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Anticaglie

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A cura di Carlo Giarelli

Lo schiaffo del Papa

I tempi cambiano e non è una novità. Ed in fatto di schiaffi, anche il Papa non è diverso da tutti gli altri uomini. Se ne ricordano almeno due, di schiaffi. Uno subito e l’altro dato. Cominciamo con quello subito. Bisogna andare indietro nella storia, fino all’anno 1303. Il Papa Bonifacio VIII si trova in Anagni e riceve due emissari del re Filippo il Bello: Gugliemo di Nogaret e Giacomo detto Sciarra Colonna. Entrambi intenzionati, per ordine del loro re, ad ammorbidire la posizione del pontefice riguardo alla presunta supremazia del potere temporale su quello spirituale. Irremovibile il Papa, uno schiaffo partì da uno dei due emissari (non si sa bene da chi) e la guancia del Papa divenne rossa non solo per inturgidimento di sangue, ma anche di vergogna, oltreché di rabbia.  Da allora la storia riporta tante vicende a proposito di Papi, come quella che riguarda Giulio II che per contestare la cosiddetta ipocrisia del linguaggio curiale, disse che avrebbe pronunciato la parola cazzo fino a punto di renderla pulita e ben accetta, allorquando subentrerà l’abitudine ad usarla. Di schiaffi però non se ne ricordano altri, nella storia della Chiesa, se in questi giorni non ci fosse stato l’episodio di Papa Francesco. Tutti ormai lo conoscono. Durante il suo viaggio fra la gente assemblata in Piazza San Pietro, la mano del Papa stringe e benedice altre mani in segno di condivisione fraterna. Succede però che una fedele non si accontenta del solito abituale saluto ed una volta raggiunta dalla mano del Papa, la trattiene con forza con l’intento di avere un colloquio più personale con il vescovo di Roma, sulla cui natura non è lecito fare commenti. Il Papa bloccato per un attimo da quella stretta, non ci sta a subire il forzato arresto e fa partire di colpo uno schiaffo contro quella mano offensiva e maleducata.  Finché liberatosi dalla stretta, se ne va con la faccia imbronciata, ma a bocca chiusa senza profferire verbo. Meno male, verrebbe da dire, perché non si sa mai che quando ci si arrabbia, Papa o non Papa, qualche parola non di quelle al miele possano sempre scappare. Finito l’episodio, finisce l’arrabbiatura ed infatti l’indomani, all’Angelus, il Papa chiede scusa di avere un po’ trasceso.  Cosa dire al riguardo? Come al solito di fronte a fatti importanti i pareri divergono, riunendosi però in due filoni interpretativi principali. I sostenitori ed i critici. Cominciamo dai primi. Il Papa, essi dicono, è un uomo come tanti altri. Vive le sue emozioni e non è esente da passioni che di tanto in tanto possono fare breccia nell’autocontrollo della ragione. Mentre non essendoci nulla di contestabile sotto il profilo morale, non è il caso di parlare di violazione della coscienza che riguarda appunto fede e morale. Per ribadire la loro posizione portano a suffragio due episodi. Quello di Pietro, per la verità a quei tempi non ancora santo e nemmeno pescatore di anime ma solo di pesci, il quale nel Getsemani tagliò in un moto d’ira l’orecchio al servo del sommo sacerdote. Mentre il secondo episodio, riguarda direttamente Gesù che scacciò i mercanti dal tempio e rovesciò i tavoli degli scambiavalute. Dunque l’umanità di Cristo, secondo i suoi estimatori, si ritrova pari pari nell’umanità di Francesco, suo vicario. Un Papa quindi che dimostra di essere uomo fra uomini e ne condivide le pulsioni emozionali in questo caso l’ira. Pronto poi a scusarsi per non essere stato in grado di dominare l’impulso freudiano stoccato nel suo, come nell’inconscio di noi tutti e che di tanto in tanto emerge con la forza irrazionale dell’istinto, Fin qui i sostenitori. Ma i detrattori invece che dicono? Che da un Papa non si aspettano cose normali ma comportamenti altri e alti. Insomma vorrebbero un Papa che ha già superato i limiti della normale condizione umana. Come se il suo processo di edificazione religiosa e di visione della vita tutta improntata alla dimensione sacrale, pur non contraddicendo la condizione umana, la avesse ormai superata. Quasi sublimandola in un convincimento di fede che desse a Cesare quello che è di Cesare, ma solo come una condizione di partenza, superando la quale, tutto ciò che conta è dare a Dio quello che è di Dio, senza cadere nel tranello dei condizionamenti  terreni. Insomma il Papa, essi dicono, dovrebbe avere ormai superato le insidie delle pulsioni grazie ad una Grazia ricevuta, che lo autorizzano a farsi chiamare appunto Santo Padre. Due posizioni questi inconciliabili? In apparenza sì. Ma appunto in apparenza.  Infatti entrambe mostrano qualche limite. Da una parte l’umanità che si mantiene tale nelle piccole cose quotidiane, dall’altra una umanità che invece si apre, nobilitando se stessa, nella sola dimensione ed edificazione celeste. Qual è allora il punto discriminatorio fra le due umanità? Difficile dirlo. Nemmeno Sant’ Agostino, ci riesce, lasciando spazio almeno all’inizio al dubbio. Pregando infatti Dio di concedergli la castità, aggiunge subito dopo: ma non subito. A riprova che la santità è un terreno difficile da raggiungere  al punto che  qualche scivolamento iniziale, diventa indispensabile , perfino quasi obbligatorio.          

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