Il resoconto della prima giornata del Festival della Cultura della Libertà
Folla di partecipanti straripante, come sempre. Sono le ore 10.30 e la gente raggiunge al primo piano di Palazzo Galli, la sala Panini. Mi posiziono in prima fila per scrivere queste note. Inizia, come si suol dire, a fare gli onori di casa il Presidente Corrado Sforza Fogliani, che ha al suo fianco destro il Direttore de: Il Giornale, A.Sallusti. Il ritardo è di circa 15 minuti sul programma previsto. Con voce calma, di una fluenza misurata e carica di motivazioni, inizia l’intervento del Presidente. Prima rivolge i saluti ai presenti, poi cita due nomi: Giorgio Spaziani Testa, Presidente di Confedilizia che ringrazia per la sua presenza e Danilo Anelli per il suo impegno organizzativo. Continua precisando con visibile orgoglio, che come in tutte le edizioni passate, il festival non si avvale di contributi pubblici né privati. Poi esprime il suo pensiero che è quello di Croce legato al significato di logica e buon senso, ma soprattutto cita Einaudi, per il quale non esiste la proprietà quando c’è autoritarismo politico. Gli aironi stilizzati che costituiscono il logo del festival – egli continua- voleranno anche in questa edizione in modo libero, senza impelagarsi nelle superate forme legate alla destra e alla sinistra. Ed a proposito della proprietà, che è il tema in questione, cita altri due nomi, di liberi pensatori: Francesco Santoro Passarelli, giurista italiano e accademico dei Lincei, quindi l’animatore da sempre del festival, il filosofo del diritto Carlo Lottieri. Continua poi in perfetta sintonia con Einaudi, a manifestare il suo pensiero, dove la proprietà è quella che garantisce la capacità di agire e la libertà economica contro l’invasività dello stato. In chiusura dopo aver auspicato che il festival farà respirare aria fresca di libertà a tutti, evento questo, tanto più indispensabile oggi in base all’attuale situazione politica, passa a citare il terzo nome: Il Direttore A. Sallusti ospite di riguardo, al quale rivolge un grazie sentito e ripetuto e conseguentemente la parola. Questi in abito blue, cravatta nella stessa tinta, appare più magro rispetto alle sue frequentazioni televisive. Ringrazia dell’invito e inizia con una provocazione che in effetti provocazione non è. Solo la dimostrazione di come le cose cambino in Italia a livello politico. Citando infatti l’elezione del 1986 in cui nessuna delle liste attuali erano presenti, sia con lo stesso simbolo che con la medesima sigla, sostiene qualora queste vecchie liste elettorali fossero oggi presenti, come si distribuirebbero i voti: Destra 19%, Dc 18%, PCI 16%. Cosa significa? Che la mentalità liberale è in netta crisi. Piacenza quindi- egli continua- deve essere considerata una mosca bianca che si pone contro lo strapotere delle nuove dittature. Esse sono costituite dai motori di ricerca dell’informazione, quali Google, Facebook e Amazon per citarne alcune. Tutte interessate a gestire menti e coscienze per poi rivenderle al migliore offerente, sulla base delle convenienze economiche. Dunque- conclude provocatoriamente-. oggi esiste solo il liberalismo di facciata, che per poterlo rinverdire, abbisognerebbe clonare alcuni personaggi, come il qui presente, Corrado Sforza Fogliani. Ilarità e simpatia in sala. Quindi subentra Cerasa, il Direttore del Foglio, in collegamento esterno. L’audio non è dei migliori e le parole vanno e vengono. Si capisce comunque dalle sue parole che la libertà vera è contro il pensiero unico, normalmente di tipo cialtronesco ( sic) e che la stessa libertà non esiste se non si traduce nella dimensione della comunità. Concetto questo chiaro, ma non troppo. E’ la volta della replica di Corrado Sforza Fogliani e le sue parole vengono ribadite con chiara e semplice lucidità, in modo che tutti intendano. Questa la sintesi. La proprietà e la libertà, stabiliti dalla Costituzione sono due valori preesistenti allo stato, come sosteneva il filosofo ( e medico) inglese John Locke, considerato il padre del liberalismo classico. Ed è proprio per questo senso di libertà che bisogna ripristinare la verità storica, riguardo a tutte le tragedie compiute dagli stati totalitari. Infatti di queste efferatezze, si parla molto per quanto riguarda il nazismo, ma poco o niente in riferimento agli eccidi compiuti nei paesi comunisti. Un esempio fra i tanti , la Crimea, la cui strage dimenticata verrà ricordata, assieme a quella compiuta dai sovietici in Kasakhistan dalla nostra associazione il prossimo lunedì 27 a