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Anticaglie

Anticaglie

A cura di Carlo Giarelli

La Festa Della Libertà

Si chiama festa della liberazione, perché ci ha liberato dal fascismo. Ma a distanza di oltre 70 anni,  rimangono alcuni dubbi su questa liberazione.  Intendiamoci non si tratta di dubitare che la caduta del fascismo non sia stata una cosa buona. Tutt’altro.  I dubbi riguardano il chi e il che cosa rispetto a quanto ci è stato insegnato da sempre, dai manuali di storia. Cominciamo dal chi e poniamoci allora la prima domanda. Chi ci ha veramente liberati? Secondo la vulgata da tutti riconosciuta come un dato certo e inconfutabile, il merito tocca al movimento partigiano. Sarà vero? Sì, ma anche, no. Cominciamo col sì perché indubbiamente una reazione contro il declinante fascismo c’è stata e molti giovani invece di arruolarsi nel neonato partito fascista dell’ormai altrettanto declinante Mussolini, riparatosi a Salò per costituire la Repubblica Sociale, avevano preferito piuttosto che arruolarsi, disertare. Il che voleva dire prendere armi e bagagli e andare in montagna per costituire la resistenza contro il regime. Difeso in un clima da fatale tregenda, dai residui combattenti dell’esercito  fascista, rinforzato però dalle sopraggiunte divisioni tedesche venute in Italia, col dente avvelenato , come forza di  occupazione. Episodi di guerriglia partigiana ce ne furono  tante,  in base a quel che raccontano  le cronache e le molte testimonianze, tutte contrassegnate da  prove di coraggio, causa anche  la disparità di forze e di mezzi  da parte delle formazioni partigiane  nei confronti specialmente dell’esercito tedesco, animato da desiderio di vendetta verso gli italiani, considerati traditori. Ma per quanto le brigate partigiane si coprirono di valore, non c’è dubbio che la liberazione non sarebbe mai avvenuta con le loro sole forze, se non ci fossero stati gli eserciti alleati, in particolare americani ed inglesi, oltre a truppe canadesi ed altre , fra cui un corpo nord africano che per la verità si rese famoso  per molti stupri e violenze di  varia natura, contro le donne. Ma non sottilizziamo, perché à la guerre come à la guerre. Ed indubitabilmente la ragione stava da una parte, quella dei  liberatori. Fin qui ho parlato del chi, ma ora bisogna dare risposta al che cosa erano animati i nostri resistenti. Abbattere una dittatura  il loro primo obiettivo, esasperati da un regime che aveva portato prima illusioni fanatiche e poi i disastrosi effetti di una guerra combattuta per solo spirito di potere, con molti morti sia soldati che civili, causa le disastrose operazioni militari  ed i bombardamenti  di intere città. Ma soprattutto  c’era  il desiderio di libertà che animava quei   giovani combattenti partigiani, disposti a rischiare la pelle, pur  di combattere una guerra giusta contro il nemico di casa in camicia nera che si ostinava a non voler accettare l’ultima agonia. E poi   contro il nemico di fuori( poco prima alleato) che storicamente  per noi è sempre stato l’odiato  alemanno fin dal tempo del Giusti. Bisognava insomma sgravarsi da tutte quelle imposizioni e costrizioni di una dittatura perversa che si era alimentata del sangue dei tanti disillusi  per respirare un’ aria nuova, alimentata da nuovi ideali. Quali? Contrapporre come sostenevano molte  formazioni partigiane ( la  maggioranza) al vecchio ideale fascista ormai vinto dalla storia , uno di nuovo conio, almeno per il nostro paese, ma già esistente nella Repubblica sovietica. E che trovava nel  simbolo e nell’immaginario comune un nuovo sole , quello dell’avvenire. E con il sole un diverso colore: il rosso al posto del nero, ormai diventato funereo causa i lutti e le disgrazie prodotte. Dunque si arriva alla fatidica data: il 25 aprile  che segna il cambiamento di rotta della storia. Che tende alla rinascita di un popolo, che  aspira ad un nuovo ordine. Si abbattono i vecchi simboli e il simbolo dei simboli, rappresentato dal fautore di tante stragi e il coercitore della libertà, chiamato con altisonante espressione romana, duce, il quale, catturato, viene ucciso e poi per dileggio appeso con la testa in giù su un traliccio a Piazzale Loreto in quel di Milano. Con accanto la sua donna , di nome Claretta Petacci la cui unica colpa è stata quella di non abbondonare il suo uomo,  diventato  idolo e rimasto tale anche nel più triste e tragico   momento di una vita,  rapidamente trasformatosi in atto di morte. Questa la storia, che conosciamo. Quel che però ci interessa sapere, è come  in base a questa stessa storia, si sia creata una epopea della vittoria, che suona da sempre come liberazione da una dittatura per costruire