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Martedì, 23 Aprile 2024

“Forse che sì, forse che no". Il possibile significato dell'enigmatica epigrafe

Non si conosce la datazione della scritta, che appare comunque piuttosto antica. Nel merito, alcuni studiosi locali hanno ipotizzato che l'epigrafe sia stata collocata al tempo di Napoleone, quando di fronte al palazzo sorgeva il convento femminile dello Spirito Santo

Iniziamo la cronologia dell’anno 1895 su briciole di fatti spiluccati dal libro "Sei anni di vita piacentina (1894-1899) giorno per giorno", a cura di Corrado Sforza Fogliani e Antonietta De Micheli, fornendo la risposta a un lettore che ha chiesto spiegazioni sulla enigmatica frase che ricorre in questa nostra rubrica e che si può osservare percorrendo il primo tratto di via Campagna, all'angolo di via San Tomaso, scolpita sul palazzo Paveri Fontana-Anguissola. Non si conosce la datazione della scritta, che appare comunque piuttosto antica. Nel merito, alcuni studiosi locali hanno ipotizzato che l'epigrafe sia stata collocata al tempo di Napoleone, quando di fronte al palazzo sorgeva il convento femminile dello Spirito Santo. Scrive Cesare Zilocchi nel Vocabolarietto di curiosità piacentine’, edito dalla Banca di Piacenza, “Forse che sì forse che no. Sostengono gli storici che tutto scaturì da una controversia per un balcone fra le monache di un convento ivi allogato (dal 1615 al 1810) e il confinante.Ma il popolino ci ricamò una propria versione più salace. Dietro le mura del chiostro una spregiudicata badessa organizzava allegri festini. L’autorità ecclesiastica aprì allora un’inchiesta.Forse perché erano calunnie senza fondamento, forse perché nella pruriginosa vicenda erano implicati nomi eccellenti, l’indagine finì in niente.La spiritosa badessa – gongolante – esibì quella sibillina frase per irridere la pubblica opinione”.

L’epigrafe è ricordata anche in un capitolo del recente volume “Piacenza. Storie di una città” dell’architetto Manrico Bissi, edito dalla Banca di Piacenza, nelle cui pagine è richiamata la diatriba del balconcino citata da Zilocchi, osservando che la successiva chiusura napoleonica del monastero, rese nulla tale opposizione; i proprietari del palazzo poterono così realizzare il loro affaccio (oggi scomparso), ridicolizzando il precedente divieto con quella singolare citazione. Per quanto divertente - osserva Bissi - tale racconto trascura un significativo collegamento storico tra il motto piacentino e un suo omologo diffuso a Mantova.

Tra i tanti sovrani di questa città si ricorda infatti in particolare il marchese Francesco II Gonzaga (1466-1519), grande condottiero e marito di Isabella d'Este, il quale scelse come proprio motto araldico una frase tanto celebre quanto sibillina: "Forse che sì, forse che no”. Tale motto si trova ancora oggi raffigurato insieme allo schema di un labirinto in una delle sale del Palazzo Ducale di Mantova. Secondo la versione turistica ufficiale, tanto il motto araldico così come il simbolo esoterico del labirinto,esprimerebbero le numerose incertezze legate alla fragile condizione dell'Uomo, inconsapevole del proprio destino. Nel 1521, evidenzia l’architetto Bissi, nel palazzo Scotti da Fombio in via G. Taverna, soggiornò il duca di Mantova Federico II Gonzaga, non a caso figlio del marchese Francesco II,che aveva adottato questa frase come suo personale motto araldico. Casualità? Coincidenza? Forse che sì... forse che no.

A PROPOSITO DI “SLAREI”

Ritorniamo sulla notizia pubblicata in una precedente puntata, tratta da “Il Progresso” del 18 giugno 1894, relativa la morte di Agostino Betti, 73 anni, noto sotto il nomignolo di "Slarei”:

“Ardente patriota era il braccio destro degli amici del Piemonte. Il governo provvisorio del 1848 lo aveva tra i suoi più fedeli e più attivi collaboratori. Delegato dal popolo, era lui che organizzava nel marzo del 1848 le dimostrazioni e luminarie. Fu proprio 'lui che, salito una sera a palazzo Landi dal marchese Gianbattista, gli manifestò il desiderio del popolino perché venissero, per l'arrivo tra noi di Vincenzo Gioberti, illuminate le finestre della illustre casa. Fu l'uomo di fiducia dei Fioruzzi, dei Germani, dei Giarelli, dei Maggi, dei Salvetti, dei Mischi, degli Sforza Fogliani, degli Anselmi e di tanti altri che mantenevano continua corrispondenza col Piemonte, rischiando le manette.“

Ci segnala GUALTIERO SALVETTI, a proposito di “Slarei”, che il padre Vincenzo raccontava che lo studio dell’avv. Stefano Salvetti (1813-1880), in via S. Eufemia, era all’epoca un vero covo di cospiratori dove i Fioruzzi, i Mischi, gli Sforza Fogliani ecc. si riunivano nelle ore notturne. E non solo rischiavano le manette, ma una notte scattarono davvero ai loro polsi per  l’irruzione della polizia ducale che da tempo li teneva d’occhio.“Slarei” aveva il compito di segnalare ai cospiratori eventuali movimenti sospetti nella via durante le riunioni.  Pare che il grido d’allarme di “Slarei” fosse: ”Les merdoniers”.

“Forse che sì, forse che no". Il possibile significato dell'enigmatica epigrafe

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