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Anticaglie

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A cura di Carlo Giarelli

I personaggi del presepio

Dopo aver affrontato il perché (la nascita del figlio di Dio), il come (l’elemento simbolico), ecco il terzo racconto del presepio che riguarda la sua costituzione con riferimento ai personaggi, vale a dire al popolo che diventa cristiano. Ritorniamo per un attimo alla capanna, dove la neocostituita sacra famiglia è presente. Nel mezzo il bambino, rappresentato come la nostra tradizione occidentale, vuole: bello anzi bellissimo. Carni delicate e rosee, occhi di un blu che sa già di cielo e manine aperte verso l’alto come a richiamare il luogo da cui proviene. Ai suoi lati i genitori. Una giovane sposa, quasi bambina, che è piena di grazia come lo sono tutte le mamme quando hanno dato alla luce chi ha vissuto per nove mesi nel loro grembo. Ma in questo caso c’è qualcosa in più, la grazia non è solo terrena, ma celeste perché proveniente da un fatto miracoloso. Da tempo se ne accorto anche il padre Giuseppe, che ormai trascende la propria condizione umana ed osserva in meditazione estatica il bambino, espressione, è vero, della volontà divina, ma anche di lui stesso, in quanto lo ha accolto con atto di fede ed ora lo venera come figlio di Dio. Assorto nel pensiero, guarda il bambino dalla bellezza già di per se’ inverosimile, convinto però che ce n’è un’altra che la supera, perché non legata al corpo. Dalla capanna filtra forse una fioca luce, che appare però nei cuori come la più fulgida stella del creato. Ed i primi ad accorgersene sono i pastori che hanno trascorso la lunga notte del solstizio all’addiaccio, con il loro gregge di pecore. Spinti da quella luce che in realtà è solo luce interiore, si recano alla capanna. Con loro portano, come per divina rivelazione, i loro doni che sono umili come loro stessi. Un po’ di latte ed un po’ di lana di pecora, che potrebbe servire a coprire dal freddo quello che loro hanno già individuato essere il figlio di Dio. Il salvatore che da oltre mille anni, in base alle scritture, è atteso sotto le apparenze di un bambino. Il quale da subito si presenta, nel suo letto di strame, come povero fra poveri, umile fra umili, essere di pace contrapposto alla volontà di guerra che da sempre affligge il genere umano. In questo modo, sono proprio gli umili e poveri pastori, accorsi subito a contemplare quella nascita, a risultare i più ricchi fra le genti. Dalla loro parte sta la capacità di riconoscere senza quegli impedimenti che sono propri delle genti abbienti,  il miracolo che è avvenuto. Non hanno dubbi e riserve. Sentono quello che il cuore dice loro e non chiedono altro. Hanno la spontaneità dei bambini innocenti, ancora non deviati dalle cose del mondo e per questo anche se non lo sanno, intendo i pastori, sono stati scelti dal Figlio dell’uomo come la prima e più autentica espressione del genere umano. Portano quel poco che hanno come segno di devozione ospitale diventata ormai cosa sacra, ma quel poco è meglio di quel tanto, di cui i ricchi possono privarsi senza rinunciare alla loro ricchezza. I pastori sono allora, mi ripeto, quel popolo che Dio ha voluto scegliere, privilegiando i semplici ed i poveri di spirito. Come poi lo saranno i discepoli. Dai pastori, che comunque vantavano fra i loro antenati nel lavoro con le bestie, addirittura Re Saul e Re David, passiamo ora a quei tre personaggi che un tempo nel presepio venivano messi dopo alcuni giorni, al tempo dell’Epifania.  Infatti, la loro esposizione, a livello di rappresentazione, durava poco, solo 24 ore. Ma erano giustificati.  