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Cultura e monumenti piacentini, ecco qualche piccola sciatteria facilmente risolvibile

Altre situazioni problematiche sulla conservazione del patrimonio monumentale e culturale della nostra città

“Qui habet aures audiendi, audiat”; chi ha orecchi per intendere, intenda. Altre situazioni problematiche sulla conservazione del patrimonio monumentale e culturale della nostra città.
Il corposo dossier sulla propensione di Piacenza a valorizzare al ribasso la sua storia, fornito dalla serie di articoli sulla situazione delle mura farnesiane e in particolare da quello che evidenziava il degrado di tratti civici delle mura farnesiane (condivisi anche da una interrogazione dei consiglieri Piroli e Fiazza al Sindaco e alla Giunta), si accresce delle problematiche che seguono, risolvibili, volendolo, senza difficoltà. 
Fra via Gaspare Landi e via Mochi su una pietra angolare è scolpita l’iscrizione “MDXCV / VIA COLONA” che indica, presumibilmente, quello che al tempo dei Farnese doveva essere il nome dell’attuale via Mochi (intitolazione del 1951), la strada che dalla via Landi conduce allo Stradone Farnese, e successivamente divenuta Cantone di San Bartolomeo. La denominazione originale sarebbe derivata dal particolare di un tempietto religioso che vi sorgeva. Secondo alcuni studiosi di cronache piacentine, che confermano l’attendibilità della datazione 1595, la denominazione sarebbe invece da attribuire a via Gaspare Landi, che nel Seicento avrebbe mutato il nome in via delle Cappuccine perché al termine di essa, ma nell’attuale via Torta, vi era un monastero dedicato a S. Carlo, ma con il fronte rivolto alla stessa strada. Nel 1887 la strada fu ribattezzata con il nome del grande pittore piacentino Gaspare Landi. 

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Sia come sia, la vista della pietra angolare è disturbata da un palo della segnaletica stradale, mente la sovrastante targa che indica il nome attuale della via Mochi e quello precedente, è impallata dal cartello della segnaletica stradale. 
Spostandoci nel cortile di Palazzo Farnese in una nicchia compresa tra l’antica torre e l’innaturale porta di cui diremo, è appoggiata sulla nuda terra, tra ciuffi di erba secca, la statua di un’anonima figura femminile simbolicamente “protetta” da una catenella che se sfiorata si sgancia e cade; nei pressi abbandonata a terra e appoggiata al muro, una lapide commemorativa che “con orgoglio ricorda quando si costituì in data XV marzo MCMXV la Brigata Piacenza e il suo compito nobilmente ...”. 

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Queste tre segnalazioni sono certamente meno imbarazzanti del degrado di Porta Borghetto & Co., ma sono comunque indice di altra sciatteria eliminabile però con poche mosse. Facciamo nostra la locuzione contenuta in una lettera del 18 giugno 1544 rinvenuta nel carteggio del duca Pier Luigi Farnese “Qui habet aures audiendi audiat”, chi ha orecchi per intendere, intenda. 

I RESTAURI DEGLI ANNI SESSANTA
Situazioni imbarazzanti devono averle provate anche i progettisti e i committenti che negli anni Sessanta del secolo scorso, avrebbero messo in atto “una cieca pratica autodistruttiva nel disinvolto cantiere di restauro”. Il severo giudizio è espresso dall’architetto Marco Dezzi Bardeschi che lo motiva nelle pagine del documentato epilogo che chiude l’importante libro “L’architettura Farnesiana a Piacenza 1545-1982” di Bruno Adorni, già richiamato in un precedente nostro articolo sulle vestigia farnesiane. In sostanza l’architetto condanna la conservazione (mancata) del patrimonio monumentale e l’irreversibile alterazione di un ambiente storico così altamente caratterizzato come quello dei Farnese, con l'invito a riflettere “se si vuole evitare nel prossimo futuro ulteriori inutili massacri di risorse e memorizzanti perdite di identità dei nostri più prestigiosi ambienti urbani. Qui habet aures audiendi audiat”. 

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L’architetto Bezzi Bardeschi elencava tra le “sopraffazioni” messe in opera, anche le drastiche intolleranti demolizioni delle copertura, dei solai, dei pavimenti, degli intonaci e l’abbassamento della cosiddetta Palazzina Pier Luigi (foto ieri e oggi), lo svuotamento della torre cilindrica e soprattutto l’idea della “paradossale” porta e torre d’invenzione lungo il perimetro a nord. 

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