Nibbiano, con la partecipazione ad una Santa messa. Sono intanto arrivate le 11’45 e si entra nel vivo delle relazioni. Questo il tema: La proprietà nella Costituzione italiana. Preceduto dal moderatore Robert. Gionelli sempre puntuale e competente nella sua presentazione degli oratori, inizia il dibattito l’avv. Silvio Boccalatte. Voce alta stentorea che non abbisogna di amplificazione, questa si avvale di una gesticolazione in sintonia con le parole, per cui nei momenti importanti si evidenzia un secondo linguaggio, quello corporeo. La sua tesi è ardita, la proprietà infatti- egli dice-va al di là del diritto riconosciuto dalla legge, anche se oggi a differenza dello Statuto Albertino che riconosceva alla libertà una valenza inviolabile, questa stessa libertà viene continuamente incrinata da tre elementi. Che sono: il modo di conquistarla, di goderla e di valutare i suoi limiti. In sintesi la libertà è subordinata alla volontà popolare, nascendo da una Costituzione frutto di un compromesso fra una cultura socialista e cattolica, in cui la componente liberale appariva in netta minoranza. La conclusione allora è amara, in quanto esiste una volontà popolare e giuridica a voler superare il diritto di proprietà. Ecco allora che la proprietà diventa un diritto tollerato in base al politicamente corretto, normalmente legato al criterio di maggioranza. Subentra di seguito, un secondo avvocato, Michele Fiorini, calvo e rubizzo in volto , ma preciso e combattivo nella sua esposizione. In accordo pieno con Boccalatte pone l’accento sulla espropriazione della proprietà, citando Stefano Rodotà per il quale il cittadino ed i suoi beni devono sottomettersi al volere dello stato. A questo punto emerge, come evento abissale, fra le gente in sala, la differenza nei confronti di Einaudi, secondo il quale ogni esproprio deve per giustificarsi essere non solo giusto, ma equo. Con queste premesse-continua l’oratore- il futuro non potrà essere che peggiorativo per quanto riguarda la proprietà. Perchè giocheranno a sfavore sia il problema dell’ecologismo che quello del l’immigrazione islamica con tutti i suoi riti e tutti gli aspetti legati all’ereditarietà. Un barlume di ottimismo fra tante negatività, allora esiste? Umh, forse tagliare le tasse, ma la sua conclusione non è convince. Ora spetta ad un giovane intervenire e trattasi di Giuseppe Portonera, giurista dell’Istituto Bruno Leoni. Contrariamente alle due relazioni precedenti. egli si sforza di recuperare un po’ di ottimismo, parlando di usocapione, di espropriazioni e di occupazioni abusive, oggi più tutelate dalle nuove disposizioni di leggi. Ma per quanto si adoperi, la sensazione che lascia in sala sa di scetticismo. Intanto siamo giunti alle ore 13. Rimane per la mattinata la relazione , una sorta di lectio magistralis da parte di Raimondo Cubeddu, filosofo della politica. Presentato dall’avv. Coppolino ,sempre garbato e dai modi molto educati, il filosofo inizia la relazione più sconvolgente di quelle fino a quel momento ascoltate. Pizzetto grigio , occhiali abbassati sul naso e l’aria da professore universitario , quale in effetti è, non condivide nulla di quanto la gente pensa e crede. Tutto il suo discorso è allora improntato ad un pensiero divergente che suscita simpatia in un misto di incredulità per le sue tesi che potrebbero rimandare ad una lucida follia, qualora così dicendo, non avessimo tema di sembrare offensivi, se non ci salvasse la nostra ammirazione per Erasmo. Il cui elogio della follia è in realtà, pur nei toni paradossali, quanto di meglio la mente lucida abbia realizzato. Entriamo allora nel merito. Cos’è la proprietà e la libertà? Questa la risposta. Un diritto individuale inalienabile ed eterno come , mi viene spontaneo dire, l’essere parmenideo. Nulla esiste sopra di esso e parlo del diritto. Né la Costituzione, né le istituzioni sociali e politiche. Un valore assoluto, - egli continua- come la proprietà non può correre il rischio di essere compromesso dai magistrati, siano essi giusti o incapaci. Anzi dai magistrati ce ne liberi Iddio, visto che agiscono per perpetuare il loro prestigio, onde creare condizioni di incertezza politica e sociale. Vi basta? No, perché esiste ancora l’ultimo affondo: la politica è morta e la religione pure. Ore 13’30 e l’ora pranzo viene a proposito per ristorare corpo e alleggerire i pensieri. Ma presto arrivano le 15’30. Moderatore della sessione, E. Galba su un argomento che vede un parterre asimmetrico fra due sociologi: Sergio Belardinelli dell’Università di Bologna e