A differenza dei pastori già presenti nei campi presso la capanna in qualità di guardiani di bestie, loro provenivano da lontano, ma come i pastori avevano seguito la stella che indicava il luogo miracoloso. Sto parlando, come avrete capito, dei tre Magi. Ma chi erano costoro? Erano come dice la parola appunto dei magi o maghi, che interpretavano con l’arte della divinazione gli eventi che accadevano. Non erano Re, ma ogni Re si serviva di loro prima di prendere ogni decisione importante. Interpretavano i sogni, prima ancora di Freud ed erano un po’ indovini, un po’ profeti, un po’ ministri. A loro stessi veniva affidato il compito di sacrificare agli dei, inoltre si facevano carico di uccidere gli animali nemici dell’uomo e delle colture, quali serpenti o altri animali molesti. Erano considerati saggi in quanto conoscevano il futuro ed il destino degli uomini. Temuti e riveriti, potevano vantare una triplice competenza: la conoscenza scientifica, quella esoterica ed infine quella religiosa. Dicevamo che arrivano alla natività dopo qualche giorno ed il perché è legato al loro lungo viaggio. Venivano in fatti dalla Caldea, terra dove gli studi di astrologia e scienze matematiche erano molto avanzati. Avevano attraversato il Tigri e l’Eufrate dopo essere giunti forse dal mar Caspio.  Dopo aver compiuto il passaggio del deserto, avevano costeggiato il mar Morto per entrare in Giudea.  La loro bussola era la stella che appariva come cometa, causa un prolungamento di luce che faceva quasi da coda all’intenso chiarore centrale. Cavalcavano cammelli e le loro vesti erano costituite da mantelli ampi di stoffe preziose, dai colori vivaci, come si addice a persone importanti e altolocate.  Portavano anche borse ripiene dei doni da portare al divino neonato. Ai pastori che rappresentavano il popolo umile di Dio, loro costituivano quel completamento del genere umano che da subito rende il cristianesimo cattolico, quindi universale. In loro infatti, la scienza della ragione e quella del cuore unite insieme, si sottomettono al sapere divino, a dimostrazione che l’uomo da solo cerca ma non trova. Per questa ragione, la loro fede per quanto meno istintiva, non è inferiore a quella dei pastori. Lo dimostrano le fatiche del lungo viaggio, fatto e compiuto per partecipare alla vera origine di ogni esistenza. E quando alla fine arrivano,  lasciati i cammelli, si  prostrano in adorazione  di un  povero, indifeso, bambino, interpretato,  a miracol mostrare, come  il simbolo vivente dell’unica verità. Ed ecco che dalla bisacce estraggono i doni. Non il latte appena munto e ancora caldo dei pastori, ma cose più raffinate dall’alto valore simbolico. L’oro e non per servire la povera famigliola che ne avrebbe bisogno, ma per anticipare, già dal primissimo momento della culla, quello che diventerà il detto evangelico, voluto dal bambino diventato uomo: vendere quello che si ha in abbondanza per darlo ai poveri.  E poi l’incenso, una resina che non serve più alle vecchie liturgie per profumare le antichi are, ma per rendere i nuovi altari ben accetti all’unico Dio. A   ricordo del primissimo atto di devozione dei Magi e del loro prezioso dono. Infine la mirra una gommaresina che serviva per imbalsamare i morti e che ora preannuncia nella scandalosa contrapposizione di una nascita gioiosa, quella fine tragica che dovrà avvenire di lì a poco.  Appena trentatré anni, dopo. Oltre a questi personaggi, nel presepio, ne esistono altri che la fantasia ha riproposto in modo vario e secondo modalità espressive, che risentono di usi e costumi di gente e popoli diversi. Inutile enumerarli in quanto la fantasia deve rimanere libera. Dico solo che col trionfo della fantasia nel Presepio si esprimono la libertà, la religiosità di un popolo ed anche la sua cultura.  Rinunciare al presepio in nome di un presunto scarso rispetto verso altre fedi, vuol dire trovare un alibi di comodo per contrapporre all’innocenza del cuore,  l’egoismo;  alla libertà, la mediazione utilitaristica e pelosa. Infine alla verità rivelata la pretesa di poterla raggiungere ugualmente con l’arroganza della sola ragione. Eppure  il presepio ci  dovrebbe insegnare che siamo tutti poveruomini.         

I personaggi del presepio

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