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Venerdì, 19 Aprile 2024
Anticaglie

Anticaglie

A cura di Carlo Giarelli

Fede di popolo contro la (non) fede delle gerarchie

Che la fede sia un mistero è un dato di fatto. Perché riguardo a Dio, sono più le cose che non si comprendono di quelle che viceversa si conoscono.  Capita allora che il problema fede deve basarsi su quel poco o tanto, come si diceva, che si riesce  a percepire. Per raggiungere questa condizione, le cosiddette certezze si basano sulla tradizione orale. Poi sui testi dei padri della Chiesa. Quindi sul significato della dottrina e della sua rappresentazione sotto la forma liturgica. Dove tutti questi contenuti si fondono e si esprimono attraverso le parole, i canti, i salmi ed i simboli che si identificano e giustificano quel mistero che resta inconcepibile. Quello stesso mistero che fa dire a Tertulliano: credo quia absurdum. Vale a dire che la fede trova nell’ assurdità incomprensibile la sua giustificazione. Se  quanto detto, ha sempre rappresentato  il senso della fede, questo stesso senso ha trovato la sua più autentica espressione nella Chiesa. Intesa come Istituzione che dal discepolo Pietro ha colto e raccolto l’eredità del  Cristo che ha voluto  in essa consegnare il suo messaggio eterno. Una comunità di credenti, la Chiesa, che è un  insieme di commistione umana e nello stesso tempo  una comunione di santi. E nella quale la presenza di Dio è garantita da quel soffio che da sempre spira nella Chiesa e che si chiama Spirito Santo. Dunque in sintesi cosi stanno o meglio stavano  le cose, le quali si traducevano al meglio, in quella fede  spontanea, rappresentata dalla religione popolare. Quella per intenderci che aveva una sua forza  e  una sua  modalità  di persuasione.  Quale?  Andare a visitare i luoghi santi anche percorrendo lunghi ed inospitali tragitti (i cosiddetti pellegrinaggi), baciare le reliquie , le immagini sacre, perdersi nella contemplazione dei luoghi di culto, ricchi  di bellezze architettoniche e  di mirabili opere d’arte ed infine rimanere in adorazione degli oggetti sacri. I quali tramandati da padre in figlio, rivelavano la passione del sentimento al di là e al di fuori di ogni componente razionale o intellettuale. Queste premesse, ci consentono di cogliere prima di tutto il senso del mistero che più che della ragione, si preoccupa del sentire dell’uomo, al fine di realizzare di fatto un confronto- scontro fra cuore e intelletto.  Si può dire allora con un gioco di parole, che nella religione popolare il mistero è ancora più misterioso, perché sfugge alla limitazione della ragione. E poiché nel mistero si identifica il sacro, la religione popolare abbisogna di riti e di formule. La liturgia è una di queste. Non quella comprensibile o moderna, ma quella antica. La quale usando un linguaggio ai più oggi incomprensibile, è in grado di cogliere quello che non appare, appunto perché non può apparire, causa la sua stessa natura legata al concetto di mistero che la compone. In questo modo, il riferimento al sacro diventa indispensabile. Non solo. Ma nel crogiuolo dell’incomprensibile ci stanno molte altre cose. L’eredità del vecchio testamento e perfino quanto rimane per tradizione, nella mente, della filosofia egizia, babilonese e poi greca. Tutti elementi che vengono colti non nel loro significato letterale, ma attraverso processi di assimilazione che si possono ritrovare, ad es. nella cultura contadina. Dove i vecchi dei pagani, cui si attribuivano i poteri della buona o cattiva sorte dei   raccolti, si trasformano nel dio cristiano che del passato conserva, è vero, il rito, ma lo trasforma in un nuovo modello di intesa.  