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«In Italia la sicurezza è vissuta come un obbligo e poco interessante: colpa di un’errata comunicazione»

Intervista al piacentino Davide Scotti, fondatore di "Italia Loves Sicurezza", progetto della fondazione Lhs di Saipem. Obiettivo: rivoluzionare il modo di fare e percepire la sicurezza nelle aziende e nella società

«La sicurezza, questa sconosciuta». A leggere queste parole viene da pensare che sia un’affermazione forte, a tratti anche sbagliata, forse scorretta.

Eppure, nel 2019, nonostante i grandi cambiamenti sociali e le infinite innovazioni tecnologiche - dai più recenti cani robot addetti a trasportare carichi pesanti, fino ai vari dispositivi mobili capaci di gestire l’intera domotica delle nostre case - in Italia, ogni giorno, tre persone perdono la vita sul posto di lavoro e altre nove muoiono sulle strade, spesso nel tragitto casa-lavoro. I numeri a livello internazionale sono ancora più impressionanti: si contano 6.300 vittime ogni giorno e seicento persone ogni minuto hanno un incidente sul lavoro. È il bollettino di una guerra che continuiamo a combattere, e a perdere.

Tragedie dall’impatto umano altissimo: ma siamo davvero sicuri di star facendo tutto il possibile per ridurre l’incidenza di queste disgrazie?

Per analizzare meglio la situazione italiana - ma non solo - abbiamo chiesto aiuto al piacentino Davide Scotti, fondatore di “ILS - Italia Loves Sicurezza”, un movimento di persone unite dalla stessa passione per salute e sicurezza; un network di uomini e donne che credono nella necessità di rivoluzionare il modo in cui questi temi sono comunicati e vissuti, adottando canali di comunicazione basati sulla partecipazione, sul coinvolgimento e sull’emozione.

«Fin dal principio della mia carriera lavorativa mi sono occupato di sicurezza, ma la passione per questa tematica è nata da un insieme di accadimenti, il più importante avvenuto nel 2006 durante una vacanza in Thailandia - racconta Scotti - Sono stato vittima di un brutto incidente in motorino, in un Paese nel quale la sicurezza stradale e personale non è particolarmente sviluppata. Sono qui a raccontarlo solo perché indossavo il casco, che ho preteso quando sono andato a noleggiare lo scooter: il servizio non me l’aveva neanche fornito e, in generale, nessuno lo indossa in quei Paesi».

Piacentino Doc e tifosissimo del Piacenza Calcio, Davide Scotti fa le valigie nel 1997 per rientrare in Italia nel 2005, dopo aver conseguito la laurea in Management Studies in Scozia e aver trascorso otto anni in Gran Bretagna.

Nel 2006 entra a far parte di Saipem, azienda che ne intuisce le doti e il potenziale per avviare un programma di Health and Safety e contribuire a generare un grande cambiamento culturale. Viene così creata la Fondazione LHS – Leadership in Health and Safety - un’organizzazione no profit con la missione di accrescere la cultura della sicurezza a livello industriale e sociale attraverso l’utilizzo di linguaggi non convenzionali come il teatro, il cinema, la musica e il coinvolgimento dei bambini.

Lhs promuove la metodologia “Leadership in Health and Safety”: le strategie e gli strumenti utilizzati sono pensati per agire sul cuore e sulla mente delle persone, dando loro la motivazione e gli strumenti per diventare leader nella sicurezza, ogni giorno e in ogni ambito della propria vita. A tal fine, sviluppa strumenti pratici per rendere più responsabili i lavoratori di tutti i livelli nei confronti della salute e sicurezza propria e delle persone coinvolte dalle loro attività, giungendo in questo modo alla creazione di veri e propri Safety Leader.

