengono mandati alla fermentazione per generare energia elettrica si completa il quadro. Queste colture non possono essere definite un sistema rispettoso dell’ambiente perché pur sempre si usano grandi quantitativi di acqua e antiparassitari per garantire la salute delle piante a seguito anche di una rotazione agraria compromessa e sostituita spesso e volentieri da una monocolturale a mais. Si sostiene che limita poi il diffondersi di malerbe e quindi il vantaggio ambientale è dato da una riduzione di diserbanti, ma si ricorda che nei principi della tecnica produttiva biologica, grazie all’ adeguata rotazione agraria, la tecnica della falsa semina e poi anche solo una lavorazione superficiale di scarificazione del suolo interfilare permette l’eliminazione delle malerbe e con basso consumo di carburante. Altrimenti come potrebbe una nazione come la Danimarca, seppur piccola, orientarsi alla totalità della produzione agraria di tipo biologico con tutti i vantaggi che ne derivano anche come salute dei suoli, delle acque oltre che di quella umana? Fonte - https://www.cambialaterra.it/2019/05/troppi-danni-alla-salute-la-danimarca-pronta-a-dire-addio-ai-pesticidi/

Ci chiediamo anche:

come è possibile un guadagno nella fornitura di energia elettrica da biogas e il latte all’azienda svalutato da lotte sui prezzi decennali? Può risultare più socialmente produttivo il gas da escrementi e fermentazione del mais, piuttosto che un alimento!?  Così come la tensione sui prezzi del pomodoro, per guadagni spesso lamentati risicati e tutti gli anni del trasformato fermo nei magazzini per un’esportazione anche del 40%. Il grano poi? Per nulla autosufficienti e inserito all’interno delle rotazioni agrarie solo per garantire una sorta di riposo del terreno e garantirsi la PAC dato che il prezzo è sotto stimato e difficilmente copre i costi di produzione, anche se come ben si sa non richiede irrigazione, poco concime e poche lavorazioni.

Di fronte a un simile scenario si crea questa situazione infelice e: salute e benessere umano e ambientale alterati.

Ciò necessita al più presto di un riequilibrio con i reali bisogni locali e le dinamiche ambientali.

A volte ci viene in aiuto la tecnologia. Molte iniziative si stanno avviando in Italia : ad esempio si sta realizzando risparmio idrico tramite l’uso della microirrigazione e altri sistemi tecnologici, grazie a progetti come quello Veneto Ri-genera promosso da ENEA in Veneto e la collaborazione di Coldiretti Padova e altri firmatari, si da una nuova vita agli edifici abbandonati tra capannoni, caserme e magazzini, riconvertendoli in serre, che grazie a sistemi verticali di coltura delle piante orticole intensive, realizzano riduzioni di consumo di acqua anche ben oltre l’80% e il non utilizzo di insetticidi e diserbanti. – Fonte articolo La Nuova Ferrara del 10/03/2020 -.

Ci si augura che di fronte a certe gravi problematiche che si sono rese palesemente evidenti a seguito della situazione virale che tutti stiamo vivendo, si possa cambiare rapidamente rotta.

Ass. "GLI AMICIDELNURE"

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