La democrazia in crisi
Che la democrazia sia in crisi è ormai un dato di fatto. Tralasciando i governi di più o meno vecchia data, basta e avanza esaminare, se non l’ultimo, che di fatto sembra una fotocopia del precedente, il penultimo, quello di Renzi. Un giovane politico quest’ultimo che voleva rottamare il vecchio ed invece si è limitato a sostituire nella scacchiera del potere, le vecchie pedine con le nuove di sua nomina, ma senza modificare l’antico vizio di fare della politica, la sede dell’interesse personale e non di quello pubblico. Una ormai consolidata abitudine che riguarda il potere per il potere fra i cosiddetti apostoli dello spirito di servizio, dimoranti a palazzo. In aggiunta una specie di droga cui è difficile resistere per i suddetti dimoranti inquilini, al punto che chi sostiene di fare il bene del paese, dice solo una abusata locuzione tesa ad essere smentita dai fatti ed alla quale più nessuno crede. Se mai ce ne fosse bisogno, la dimostrazione è il recente terremoto con sequela di scosse più una serie di difficoltà climatiche, capitato in Centro Italia, dove gli aiuti di Stato, largamente promessi, non si sono ancora concretizzati , se non in misura minima, nei nuovi moduli abitativi. Si dirà che questo modo di intendere le cose, odori di populismo. Ma aspettate un attimo, al populismo ci arriveremo molto presto. Prima però esaminiamo, con quel minimo di senso critico che ancora ci resta, il comportamento del capo dei capi come avrebbe voluto essere, vale a dire, Renzi, ora in fase di appannamento. Voleva rilanciare l’economia, ma questa languisce in stato cachettico. Se poi la esaminiamo sotto il profilo del debito pubblico è persino peggiorata. Voleva aumentare l’occupazione e ci troviamo con una mancanza di lavoro fra i giovani che supera il 30%, battuti in Europa persino dalla Spagna, mentre ci colloquiamo appena sopra alla Grecia. Che come si sa è sempre in lista d’attesa per il default. Il risultato è che i nostri giovani devono emigrare verso i paesi del nord Europa, alla ricerca di una possibilità di impiego. Voleva, sempre Renzi, diminuire le tasse, ma queste rimangono stabili, ancorate come macigni sulla testa della gente che tramite Equitalia viene continuamente rimproverata e qualche volta perfino ricattata a dare quello che si deve ad uno Stato padrone e sciupone. Il quale però non dà nulla in cambio alla gente, in fatto di comprensione per le proprie oggettive difficoltà. Voleva… sì voleva fare non so che cosa , ma appunto perché non lo so io, altri come me, brancolano nel buio di una situazione critica, dove non si intravede luce per il futuro. Infatti il nuovo governo Gentiloni fotocopia di quello renziano, sta vivacchiando, senza per ora lasciare intravvedere una rotta precisa, in cui indirizzare la prora di buon governo del nostro sfortunato paese. Ciononostante che almeno un merito sia riconosciuto al gentile, Gentiloni . Quello di non lanciare proclami altisonanti rivolti, urbi et orbi, per dimostrare il miglioramento delle condizioni economiche e lavorative del paese, come faceva il suo predecessore, definito da Pansa un bulletto arrogante e perfino pericoloso. Che avrebbe dovuto e voluto convincere a parole gli italiani, ma si è poi scontrato con questioni di stomaco. Causa i morsi della fame, intesa questa volta non in senso figurato, per l’impedimento, da parte di molti, a non arrivare a fine mese, se non in crisi di astinenza dal cibo. Sconfitto, Renzi, al referendum costituzionale, sono state pure sconfitte le due strategie che aveva messo in cantiere. La prima: dare spazio al potere esecutivo, al governo dunque, esautorando di fatto il potere legislativo, rappresentato, come si sa dal Parlamento. La seconda: dare al popolo elemosinante, i famosi 80 euro come manovra populista per gratificare, si fa per dire, la massa affetta da digiuno. Il primo obiettivo, già inaugurato, per la verità, da Berlusconi, è consistito nel varare decreti leggi per far approvare le decisioni del governo, bypassando l’aula, ritenuta da lui muta, mentre in altri tempi è stata considerata sorda e grigia. Così facendo la democrazia ha subito un bel contraccolpo, mantenendosi rappresentata, ma solo sulla carta. Nei fatti invece, tutto è affidato ad un manipolo ( il termine non è casuale) di amici scelti, fra gli eletti, in quanto sempre disposti ad approvar tacendo. O a parlare approvando che è la stessa cosa. Il secondo obiettivo è tutto in chiave populista. Che consiste nel rispondere alla richiesta del popolo che vuole pane, ma senza un disegno strategico che tenga conto delle tante problematiche contraddizioni che esistono fra i vari