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Giovannino Guareschi: lo scrittore più tradotto al mondo oltre "Don Camillo e Peppone"

Il “Mondo piccolo”, don Camillo, Peppone. La genialità di Guareschi ricordata da Lodovico Lalatta in un’affollata conferenza della Dante Alighieri e della Famiglia Piasinteina

Parlare di Giovanni Guareschi e pensare a “Don Camillo” e “Peppone” è un tutt’uno.  Ma Guareschi (1908-1968) non ha solo creato questi due personaggi, espressione di una realtà concreta del dopoguerra, ma è stato giornalista (La Gazzetta di Parma, La Notte, Oggi), umorista e satirico (il Candido, Il Borghese, il Bertoldo), vignettista e scrittore “più tradotto” al mondo. La Società “Dante Alighieri” in collaborazione con la “Famiglia Piasinteina” lo hanno ricordato con una conversazione-conferenza del giornalista Ludovico Lalatta (con interventi anche dell’assessore alla Cultura Jonathan Papamarenghi, del dottor Luigi Swik in rappresentanza del Prefetto e di ufficiali dell’Arma dei Carabinieri).

Il successo del “nostro” Giovannino della “Bassa Padana” - ha detto Lalatta - trova fondamento nella sua genialità intellettiva, genuinità, schiettezza stilistica espressa nelle sue opere, con immediatezza di linguaggio incisivo, corretto capace di “coinvolgere” il lettore, così come lo spettatore nella celeberrima “serie” dei film di Don Camillo con gli insuperabili Fernandel e Gino Cervi. Il “mondo piccolo” di Guareschi, cioè della nostra “Bassa Padana”, è intriso di umanità e sapiente umorismo anche ove si tratti di realtà non sempre allegre di fine anni ’40 e degli anni ‘50. Guareschi era una sorta di bastian contrario, ma sempre al servizio della verità e della pulizia. Ruvido di carattere, la sua “penna” era irriverente, ma si trattava di quella ruvidezza intrisa di sincerità, spontaneità, amore per le cose belle e giuste, per la sua gente, e donava questo sentimento proprio attraverso pagine divertenti ma nel contempo pungente. E ciò si specchia pienamente in Don Camillo e in Peppone, ove le ben note rivalità per contrapposte “fonti” di appartenenza non sfociano mai in astio, ma sempre in senso di amicizia e di buonsenso con pronti reciproci ausili, specie poi ove vi sia di mezzo il bene comune. E altrettanto vi è tutto Guareschi “nella” voce del Cristo Crocifisso, severo e umano, ironico e misericordioso, attraverso cui è la “coscienza” dell’autore a parlare la quale coincide con la coscienza cristiana, mettendo in evidenza debolezze e carità, pregiudizi e verità, ma mai cose contrastanti con l’insegnamento evangelico.

Guareschi era un autentico cristiano, non amante di fronzoli, né di omelie retoriche; un pragmatico e concreto attuatore del messaggio cristiano, forse talora con un po’ di rudezza, ma vero e rigoroso sulla religione di Cristo. D’altronde, Papa Giovanni XXIII gli aveva proposto di redigere il nuovo Catechismo, invito declinato da Guareschi per umiltà. Come pure, in anni recenti, lo stesso Ufficio Catechistico in Vaticano ha mirato ad uno stage per catechisti proprio attraverso le opere di Guareschi, avendone compreso lo “spirito” e la “non-datazione”.

In un suo “pezzo” sul “Candido - ha ricordato Lalatta nel corso dell’affollata conferenza, intervallata da letture di brani di Guareschi e accompagnata da appropriate immagini - Giovannino scriveva: “Non termino dicendo: Dio è con me. Concludo esprimendo l’ardente speranza di essere io, con Dio!”. Così come, da anticomunista quale egli era, è rimasta “storica” la voce di Don Camillo in piena campagna elettorale, dicente: «Nell’urna,... Dio ti vede, Stalin no!».

Oltre ad aver sofferto il lager nazista in Germania, Guareschi ha vissuto il carcere per diffamazione a mezzo stampa, ingenuamente cadendo in un vile tranello tesogli da chi poi, scopertasi dopo la verità, riuscì ad evitare l’arresto fuggendo in Sudamerica. Ma Guareschi non volle fare “Appello”. Non condannò la Legge, ma disse sempre che “il modo ancor m’offende”. Alla sua morte per infarto, la stampa più ... gentile lo ignorò e ai funerali, semplici e senza alcuna persona di ruolo pubblico, erano presenti gli unici suoi veri amici di sempre, fra cui Enzo Biagi, Nino Nutrizio, Carlo Manzoni, Giovanni Mosca, nonché l’ing. Enzo Ferrari. Se ne andava colui che aveva sempre sostenuto che «il Po comincia  a Piacenza. E non interessa che la sua sorgente sia più su. I fiumi che si rispettano si sviluppano in pianura, ed è lì che conservano tutta la loro naturale dignità».

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