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Giovedì, 18 Aprile 2024
Anticaglie

Anticaglie

A cura di Carlo Giarelli

L’Italia fra tre tiri incrociati

Difficile per l’Italia salvarsi, quando piovono salve d’arma da fuoco provenienti da tre direzioni diverse che però puntano sullo stesso obiettivo. Una condizione questa, simile ad una situazione di guerra per la tenuta del nostro paese, quando proprio non ce n’era bisogno. Perché già la pandemia, come danno, era più che sufficiente per mettere a terra una nazione che causa un mostruoso indebitamento pubblico, di risorse da spendere ne aveva ben poche. Dunque parliamo dei tiri incrociati che si abbattono sul nostro paese, già quasi agonico. E per prima cosa, parliamo della Magistratura che oggi è nell’occhio del ciclone, grazie a questa frase del magistrato Luca Palamara: Matteo Salvini va attaccato anche se ha ragione. Che dire? La Magistratura è un potere dello stato, il terzo, ma per dirla tutta, almeno dal tempo di Mani Pulite, non ha mai dato l’impressione di suscitare grandi simpatie fra la gente. Ed a proposito di impressione, il motivo è che esondasse, spesso e volentieri, dal suo ambito specifico.  Quello di valutare le cose secondo il criterio della ragione e del torto, quindi del giusto o dello sbagliato. Ma, come dicevo, specie in questi ultimi tempi, la Magistratura, in merito a certe sue decisioni, non ha mai troppo convinto. Ho parlato di impressione. Ma ultimamente è subentrato qualcosa di più grave.  Tanto che l’impressione si è trasformata in certezza. Troppe correnti e un’eccessiva politicizzazione della Magistratura, hanno creato molti dubbi sul senso della sua imparzialità. Condizione questa ineludibile per continuare a credere nella imparzialità della Giustizia. Un danno questo non solo per la Magistratura, ma per tutto il paese. Se questo è il primo fuoco amico, subito dopo se ne configura un secondo. Con la differenza che trattasi di un fuoco non contro un nemico, ma contro la sua stessa natura. Una vocazione questa al suicidio autogestito con l’aggravante della reiterazione dell’atto. L’avrete capito che sto parlando della politica. Costituita da un coacervo di figure che certamente non brillano per intelligenza e capacità. Tanto che si è detto, in mancanza di una rielezione, molti di questi nostri parlamentari non saprebbero cosa fare, non avendo o mai lavorato o lavorato in condizioni di ripiego. Dunque una politica fragile che non riesce a mostrare, anche in uno stato di drammatica esigenza come la pandemia, una aderenza ai problemi reali.  Fumoserie, inconsistenza di reali soluzioni, narcisismo e arroganza, la sua cifra. Lo dimostrano questi ultimi mesi di conferenze da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri, proposte con la spocchia di fare proclami, come fossero  ricette risolutive per la nostra economia, che in  realtà si sono dimostrate abborracciate e inconcludenti. Trattasi di una alluvione di provvedimenti, scritti su  centinaia di fogli contraddittori e incomprensibili, che avrebbero dovuto distribuire soldi a valanga a tutti ed invece di  tali soldi, le tasche di tutti sono rimaste vuote. In realtà si è trattato di un bluf continuo ed esasperato, con l’unica speranza che dopo il diluvio qualcosa di meno tragico succeda.  Perché spesso dopo la pioggia subentra il sole. Insomma la speranza dei nudi.   Ma c’è di più. E riguarda la dipendenza della politica nei confronti della Magistratura. Due poteri questi che si sono ridotti ad uno, dopo che per oggettivi demeriti, causa la scarsa moralità da parte di molti politici, che sarebbe meglio chiamare politicanti, la politica ha deciso di suicidarsi. Abolendo l’immunità parlamentare mediante la riscrittura dell’art. 68 della Costituzione, e lasciando campo libero alla Magistratura. Col risultato che quest’ultima si è allargata a dismisura, occupando come normalmente succede in natura, natura non facit saltus, gli spazi lasciati vuoti.  