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A cura di Carlo Giarelli

Dosi, sindaco grigio ma dotato di buon senso e onestà

Capisco che questo mio profilo del sindaco del tutto soggettiva perché basata sul sentito dire, susciterà perplessità e non farà piacere a molti. Forse anche a quelli che come me si sentono di condividere idee liberali. Ma nel caso di un primo cittadino a mio avviso più che di ideologie, vere o presunte, meglio parlare della sostanza dell’uomo

Mi ha colpito l’articolo scritto da Filippo Mulazzi sul sindaco Dosi pubblicato su questo giornale il 3 novembre. Quale il motivo? Quello che lo stesso Dosi dice a proposito del nuovo sindaco, qualunque esso sia, che nel 2017 deluderà i piacentini. Cosa vuol dire. Che lui stesso ha deluso? Oppure che è deluso da come stanno andando le cose o di come evolveranno nel tempo? Continuando a leggere l’articolo, mi sembra di cogliere una linea difensiva che non si sposa col pensiero di una sua delusione, come pure quella prevista, riguardante il sindaco che verrà. Infatti riferendosi al 2014, egli elenca una serie di cose fatte che in effetti dovrebbero rimuovere tale sospetto. 

Sintetizzo, limitandomi di citarne solo alcune: piano di sviluppo comunale, nuovi rapporti col Demanio, acquisizione da parte del Comune di Palazzo Farnese, progetto di sistemazione di Piazza Cittadella (già in fase avanzata), riqualificazione di via Dante, recupero del Bastione di Porta Campagna etc. E allora? C’è contraddizione? Poiché, è possibile, vale allora la pena cogliere la palla al balzo e nel bene e nel male parlare un po’ del nostro sindaco. 

Comincio col dire che non lo conosco se non per il buongiorno o il buonasera che ci scambiamo quando ci vediamo. Ma se non c’è conoscenza personale, ce n’è un’altra legata al parere delle persone con cui mi confronto (anche per il mestiere che faccio). Insomma senza pretendere di cogliere il vero, qual è la vulgata? Che è un uomo  fondamentalmente onesto, culturalmente attrezzato ma che manca di mordente. Il che vuol dire in pratica poco decisionista e dunque un non leader. Prendiamo per buona questa tesi e argomentiamo. 

Il decisionismo che si può confondere con l’efficienza del fare è sempre un valore? Apparentemente sì, viene spontaneo dire. Vedere risolvere nell’immediatezza un problema è spesso gratificante e nello stesso tempo spinge a portarsi avanti, verso il nuovo che avanza. E poi in una società come la nostra dominata dal consociativismo spesso paralizzante, l’immagine dell’uomo solo al comando, rappresenta sempre un desiderio, non sempre confessabile, collocato nella mente di ognuno. Alla stagnazione, si contrappone il dinamismo del fare che  è infatti la premessa psicologica oggi indispensabile per auspicare la nascita del leader. Anzi di un leader senza nemmeno troppo sottilizzare quale sia la sua cultura politica.  

Se poi il fare si riduce solo al dire, come succedere per il nostro presidente del Consiglio Renzi, si constata come anche la sola parola è bastante spesso per far uscire il cittadino dalle sabbie mobili della cosiddetta paralisi delle indecisioni che hanno un solo nome, burocrazia. 

Ma ritorniamo al nostro uomo che anche nel dire non brilla di certo. È infatti  obiettivamente opaco, mancando di quello smalto fascinoso che oggi si pretende dai leader. Intellettuali spesso che manovrano le parole molto meglio delle cose da fare. Gli stessi che un certo Alexis de Tocqueville, l’autore della Democrazia in America, chiamava intellettuali politici. Quelli insomma che si schifano della realtà così com’è, infarcita delle inevitabili modestie del vivere quotidiano. Attratti come sono dalle loro idee utopiche costruite a tavolino che affascinano nell’immediato, ma che a lungo andare quasi sempre diventano pericolose.  

