rotate-mobile
Venerdì, 29 Marzo 2024
Anticaglie

Anticaglie

A cura di Carlo Giarelli

Il virus riporta a galla le nostre fragilità e apre una voragine nell’anima

Quando si parla di contagio la mente va al passato. Le idee si confondono, ma in parte anche si schiariscono. Vecchi fantasmi sopravvissuti nelle pieghe della storia individuale e collettiva, affiorano come se il passato confuso da un presente, unica dimensione oggetto di fede da parte dall’uomo moderno,  mandasse ancora qualche residuo bagliore di vitalità.  Come si trattasse di antiche memorie dimenticate, ma sedimentate, non si sa  come e perché, nell’interno di alcuni circuiti nervosi.  La parola contagio allora fa venire in mente, per associazione di idee inconsce che poi  diventano elemento razionale, la peste. La terribile peste del trecento ben espressa con realismo poetico  nel Decamerone e poi a distanza di circa trecento anni nel famoso romanzo manzoniano. Con tanto di insorgenze bubboniche nei corpi ridotti a spettri, di  monatti con i loro carretti di morte e di  presunti untori. Immagini queste ultime dettate dall’ esasperazione degli animi, impauriti per non conoscere il perché del terribile contagio   e da quale parte provenisse. La medicina ancora non scientifica, dimostrava la sua incapacità nell’ aiutare gli infermi che cadevano in  numero sempre crescente, fino a ridurre di oltre un terzo per alcuni, di una metà per altri, la popolazione europea. L’unica speranza era allora la fede nel Dio che manzonianamente atterra e suscita, che affanna e che consola. Andare in chiesa ed affidarsi a Dio con offerte e preghiere per impetrare la grazia di essere risparmiati dal contagio, rappresentava una soluzione alla speranza che non tutto fosse perduto. Il Dio, quello degli eserciti, detto con termine ebraico sabaoth, veniva considerato la vera causa del contagio. Offeso dal comportamento dell’uomo immerso nei suoi peccati, quel Dio con la spada in mano, voleva punire la sua creatura così come aveva fatto al tempo di Adamo ed Eva. L’hybris ovvero la protervia umana, doveva essere punita come era già stato fatto con Sodoma e Gomorra. Bisognava rientrare nei ranghi di uomini timorati di Dio per placare l’ira divina. Un nuovo corso della storia doveva cominciare. Si richiedeva che dall’alto si ponesse fine ad una condotta  peccaminosa dove fra i peccati più gravi,  al primo posto vi era quello   di paragonarsi a Dio e di volerlo sostituire  nella sua  onnipotenza.  Il passato che prima menzionavo, ora trasferiamolo nel presente dove un altro contagio esiste.  Anche stavolta il nemico è sconosciuto, ma in aggiunta è invisibile. Non si sa infatti  da dove proviene e quale sarà il suo tributo di vittime. Ancora una volta la medicina diventata moderna e quindi scientifica e che fino a ieri dava l’impressione di offrire una risposta positiva a gran parte delle malattie conosciute , brancola nel buio. La speranza oggi come allora vacilla, ma con una differenza. Il Dio degli eserciti si è nel frattempo trasformato nel Dio misericordioso. Quello che ama l’uomo senza chiedere sacrifici in ordine ai problemi morali e dottrinali. Ma  è un  Dio che  in questi ultimi anni, ha cambiato la sua influenza sulle cose terrene. Perchè dall’alto della sua onnipotenza, si è quasi abbassato, diventando un Dio di testimonianza. E poi ancora,  continuando nel cambiamento, si è ridotto ad  un Dio socializzante, con la missione  di accompagnare l’uomo in un mondo dove tutto o quasi tutto trova una  giustificazione. Cosicchè alla fine di questo processo si è arrivati attualmente alla strana definizione di un Dio assente, causa la sua estraneità  a ciò che succede nel mondo. In questo stato di cose anche il comportamento dell’uomo si è uniformato,  passando dal  timore del  Dio creatore, ad uno stato di equiparazione verso  un Dio simile a se stesso.  L’uomo che si è fatto Dio e che si fa misura di ciò che la parola di Dio deve dire o non dire, si è posto in eretico contrasto allora col Dio che si è fatto uomo. In questo stato di  alterazione dei rapporti uomo-Dio, la religione sembra tacitamente acconsentire e le chiese chiudono proprio quando in occasione del contagio , l’unica speranza,  causa l’incapacità della scienza,  potrebbe venire dal cielo. Si realizza allora la eterogenesi dei fini e l’uomo da quasi dio prende coscienza della propria fragilità.  