L’intuizione di Scotti arriva nel 2016, per far crescere esponenzialmente le attività della Fondazione e cercare di portare il proprio messaggio a quante più persone possibili: da qui la creazione del progetto “ILS - Italia Loves Sicurezza”. «La Fondazione, da sola, aveva dei limiti sia a livello di risorse, sia a livello umano», spiega. «Se avessi trovato una rete di persone che avesse avuto a cuore l’argomento e avesse replicato nelle proprie città e aziende quello che facevamo, avrei messo loro a disposizione gli strumenti per farlo. L’idea è stata apprezzata ed hanno iniziato ad aggregarsi diverse persone - i nostri “ambassadors” - che il primo anno hanno fatto 100 eventi, il secondo 300, il terzo 700 e che, ad oggi, sono arrivate a più di 1700 eventi in 4 anni in tutta Italia».

Portare la cultura della sicurezza nel nostro Paese: un’idea che nasce dal problema.

«Purtroppo, in Italia, la sicurezza viene vissuta come un obbligo e qualcosa di poco interessante: è l’errata comunicazione ad aver portato a questa concezione. Finché si parla solo di leggi, imposizioni e regole, la sicurezza non viene percepita come un valore e genera un problema molto più grande, ovvero che ogni giorno abbiamo tre morti sul lavoro e nove sulle strade».

Un percorso impegnativo, un lavoro in cui risulta evidente quanto ancora ci sia tanto, tantissimo da fare; e da prendere esempio, soprattutto dai Paesi del nord Europa. «I nostri dati sono sotto la media europea: i Paesi più virtuosi sono quelli del nord, Gran Bretagna compresa. I loro dati dicono che, sullo stesso numero di lavoratori, ci sono meno di 200 incidenti mortali all’anno sul lavoro, mentre da noi sono più di mille. Anche sulle strade, nonostante un clima più sfavorevole e se vogliamo anche pericoloso, gli incidenti mortali sono meno della metà dei nostri: 3600 contro 1500», continua Scotti. «In questi Paesi hanno una percezione molto più alta dei rischi e delle conseguenze delle proprie azioni, oltre ad un maggiore rispetto delle regole: anche le loro campagne di sensibilizzazione sono molto forti a livello emotivo, d’impatto, crude, da pugno nello stomaco. Da noi un tipo di comunicazione del genere, ad esempio all’ora di cena, è impensabile».

Rivoluzionare il modo di fare sicurezza in vari ambiti: «I numeri degli incidenti in Italia sono altissimi rispetto alla media europea. Al giorno d’oggi, gran parte di quelli stradali sono causati dalla distrazione, ma anche dal mancato utilizzo delle cinture di sicurezza. I passeggeri dei sedili posteriori, ad esempio, non le usano quasi mai», continua Scotti. «Questo è anche dovuto dal fatto che in Italia non c’è una cultura della comunicazione: molte persone non utilizzano la cintura perché non ne conoscono le conseguenze. Spesso, negli incidenti, il guidatore rimane illeso mentre i passeggeri perdono la vita perché vengono sbalzati fuori dall’abitacolo, sintomo evidente del mancato utilizzo del dispositivo».

E a livello locale, qual è il rapporto tra i piacentini e la sicurezza? «Mi piacerebbe diffondere questa tematica ancora di più nel nostro territorio, ma essere profeta in patria è sempre molto complicato», confessa Scotti. «Piacenza è nella media italiana, anche se a livello industriale, nell’ultimo anno abbiamo avuto il maggior incremento di incidenti mortali sul lavoro rispetto alla media regionale».

Infine, consigli utili da applicare nel quotidiano: «Focus e prendersi più cura del prossimo», conclude Scotti. «Il primo perché ci manca l’attenzione: viviamo in un’epoca iperconnessa, piena di distrazioni e tentazioni che ci fanno sempre essere con la testa da un’altra parte e ci tolgono dal presente; il secondo perché siamo un Paese profondamente individualista, e quando si tratta di sicurezza è importante prendersi cura di sé stessi e delle altre persone, in quanto ciò che noi facciamo può avere un impatto sugli altri, e quello che fanno gli altri può averlo su di noi. Dobbiamo imparare ad essere intolleranti verso i comportamenti pericolosi».

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