Inutile fare esempi, basta leggere i vari “ismi” riportati nei libri di storia. Ebbene, possiamo tranquillamente dire che per il nostro primo cittadino, questo rischio di pericolosità non esiste. Il suo fare lento infatti o il suo fare paralizzato da lunga e macchinosa mediazione se può essere letto in chiave negativa, non è detto lo sia sempre, nel giudizio della storia. Quante cose infatti fatte per ubbidire all’imperativo dell’efficienza reggono al giudizio del tempo? Insomma la lentezza legata alla ponderazione e (spesso) al buon senso, sono sempre negatività da condannare? La paralisi decisionale è sempre un marchio di incapacità o di infamia?  Certamente sì, se guardiamo ai (pochi) esempi positivi che la storia ci tramanda (ricordate l’età di Pericle?). Ma se dall’alto di queste egregie cose cadiamo, pure  rischiando il senso di vertigine, a quelle usate di casa nostra ci viene alla mente un esempio che ci riguarda. Guardiamo le nostre mura che anche negli Anni 50 e 60 vennero in parte abbattute per sostenere le nuove necessità del traffico. Chi oggi farebbe tale scempio? 

Ma non divaghiamo e ritorniamo al nostro sindaco che come detto non è un  presenzialista. Tanto che se non possedesse la vocazione di previlegiare la concertazione (un po’ in odore di catto-comunismo, vero?) nonché il compromesso, potrebbe essere ascritto alla categoria dei conservatori. Alla quale tranquillamente mi sento di appartenere. Comunque detti i difetti vediamo ora cosa c’è dalla parte opposta per scoprire come la bilancia, spostata dal peso dell’onestà, cada verso quest’ultima qualità da molti riconosciutagli. Vi par poco? Specie oggi, dove per i numerosi scandali, questa obsoleta e disprezzata virtù sembra in via di estinzione? 

Capisco che questo mio profilo del sindaco del tutto soggettiva perché basata sul sentito dire, susciterà perplessità e non farà piacere a molti. Forse anche a quelli che come me si sentono di condividere idee liberali. Ma nel caso di un primo cittadino a mio avviso più che di ideologie, vere o presunte, meglio parlare della sostanza dell’uomo. E se questo spinge la carriola del quotidiano nonostante una certa, presunta lentezza (ma senza far cadere i pezzi), non mi sento di far parte della categoria dei critici a partito preso. Anzi dirò di più. Per me il sindaco ideale è quello che resiste alla sollecitazione dei media per non alienarsi gli elettori. E quindi al giudizio dei cosiddetti interpreti del modernismo a tutti i costi, spesso maitres a penser di teorie vuote che vorrebbero imporre la loro cosiddetta verità. Critici a prescindere, spesso arroganti, la cui pericolosità ce la ricorda ancora lo stesso Tocqueville: “meglio un politico mediocre, un modesto amministratore che il più brillante degli intellettuali (e aggiungo io dei leader improvvisati)”. 

E allora com’è il nostro sindaco? Voi cosa dite? Se aggiungeste che ogni sindaco dovrebbe continuare a svolgere anche una sua professione per non perdere di vista la stretta vicinanza fra i due fare: quello lavorativo e quello politico, mi trovereste ancor più d’accordo. In conclusione se anche l’uomo di cui discettiamo appaia grigio e forse anche mediocre, secondo il parere dei soliti confidenti, a me sembra che questi difetti siano abbondantemente compensati dall’onestà. E da un umile buon senso che pur gli viene attribuito, una qualità questa che mai viene sufficientemente stimata nei tempi che corrono. Lo dice un suo oppositore, di idee e di visioni del mondo, che  forse per questo si guadagnerà anche la disistima di qualche amico, ideologicamente più ideologico di me. Ma che importa. Essere liberali vuol dire prima di tutto essere liberi. Ed io, nel mio piccolo, cerco di esserlo.

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