Ritenendosi incapace ad affrontare una nuova malattia nei confronti della quale la mente si confonde e la scienza pure. La speranza dicevo  in qualcosa che viene dall’alto,  è sempre consolatoria ed ha poca importanza se credere o meno  nell’origine soprannaturale.  Quello che conta è che fa bene al pensiero e all’azione. L’uomo che si scopre indifeso, ritorna uomo vero con tutte le sue contraddizioni e vede il tempo secondo un’ottica diversa. Il solo presente, che era  diventato l’unica forma di fede dell’uomo tecnologico, riscopre il passato e  ricomincia a scoprire il  futuro che fino a prima del contagio  non aveva più ragione di esistere, essendo diventato superfluo. Così in tal modo, l’uomo dimostra tutti i suoi limiti e le sue imperfezioni.  D’improvviso allora  col contagio, sembra  si sia  aperto un varco  e nello stesso tempo un precipizio nell’animo dell’uomo. Salvarsi o perdersi vuol dire legare la salute del corpo a quella dello spirito. E scoprire come solo i dispiaceri  il lutto sono in grado di aprire nuovi orizzonti  affettivi e conoscitivi, onde sostituire al riso  la via delle lacrime. Quelle non solo esteriori ma che originano  nel mistero che è dentro di noi. Nella mente  offuscata si può allora aprire una luce di consapevolezza , la nascita di una nuova  e riscoperta umanità. Uno spirito di solidarietà che elimina il solipsismo,  dove l’uomo  vanta l’autonomia nei confronti del  nulla che gli sta attorno, potrebbe di nuovo riaprire nuove e nello stesso tempo vecchie consuetudini  nel ritrovato animo umano.  Una condizione simile a quella del tempo di guerra dove anche con la paura delle bombe  che ti piovevano in testa,  si ritrovava il piacere di  scoprire il proprio simile e allungargli una mano di soccorso. Un nuovo desiderio di vita associato alla speranza di un mondo migliore, potrebbero  rinascere nelle menti inaridite dall’egoismo edonistico, così come ai tempi della guerra nonostante lutti e devastazioni  nei corpi smagriti e defedati dalle fatiche del sopravvivere e dalla carestia, la speranza era l’ultima a morire.  Era il tempo in cui l’antico monito del memento mori, il ricordarsi di morire, si trasformava con l’angoscia nel cuore in un  momento di rinascita.  Mentre l’altro monito dell’estote parati  che ricordava la  consapevolezza che ogni momento poteva essere quello buono per lasciare il mondo, diventava occasione di sostegno reciproco con la riscoperta dell’amore  religioso del vivere. Da tutto quanto detto, ritornando al contagio del virus, qualcosa di positivo potrebbe accadere. L’uomo che ritorna nei suoi limitati confini di un essere parcheggiato momentaneamente su questa terra, si potrebbe porre il problema se continuare ad  affidare alla  sola scienza l’illusione di superare i limiti del tempo e dello spazio, oppure cercare qualcos’altro. Un ritorno ad una nuova umanità potrebbe allora costituire la rinascita dell’uomo nuovo, quello post virus, che per l’occasione riscopre le qualità quasi perdute di quello vecchio. Il passato che ritorna, sta ad indicare la  vera e ritrovata  concezione del tempo che si srotola e poi termina. Come finirà questo contagio nonostante si porti con sé, come  capita in  tutti gli eventi drammatici, qualche vittima sacrificale a riprova che né il logaritmo su cui si basano le nostre moderne previsioni, né la presunta  onnipotenza della ragione sono verità assolute, come finirà – dicevo -  questa epidemia, essa può aprire al possibile ritorno della speranza. Per alcuni rivolta e legata al cielo, per altri solo alla terra. Ma una terra comunque diversa fatta a misura dell’uomo nuovo. Solidale e consapevole che nulla è perduto, ma che tutto  si riassesta per iniziare un nuovo ciclo. Pensare che alla fine della storia del virus, chiamato covid 19,  si realizzi  qualche vantaggio per l’umanità, non  sembra allora una speranza infondata.  Peccare di ottimismo infatti non è peccato, ma solo  semmai una speranza tradita.

Il virus riporta a galla le nostre fragilità e apre una voragine nell’anima

IlPiacenza è in caricamento