Pio Marconi dell’Università di Roma. Mentre il terzo ospite è un volto televisivo noto, il giornalista Daniele Capezzone. Come tutti i sociologi, questi amano discutere su tutti i problemi della vita. Dal senso della proprietà del sè in relazione agli altri, al fine vita e per finire alla statalizzazione del bios ( che significa vita). Argomenti, tutti affrontati da Sergio Belardinelli con voce e atteggiamento compulsivamente partecipato, la cui caratteristica è quella di chiudere ogni tema con un punto interrogativo, compresa la sacralità della vita. Evento questo oggi non più di moda nella società secolarizzata in cui ci troviamo, dove si fa strada la biopolitica , destinata a coartare i comportamenti. Solo nel finale della sua, per me un po’ confusa relazione, il punto interrogativo si scioglie a proposito della comunicazione che deve essere civile . Ecco allora che nella banalità mi ci trovo. Gli fa eco il collega sociologo Po Marconi, alto, elegante, quasi da lord inglese che inizia con una affermazione alquanto discutibile. Questa. La Giurisprudenza oggi è più avanzata della condizione sociale. Gelo. Poi si ammorbidisce con la seconda asserzione: l’individualismo non è più un fenomeno di elite, come succedeva un tempo, ma di massa. Fine del discorso. Subentra Daniele Capezzone ed il suo è un intervento preciso da giornalista, tutto sostanza e senza divagazioni. Oggi- egli dice- le differenze antropologiche sono molto più marcate di un tempo. L’auspicio è quello di una maggiore composizione fra le anime sociali. in modo che si possa arrivare ad una minoranza libera e liberale. Per fare questo non bisogna disprezzare né giudicare. E se questo non è stoicismo, ci viene da dire, poco ci manca. Sono le ore 17 e dopo una breve pausa caffè, cambiamo di sede e dall’aula Panini raggiungiamo la sala Verdi per ascoltare questo ultimo tema della prima giornata : di chi devono essere le scuole? Ed a seguire : Il sistema educativo fra stato, comunità e famiglie. Presentati, con dovizia di dati accademici i due oratori, da parte del giornalista Mauro Molinaroli, la prima relatrice è suor Anna Monia Alfieri. Una giovane religiosa tutta acqua e sapone, discreta ed umile ma intellettualmente tosta e preparata, causa studi rigorosi che si compendiano, se non ho capito male, in una duplice laurea. Parla a braccio con voce non monotona perché carica di emozione ed insieme di preparazione che snocciola sulla base di dati precisi e ben documentati. La sua tesi è la seguente: esiste oggi una scuola privata parificata, ma non c’è ancora da parte dello stato un atteggiamento che riconosce alla gente la libertà di decidere quale si la scelta giusta. Insomma lo stato fa assaporare una libertà alle scuole private, ma nella realtà la nega, in base a norme restrittive o a misure applicative che creano una condizione di mancata parità. Inoltre esiste anche un aspetto economico da non sottovalutare da parte dello stato che accredita 500 euro per ogni studente alle scuole private, mentre ne spende, tramite i soldi pubblici, circa 10.000 euro per le scuole pubbliche. Col risultato di ricavarci un guadagno. In sintesi lo stato gestore e controllore delle proprie scuole è un’anomalia, perchè si crea di fatto una mancata libertà educativa grazie anche all’interesse di terzi, quali i sindacati e la classe dei lavoratori nella scuola pubblica preoccupati più della loro condizione economica che dello stato del merito. In sostanza, gli ostacoli burocratici che impediscono le libertà di scegliere vengono ribaditi anche dal secondo oratore, Andrea Favaro, filosofo del diritto. Di chi deve essere la scuola, si domanda. Dello stato, della comunità, della famiglia? Nessun dubbio, della famiglia, la risposta. E ribadisce. Sono i genitori che devono scegliere l’educazione da dare ai figli. E poiché l’istruzione è d’obbligo, ma non la scolarizzazione, lo stato pur mettendo paletti di controllo spesso ostativi, non esclude la possibilità di una istruzione parentale. Sono le 19 ma c’è tempo per qualche domanda da parte del pubblico. Una in particolare merita menzione. La pone Corrado Sforza Fogliani che richiamandosi ad una proposta di Einaudi, avanza l’idea che lo studio non debba comportare necessariamente titoli di studio. Utopia? No, possibilità reale qualora ci creasse attraverso la circolazione delle idee, la consapevolezza da parte delle persone libere di battere questa strada. Così finisce la prima giornata del festival della cultura della libertà, dove i saluti e gli arrivederci a domani si sprecano.