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Anticaglie

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A cura di Carlo Giarelli

Elogio del chirurgo contra venena (i virologi)

Ed eccoci arrivati al terzo ed ultimo elogio. Stavolta l’argomento è di tipo medico ma poi non tanto. Anzi più che di tipo medico in senso stretto, diventa l’occasione per fare considerazioni semiserie utilizzando analogia filosofiche, psicologiche, letterarie e financo etico- religiose per contrapporre l’elogio di una categoria di medici ad altri. E qui mi riferisco ai virologi, agli infettivologi e a quant’altri agiscono sulle malattie non utilizzando il bisturi, ma altri mezzi. Insomma per dirla tutta, parlerò di una contrapposizione fra chi in base ad un apoftegma popolare parla di chi non sa niente ma sa fare tutto, il chirurgo, ed invece chi sa tutto ma non sa fare niente, l’internista o nel caso specifico, l’infettivologo. Con questa premessa già si capisce l’intento semiserio, come ho già anticipato, di quanto sto per dire. Tuttavia, va anche precisato che, pur con questa premessa, non va nemmeno negato un intento polemico. Entriamo allora nel merito, evidenziando simboliche differenze. La prima cosa riguarda l’aspetto filosofico: la chirurgia infatti è ontologica mentre la virologia gnoseologica. Non spaventatevi dei termini, perché in parole semplici la chirurgia riguarda l’essere, rivolgendo ogni sua attenzione all’essere corpo. Quindi sempre filosoficamente parlando, la chirurgia soddisfa l’essere parmenideo, che dice o è oppure non può non essere. E poiché ogni corpo esiste, ecco che la chirurgia ad esso si rivolge. Altra cosa la virologia o infettivologia. Infatti l’ho definita gnoseologica nel senso che si interessa del sapere. Un sapere a volte molto concettuale che riguarda il corpo, ma nelle sue componenti minime, le cellule. E che per questo abbisogna di microscopi e di indagini sierologiche sofisticate, che cercano di indagare i misteri sepolti nelle nostre capacità immunitarie. Quindi molto studio, ma poco o niente di pratico. Continuiamo e stavolta scomodiamo il genere. La chirurgia è maschilista, mentre la virologia ambigua comprendendo entrambi i generi. Nel primo caso il contrassegno principale è la fatica muscolare per incidere, modificare e se è il caso sostituire organi, nel secondo prevale la fatica mentale ed intellettuale. Ed arriviamo al terzo punto, quello psicologico, rappresentato dal dubbio. IL chirurgo infatti, i dubbi li riserva solo in fase di diagnosi. Poi quando decide, decide. Nel senso che sul tavolo operatorio deve sapere quello che deve fare ed avere la certezza che quello che sta facendo è il meglio per il paziente. Diventa in questo paragonabile al cantante lirico, soprattutto al tenore, normalmente di scarsa preparazione intellettuale, ma forse grazie a questa, può pensare di essere nel momento della recita, nonostante le difficoltà del pentagramma, il migliore del mondo. Capace perfino di fare vibrare le gocce del lampadario in sala. Tutto questo non accade per il virologo. In lui ogni studio rimanda ad una sperimentazione e questa comporta il dubbio di non prevedere con certezza il risultato. E arriviamo allora al risultato dell’azione. Nel chirurgo questo risultato è evidente e sotto gli occhi di tutti. In sostanza se l’operazione riesce, l’esito in termini di guarigione è oggettivo. Se invece non riesce o si complica, altrettanto palese è la mancanza di risultato della operazione. In questo caso, esiste un principio quasi matematico di certezza legato a due sole possibilità, o sì o no, ed il dubbio non ha ragione di essere. Anche nel caso del virologo il principio matematico esiste, ma non rivolto al singolo ma ad una comunità, trasformandosi pertanto in un  indice statistico. Continuiamo ed affrontiamo ora un principio etico ed estetico. Esso riguarda solo il chirurgo. Egli infatti sa che il corpo umano è l’emblema della perfezione e qui si pone il problema se è stato creato da Dio o meno. Tralasciando questo aspetto, legato alla coscienza individuale, rimane il fatto che nelle sue manovre il chirurgo deve tentare in ogni modo di ripristinare questa perfezione per quanto possibile ed assolvere, sempre per quanto possibile, anche il risultato estetico. Un compito il suo non sempre realizzabile ma quando lo è, costituisce la migliore gratificazione per chi per ore, adoperandosi fino allo stremo, ha messo in atto la sua vocazione chirurgica.  Con le analogie o, come in questo caso, con le antilogie, si potrebbe continuare a lungo. Rimane un riferimento letterario a questo punto, che bisogna arrischiare di fare. Ecco fatto, precisando che il

chirurgo si identifica meglio col Manzoni: “s’ode a destra uno squillo di tromba”. Un verso che è tutto fuorchè una semplice ipotesi, al punto che non si mette in discussione lo squillo, che sembra quasi di poterlo sentire. Al virologo invece si addi ce maggiormente il Leopardi. Il poeta degli interminati spazi e dei sovrumani silenzi che rimandano con i loro dubbi alla complessità del mondo interiore cellulare, dove si svolge una immensità di eventi. Un mare sempre mutevole di cambiamenti immunologici, in cui il naufragare è sempre possibile anche senza necessariamente essere dolce. E giungiamo così all’ultimo punto, che riguarda la parola. Altra differenza questa, fra i due contendenti. Il chirurgo è mutacico in quanto l’essere a cui si rivolge è quello e non altri. Tanto che una volta individuata la natura della patologia, questa non cambia. Il virologo invece deve essere, metaforicamente parlando, non solo loquace ma logorroico. Infatti il virus muta ed il virologo si deve ad esso adeguarsi, sostituendo l’Eraclito, quello del tutto cambia al chirurgico  Parmenide. Siamo alla fine, se non ci fosse una ultima considerazione da fare, che potrebbe nascere dall’aver inteso alla lettera il mio scritto da parte del lettore. Da questo punto di vista se ho dato l’impressione di aver parlato pro domo mea, questo sospetto, continuando con le analogie ed il tono semiserio, mi rimandano a Cicerone. L’oratore principe del foro romano che chiedeva di riavere area e fondi per costruire la sua casa confiscatogli in seguito all’esilio. Ebbene a Cicerone preferisco contrapporgli Orazio con il suo carpe diem con l’aggiunta quam minimum credula postero, che nella mia libera ed arbitraria traduzione vuol dire: cogli l’attimo (l’essenza chirurgica)  e confida il meno possibile nel domani da intendere nei virologi. Così, utilizzando, pro domo mea Orazio, la diatriba è consumata.       

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