Cosicchè il magistrato diventato anche politico, rappresenta di fatto una contraddizione, per il semplice fatto che i campi d’azione, fra politica e magistratura, sono diversi. Da una parte infatti sta il diritto, il cui fine quello di stabilire, codice alla mano, la correttezza degli atti, mentre dall’altra, sta la politica che si esercita attraverso una visione d’insieme,  il cui obiettivo quello di  essere utile alla società. In altri termini la politica deve porsi il problema se convenga o meno intraprendere determinate strade al fine di scegliere soluzioni, onde creare condizioni utili e di interesse per la collettività.  Infatti, come ha detto Croce, lo stesso concetto di bene in politica, non necessariamente si sposa con il diritto, tanto che perfino il significato di onestà non si traduce in un codice morale, ma nella capacità di risolvere i problemi che di volta in volta si presentano. I quali, come sosteneva Mattei, non sempre vanno di pari passo con la giustizia. Se allora il diritto in politica può essere violato a determinate condizioni ( non esageriamo), esiste un suo contrappeso contro il sopruso. Quello della gabina elettorale, in cui il vero giudice dell’operato di ogni politico, diventa l’elettore. Insomma, per dirla tutta, un governo dei giudici sarebbe una calamità, causa la loro forma mentis che li autorizza a credere nel perfezionismo della legge, finalizzata alla ricerca filantropica della condizione morale, intesa come verità  assoluta( sii mio fratello o finisci alle patrie  galere).  Sarebbe questa la condizione di una giustizia che non diventa giustezza. Finora, ho parlato di due tiri incrociati, ma ce n’è un terzo. E questo terzo è l’Europa. Quella degli stati del nord contro quelli del sud. Pensare, come ha già espresso lo speranzoso Giuseppi, che l’Europa ci darà una mano, è pura illusione. E trattasi di una Europa, si badi bene, per la quale noi italiani, siamo a suon di miliardi, il terzo contribuente fra gli stati del vecchio continente. Che dunque, come auspicato dal nostro Presidente, arrivino a noi una pioggia di miliardi, da parte di una Europa caritatevole, è, come dicevo, pura follia. Il caso Grecia che poteva essere salvata con un pugno di soldini, lo dimostra in modo inequivocabile. Accusati, noi italiani, di essere inaffidabili, per questa ragione, siamo diventati il capro espiatorio da parte di molti paesi fra cui la solita Germania. Un paese, il nostro, il più fallimentare   causa il nostro colossale debito pubblico, ma paradossalmente il più virtuoso, causa il  più alto risparmio individuale. Dunque da una parte, economicamente parlando, siamo i peggiori del mondo, dall’altra i migliori. Il risultato, stando così le cose, è la diffidenza che suscitiamo presso i popoli dal rigore teutonico, fra cui oltre alla Germania, hanno il dente avvelenato contro di noi sia l’Olanda che la Austria. Quelli che secondo il Giusti, vi ricordate Sant’Ambrogio? rivolgendosi all’allemanno (per intendere i paesi nordici) non ha mai dimostrato vicinanza al  popolo lombardo ( per intendere quello italiano). La Troika è messa sull’avviso. I cosiddetti soldi a pioggia, se mai ci saranno, verranno sottoposti a determinate condizioni. Una di queste la patrimoniale che sta in cima alle aspettative vendicative da parte  soprattutto dei  tedeschi. L’altra, la volontà di procrastinare il cosiddetto cadeaux al 2021, quando ormai sarà per noi tardi, causa la chiusura di molte imprese e la disoccupazione. Il rimedio a questo stato di cose? Nessuno. Eppure uno ci sarebbe. Una protesta collettiva da parte di ogni strato sociale per tentare di cambiare le cose.  Sburocratizzare il paese, sboccare i lavori pubblici e avviare il sostegno alla iniziativa privata attraverso la capitalizzazione delle imprese, per ovviare ad una società come la nostra che sta sempre più diventando una comunità parassitaria, basata sul non lavoro della maggioranza dei non lavoratori. Oggi sostenuti e vezzeggiati da provvedimenti di un   governo fra i più statalisti esistenti al mondo.   Insomma bisognerebbe fare una rivoluzione. Ma ad un popolo come il nostro, sostanzialmente passivo, non si addice la rivoluzione. Perché? Perché ci conosciamo un po’ tutti, come diceva Flaiano. Subiamo allora il fuoco incrociato e incrociamo le dita. Tertium non datur.       

L’Italia fra tre tiri incrociati

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