In questo modo acquistano nuovi significati, le attuali feste di paese, dove le lotte fra galli ,  tori e flagellazioni di corpi, rappresentano  l’equivalente delle antiche pratiche religiose, spesso sanguinarie  con immolazione di animali. Sappiamo che la storia della fede è varia e complessa. Ma per limitarci ai tempi che abbiamo vissuto, il vento del cambiamento è stato impetuoso. Infatti si è passati dal Concilio vaticano II, dove comincia a comparire la secolarizzazione, al modello di papa Benedetto XVI, dove la verità rivelata viene accolta e spiegata alla luce del logos greco. Si finisce così all’attuale papa Francesco, dove il sacro viene spiegato in chiave ecologista, con il concorso di un Dio misericordioso che, guarda caso, vanta lo stesso aggettivo identificativo del dio musulmano Allah. Dalla fede popolare a quella secolare ed ecologista il passo è stato breve. Come pure breve è stata  la sostituzione del vecchio rito, considerato antimoderno, con una religiosità attuale scarsa di componente rituale, basata su una razionalità positivistica che cerca di competere con le verità scientifiche. Col rischio  però di ridurre il mistero a cosa. Ma c’è di più. Una religione cosiffatta  è diventata allergica ai riti e a tutti i sincretismi, miti inclusi,  ereditati dalle vecchie tradizioni. I più convinti di questo modo di intendere la fede,  sono le alte  gerarchie con i loro organi di stampa, quali la gesuitica Civiltà cattolica diretta da Antonio Spadaro, intimo del papa e supercritico nei confronti di coloro che chiama con disprezzo, integralisti. Per loro, intendo le gerarchie, sia i messali che i crocifissi ed i rosari, presentati in pubblico durante manifestazioni non liturgiche, devono essere banditi. Troppo sospetta la loro ostentazione di fede che rimanda ai vecchi simboli del passato. Sostituita della nuova (fede) che non sa che farsene del mistero, tutta interessata e tutta protesa a stabilire un accordo fra le due verità: quella religiosa e quella scientifica. Accade allora che chi si espone ad esporre gli antichi simboli religiosi, diventa subito un ipocrita, in quanto sospettato di manipolare la religione a fini di interessi personali di natura spesso politica. Se poi questi fini sono riferibili politicamente alla destra, l’abiura è totale a dimostrazione che anche l’ideologia entra come elemento terreno nella religione   secolarizzata. I giudizi, quando esprimono la loro ferma condanna, diventano   degni non di  un animo cristiano, ma di acceso e intransigente animo positivista. Tutta ragione ideologica e poco cuore. Si beatifica allora la fanciulla che marina la scuola, Greta Thumberg per le sue idee banali sul clima e per i suoi ideali inneggianti alla dea Gea e si condanna all’inferno un tipo come Salvini. Che osa esporre il vangelo ed ereticamente professa, coram populo, la fede cristiana. Anatema. Come si permette a mostrare in pubblico una fede che oggi non deve essere troppo manifesta, per non alterare il processo di secolarizzazione in atto? Da Salvini passiamo a Trump. Un altro che di ecologia, sempre agli occhi dei nuovi credenti positivisti, non sembra capire molto. Per non dire niente. Infatti cosa è successo? Che accompagnato dalla moglie Melania ha pensato di fare visita e poi, e questo è un aggravante, ha anche osato pregare nel Santuario San Giovanni Paolo II a Washington.  Professare la fede in pubblico? Ipocrisia bella e buona secondo l’arcivescovo Wilton Gregory. Ecco le sue parole di fulminante condanna:” trovo sconcertante e riprovevole che qualsiasi struttura cattolica si permetta di essere così egregiamente abusata e manipolata in modo da violare i nostri principi religiosi.” Che dire di questa critica incendiaria, piena di sdegno contro il presidente Trump, se non per dimostrare la contrarietà nei confronti di un uomo contestato e contestabile sotto il profilo politico? Eppure questo arcivescovo di fronte alle imposizioni governative di non celebrare la messa causa la pandemia, accettando l’ordine, non ha dimostrato il coraggio della fede che possedevano gli antichi martiri. Così come non ha eccepito quando si è presentata, sul pulpito della sua chiesa, la parlamentare Nancy Pelosi sostenitrice dell’aborto. Contraddizioni della fede moderna. Quella che da disordine violato, come è il mistero, è diventata ordine di terra sulla terra. Tanto che chi si oppone a questa visione della fede, viene mandato tranquillamente all’inferno. Luogo cui, questi stessi fedeli  ed irosi mandatari, non credono  nemmeno più.

Fede di popolo contro la (non) fede delle gerarchie

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