un nuovo modello di società. E che avrebbe potuto diventare  un pericolo  per fortuna non verificatosi. Consistente  nel  contrapporre ad una ideologia morta col suo mentore, un’altra, come ho detto di un colore  vermiglio che  con le sue bandiere  sventolanti da parte di molti ex fascisti, diventati comunisti, ha riempito non solo le piazze, ma molti cuori. I quali palpitanti con lo stesso fanatismo dell’antico regime, guardavano però da un’ altra parte. Verso l’est, dove un popolo aveva vinto la guerra  contro il  nemico invasore, quello della croce uncinata, ma che  a sua volta   dal tempo della rivoluzione  del 1917 non riusciva a vincere la battaglia delle battaglie, quella per la libertà.  Causa un’ideologia, che affidava  ogni potere ad uno Stato sostenitore della  cosiddetta equità sociale con la comune distribuzione della ricchezza.  Per realizzare insomma l’utopia del tutti uguali a prescindere dai meriti e dalle capacità individuali.  Un’ideologia questa , che poi  di fronte all’ineluttabile evoluzione degli eventi, non riuscirà a nascondere i suoi drammatici errori. Ma queste sono cose che avverranno molto dopo, con la caduta, avvenuta nel 1989, del muro di Berlino. Quel  che ci interessa è come sarebbero avvenute le cose in Italia, se avessero trionfato quei combattenti, che al posto di alzare il braccio con la mano tesa preferivano alzarlo col pugno chiuso.  Quelli che nei primi anni del dopoguerra si presentavano da liberatori nei confronti dei vecchi sogni, costruendone  altri. Spesso col “sangue dei vinti” come ha scritto in un suo famoso libro il sorprendente Pansa che non si è piegato alla vulgata celebrativa della Resistenza, quella del senza se e senza ma, evidenziandone oltre ai meriti i demeriti. Fatti, specie nel cosiddetto triangolo rosso, di vendette,  uccisioni, misfatti , pericoli e fanatismi che se avessero preso piede ci avrebbero portato ad una nuova dittatura. Addirittura peggiorativa rispetto alla precedente. Fortunatamente non avvenne questo. Ed i meriti vanno a chi seppe coniugare la lotta partigiana ad altri ideali. Non  quelli ideologici di stampo sovietico che sembravano in quel momento pericolosamente minacciosi nel convincere i nuovi evocatori, come detto, di una nuova giustizia sociale del tutto uguale, ma che fortunatamente vennero battuti per merito di forze politiche che credevano in un’  altra concezione di democrazia basata sulla libertà  di ogni singolo individuo.  Ripudianti la tremenda  concezione statalista, mossa  dalla pretesa di costruire una società perfetta senza alcuna differenza di meriti( con l’eccezione dei burocrati e dei funzionari di partito)preferendo  affidare ad ogni essere la propria dignità di  uomo e di  cittadino. Con la libertà di parlare ed  agire, senza dovere rendere conto a nessuno del proprio diritto naturale che di fatto si identifica, come giustamente ha sostenuto  Benedetto Croce  nel suo libro: Storia dell’Europa nel secolo decimonono, con una ideologia di stampo  liberale. Sappiamo molto bene che se la storia con i suoi  cambiamenti non sempre comprensibili, ci ha dato una mano, la cosa non è avvenuta senza contrasti. Perché molti anni e molte lotte  si sono dovute combattere per realizzare questa conquista.  Quel che si vuole sostenere è come, con la liberazione, abbiamo rischiato un po’ tutti di essere liberati da quella stessa libertà  ritrovata e poi messa  in discussione dal pericolo rosso e  per la quale molti avevano combattuto . Quindi per concludere, è  ormai giunto il tempo di parlare di guerra di libertà e non di liberazione. Se non altro per riequilibrare i fatti e stabilire un principio che dovrebbe essere condiviso da tutti (o quasi) gli attuali  veri democratici. Perché il bene più alto per ogni uomo non è tanto e  solo la liberazione da un regime dittatoriale, ma la liberazione dalle proprie ossessioni ideologiche. Quelle  che illudono di costruire un uomo nuovo e una società nuova, teoricamente studiata  e considerata perfetta a tavolino. Ecco allora l’apologo finale.  Temiamo i duci , gli Hitler e gli Stalin di turno, ma paventiamo anche i duri ed i puri della storia. In sostanza diffidiamo dei fanatici di un nuovo ordine che nelle intenzioni si propongono di portare la perfezione in terra, indipendentemente  dalle differenze individuali.  E liberiamoci da questi sempre risorgenti fantasmi ideologici, per credere convintamente come la vera   liberazione sia solo   quella che si ottiene scomponendo il  suo  nome,  che diventa pertanto libertà d’azione. Meglio ancora azione per la libertà. Non ci interessa altro.                       

La Festa Della Libertà

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