strati della società. Insomma si è preferito usare una specie di anestetico per calmare il male, ma non eradicarlo. Se allora il primo obiettivo riduce la democrazia rappresentativa ad una rappresentanza di amici con l’intento di formare un cerchio o, fiorentinamente parlando, un giglio magico a tutela di se stessi e dei propri affiliati, il secondo obiettivo, quello populista, è , sotto il profilo democratico, ancora più preoccupante. Per meglio intendere quello che sto per dire , scomodo allora un certo Platone, siamo nel quinto secolo a. C., che in fatto di governare un paese a mio avviso non aveva le idee chiarissime. O almeno le aveva, ma a modo suo, oscillando fra democrazia, aristocrazia e tirannia a seconda degli uomini al potere. Se dunque questi erano onesti o saggi, oppure se viceversa erano degli avanzi di galera. Ma poiché di uomini onesti e saggi anche ai suoi tempi se ne trovavano pochi , ecco il suo continuo altalenarsi, a considerare migliore l’una o l’altra forma di governo, per poi decidersi a dichiarare preferibile la demagogia o regime dei molti, nei confronti di quello dei pochi(oligarchia). Ecco comunque la sua teoria, ben espressa nella sua opera: Repubblica: “Quando un popolo divorato dalla sete di libertà, si trova ad avere a capo dei coppieri che gliene versano a volontà, fino ad ubriacarlo, accade che se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, sono dichiarati tiranni. Mentre chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere ed un servo” . Bene, detto questo di Platone , sembra che tale modo di intendere i fatti sia quello che da qualche decennio succede nella nostra società, dove un populismo strisciante governa le cose. Cosicché un padre per trattare col figlio deve considerarlo un suo pari, quindi un amico, mentre a sua volta l’insegnante non può permettersi di rimproverare l’alunno perché, avendo perso autorità, non può sapere dove arriveranno certe reazioni da parte dell’allievo. Disposto oggi anche a menar le mani, se troppo redarguito. La stessa cosa capita per i vecchi che per non apparire fuori moda o troppo severi, devono dare ragione ai giovani. I quali hanno ormai perso, fin dal tempo dell’infanzia, il rispetto nei confronti di padri, madri o nonni. Eppure oggi il populismo va alla grande. Ed il meglio, riguarda le formazioni politiche che non essendo al governo e non condividendo alcuna responsabilità di gestione, possono promettere qualsiasi cosa al popolo. Che al di là delle intenzioni, piaccia o no, è da sempre considerato nei fatti il solito popolo bue di antica memoria, che vanta l’aggravante di essere perfino mansueto. Ecco allora scaturire dal cilindro delle proposte, il reddito di cittadinanza, l’aumento delle pensioni minime, mai al disotto delle mille euro al mese. E ancora, la riduzione delle tasse in misura drastica, come se quelle che paghiamo siano lì a dimostrare tutta la nostra imbecillità. Per poi finire con un ritorno molto gradito: l’abolizione della tassa di successione cui segue quella sulla casa e sulle auto. Per il momento sembra bastante, ma per il futuro altre proposte verranno fuori. E noi stiamo aspettando questa panacea. Intanto chi non ci sta, con queste idee populiste rivolte a gestire la cosa pubblica, stia fuori. L’ha detto recentemente Grillo a proposito di una candidata sindaco, ma che oggi col sessualmente corretto bisogna chiamare sindaca, e che riguarda la sua città, Genova. Candidata che lui ritiene persona non meritevole, perché o non sufficientemente preparata o, e questo è peggio, non sufficientemente fedele al movimento e soprattutto a lui stesso. Da tutte queste premesse, si può pensare che ci stiamo dirigendo verso una nuova democrazia. Che si mantiene sulla carta, ma nei fatti autorizza soluzioni autoritarie. Create per volere del popolo. Che si è stancato delle solite promesse, degli scandali, dei privilegi di casta ed il cui modo per reagire è o astenersi dal votare o mettersi nella mischia per cercare di crearsi un tiranno che lo comprenda e lo assecondi, anche se costretto a rinunciare ad un po’ di libertà. Ma a lui esasperato, basta contrapporre scandalo a scandalo, privilegi a privilegi, favori a favori, purché possa accedere lui stesso alla greppia. E poi vada come vada. Chissenefrega. E a proposito del chissenefrega, se proprio non abbiamo scampo speriamo solo, che se tiranno debba esserci, che non sia unico. Trenta, andrebbero meglio come successe in Grecia dopo la guerra del Peloponneso. Allora infatti durarono poco, appena otto mesi e poi furono cacciati via a furor di popolo, nel frattempo rinsavitosi. Che questo ci insegni qualcosa, lo dubito.