rotate-mobile
Venerdì, 19 Aprile 2024
Anticaglie

Anticaglie

A cura di Carlo Giarelli

La febbre dello scrivere

C’è febbre e febbre, ma stavolta, per quanto riguarda le cause, di febbri ne considero solo due. Contrapposte e nello stesso tempo alleate. Insomma due condizioni dell’essere umano, che si conoscono, ma che nello stesso tempo, non si guardano. Anzi si disinteressano l’un l’altra. Infatti poiché una febbre non riguarda tanto il corpo ma lo spirito, inteso come capacità intellettiva, non è per niente facile separare queste due componenti. Soprattutto al fine di farsi capire dal lettore. A questo punto, colto da una di queste febbri, potrei battere in ritirata. Nel senso di mettermi a riposo, abbandonando la tastiera del computer. Ma come dicevo all’inizio c’è febbre e febbre. Quella che abbatte e quella che in certi momenti gratifica. O meglio che alza la sua temperatura, senza compromettere quella che si chiama lo stato di forma. Ma andiamo con calma. Quello che voglio intendere è che in entrambi i casi c’è di mezzo un virus: tutti e due per la verità invisibili, ma uno ancora più invisibile dell’altro. Infatti per quello che riguarda lo scrivere, non ci sono elementi di misurazione e nemmeno delle cure efficaci. Tuttavia come dicevo prima, entrambi i virus sono interdipendenti, soprattutto in questi momenti di pandemia. Dove l’immobilità obbligata, fa scoprire la dimensione del tempo. E col tempo la possibilità di misurare il tipo di febbre. E non mi riferisco al solo termometro per la misurazione della temperatura da virus, ma ad una seconda febbre che riguarda chi si mette a scrivere queste cose. Per chi fa questo? Sinceramente dovrei augurarmi per il lettore, ma non ne sono poi così sicuro. Infatti per leggere ci vorrebbe una terza febbre, quella che ti obbliga a non accontentarti di quello che già sai.  La quale di conseguenza ti dovrebbe spingere ad aprirti a qualche altra curiosità del sapere e del confronto con gli altri, fra cui chi scrive.  Continuiamo allora col dire che se la febbre rappresenta la causa, conviene passare ora agli effetti, intesi come cura. La quale come tutte le cure non sempre soddisfa i bisogni e le attese. Nel caso specifico della lettura, i rimedi non sono per niente facili, anche perché i simboli sono mutevoli.  Tanto che spesso quella che ho chiamato febbre, si può trasformare in febbricola e questa a sua volta, in una caduta di tensione e diventare pericolosa ipotermia. O addirittura uno stato di nausea per il lettore, che, guarda caso, costituisce  lo stesso  sintomo  dell’infezione virale. Altra analogia questa fra virus e lettura, che si verifica quando appunto chi legge si stanca di continuare a seguire quel  filo  delle parole scritte che si era già  sfilacciato, prima di interrompersi completamente.  E questo causa  la noia e  la stanchezza che  della noia costituisce l’indispensabile antefatto. In questo caso di farmaci non ne esistono. L’unico esistente può  essere l’interesse  che può suscitare un argomento, legato soprattutto al modo di presentarlo. Non ho le credenziali per rispondere a questi interrogativi. La curiosità infatti nel saper trattare un tema è un fatto talmente personale che risente di troppe componenti e di altrettante visioni delle cose.  Se questo riguarda  il mezzo, poi c’è il modo, che si può chiamare, in termini elevati, anche stile. E qui subentra un secondo limite, per chi , come me, vanta solo la possibilità di rispettare le regole della  sintassi  e non può di certo ergersi a giudice o maestro. Detto questo dovrei chiudere mettendomi la cenere sul capo  e chiedendo venia al lettore. Ma , senza prima considerare una  eccezione che  mi sento di proporre a proposito dello scrivere. Trattasi di un elemento che non riguarda tanto lo stile, ma un simbolo grafico che testimonia una convinzione dell’essere. Quello di   mettere in dubbio  certe certezze, traducendole dunque nel suo modo di interpretarle, attraverso lo scrivere. Poche cose lo so, ma  forse  val la pena continuare. E condensando questo dubbio in un segno grafico, non trovo di meglio che contrapporre all’arrogante punto esclamativo, il pacioso e tollerante punto interrogativo. Segno grafico a parte, si ricorda come il famoso critico d’arte  Ugo Ojetti, celebre per i suoi aforismi, considerava il punto esclamativo, il peggio del peggio nel valutare sia lo scritto che lo scrittore, allorchè, quest’ultimo, si dimostrava  affetto dal virus ( ecco un'altra analogia) della verità. Espressioni quali daga, stuzzicadenti, alabarda e punteruolo, rivelavano infatti tutto il suo livore verso questa forma di interpunzione, intesa come una goccia nera d’inchiostro sormontata da un cappello rigido ed esageratamente sovrabbondante, anzi decisamente iperbolico. Ma come dicevo, segno grafico a parte, quel che più interessa è il suo significato simbolicamente nascosto. Infatti succede spesso che quando si conversa con individui che hanno in sè il punto interrogativo, vale a dire il dubbio positivo, normalmente ci si imbatte in brave persone, tolleranti e disponibili al confronto e tutto sommato inclini ad una visione democratica del modo di intendere i fatti. Viceversa succede il contrario quando ci si imbatte nei punti esclamativi, sotto forma di individui. Generalmente persone dalle grandi certezze, rigidi come il loro segno grafico, che posseggono una fede incrollabile nei loro valori e che per questa fede possono diventare perfino violenti. Ma precisiamo. Per fede non intendo quella religiosa per la quale scrissi un libro intitolato: Al di là del dubbio, per esprimere, in un viaggio a Medjugorie, la ricerca di una vera convinzione di fede. Ma solo e più banalmente altre fedi. Quella  che hanno, ad esempio, i tifosi di calcio, i fanatici delle ideologie più integraliste, ed i sostenitori delle supremazie delle razze. Insomma, nel modo in cui è possibile interpretare il significato simbolico, un semplice segno sulla carta può segnalare una persona per bene, un altro quella che induce a pensare male. Ecco allora perché il punto interrogativo con quel segno arrotondato e per nulla perentorio, vuole esprimere il dubbio che a me piace. Una discreta divinità quest’ultimo, che bussa alla tua porta, per esporre con calma idee attraverso un punto di domanda, pronto a metterle in discussione se nel corso del tempo ci si accorge che  queste stesse, variano col  variare del divenire. Detto questo mi accorgo di non aver risolto granché della cosiddetta febbre dello scrivere. Una condizione questa che rimane tale nel tempo e che a differenza di quella del virus difficilmente guarisce. Al massimo diventa una febbricola, accompagnata in certi momenti perfino da un senso di peso e di insoddisfazione  per non essere stati capaci , di esprimere fino in fondo l’intenzione di farsi capire. Infatti la nausea del lettore rappresenta il tributo da pagare alla dea Seshat, scriba degli dei, per  non aver avuto, fra le altre mancanze, anche quella  di omettere il punto esclamativo al fine di sostituirlo con il simbolo del dubbio. Ed in questo modo, esprimere una verità nella scrittura che neppure i grandi possono vantare da soli, se non  per merito,  la pazienza e la stima dei lettori.      

La febbre dello scrivere

IlPiacenza è in caricamento