rotate-mobile
Venerdì, 29 Marzo 2024
Anticaglie

Anticaglie

A cura di Carlo Giarelli

Non pensavo di essere un fascista

Non pensavo di essere un fascista ed in effetti non lo penso tutt’ora. Ma un conto è quello che uno pensa, un altro quello che possono pensare gli altri. Per evitare questo pericolo, sembra non valga nemmeno la  mia cultura liberale con sfumature libertarie. Basta solo cedere di quel tanto nel non  voler accettare il politicamente corretto, di solito improntato ad una visione sinistrorsa della vita, che il sospetto ti cade addosso senza che te ne accorgi. Entriamo allora nel merito. In questi ultimi tempi si sono celebrati i tragici fatti delle foibe, che dopo anni di dimenticanza sono diventate una legge dello stato, atta a garantirne la memoria. Ebbene  ricordare le tante vittime, infoibate nelle fenditure delle rocce del carso da parte dei comunisti jugoslavi , sta diventando oggi, un atto equivoco sotto il profilo di una appartenenza ideologica assimilabile ad una visione detta arbitrariamente di destra. Nulla di vero per chi sostiene la verità storica e non è animato dalla voglia di riproporre un atteggiamento rivendicativo, nei confronti di fatti ormai passati.  Ma che importa. Come pure poco serve il  non volere manifestare critiche astiose nei confronti dei  paesi confinanti. Poiché  l’unico intento è quello di dedicare un giorno della memoria ai fatti accaduti. Niente di più e niente di meno. Eppure anche con questo atteggiamento di rispetto verso la storia, senza nessuna pretesa di volerla cambiare, qualcosa non torna. Anni di negazionismo si ridestano nella misura di una memoria che sembrava o doveva essere dimenticata. Interpretare i fatti senza inserirli in un contesto storico più ampio, diventa allora l’espressione di un comportamento settario. Anzi stimola un ritorno di quel negazionismo che oggi si vorrebbe condannare. E no, cari reazionari, dice l’intellighenzia di sinistra che per l’occasione riscopre artatamente una ideologia che nessuno se non qualche  fanatico (di teste calde ce ne sono sempre) vorrebbe mai più rivedere. Sarà  pure così ,dicono sempre i sinistri, ma la cosa non convince. Vedere solo i fatti da un lato suscita sospetti e evoca fantasmi. E se anche questi ultimi non ci sono, che importa, si inventano. Chiamare un tranquillo libero pensatore che non concede nulla al politicamente corretto in versione sinistrorsa,  e farlo diventare un nemico è lo strumento per accendere una polemica che condanna chiunque non è della propria idea. Quella che accetta la storia, ma in realtà la rifiuta. Adducendo giustificazioni che contrappongono un primo male ad un secondo. Dove questo secondo è molto più grave del primo, tanto da definirlo assoluto. E poiché oltre all’assoluto non c’è più niente di peggiorativo, chiamiamolo, fascismo e chiudiamo con  le rievocazioni. Sempre in sospetto di stinteggiare quel colore rosso, che  come stava bene allora  sta bene anche adesso.  Vietato vietare  è il motto sessantottino  che è diventato più che  un‘autodifesa, un movimento di pensiero e di azione contro un pericolo fantasma che viene continuamente rievocato per cercare di incarnarlo in un nuovo belzebù. In questo non si fa fatica a scoprire al di là delle fattezze fisiche, la vera anima del mostro. Basta  chiamarlo Salvini, che il passato, ormai consegnato ai libri di storia, ritorna per il piacere di suscitare la reazione spesso violenta dei nuovi resistenti. L’inno nazionale diventato: Bella ciao, oltre a far vibrare le corde vocali, fa vibrare i sentimenti contro l’odiato nemico.  L’odio per odio, il primo giustificato perché chiamato democratico, diventa quindi la nuova legge del taglione che induce a tagliare i rapporti con chi viene definito con un epiteto    gentile un sovranista e con un epiteto  meno gentile ma omnicomprensivo un fascista.   Con in più qualche simpatia nazista per non dimenticare nulla nella sfera dell’odio.  Ebbene in  questo clima, chi evoca il male non è degno di stare fra le persone civili, dette a prescindere democratiche, secondo la dizione della democrazia che ci rimanda alla Repubblica Democratica della Germania est. Per non essere intruppato in questo clima della ricoperta del male assoluto, il tuo, e quindi anche il mio passato  non conta. Essere liberali diventa sospetto, in quanto non c’è da fidarsi. In fondo questa ideologia che non è di destra e nemmeno di sinistra, essendo contraria ad ogni potere dittatoriale, per il fatto di  contestare le due ideologie, diventa fonte di una posizione equivoca, cui non bisogna cedere, al fine di non  rinunciare a vincere contro il male assoluto. La lotta quando è dura è anche pura. Urge stare da una parte o dall’altra, ma non a metà strada.  Lo dicono i fatti che capitano, sardine incluse, che non ammettono vie di mezzo e non accettano l’ autonomia del pensiero che rifiuta ogni coercizione. E che mette al primo posto  la libertà di pensare ed agire senza paraocchi e senza inventarsi nemici per non fare il gioco di quei ( soli) fascisti oggi esistenti, che sono  diventati  oggi gli antifascisti. Un esempio di quanto detto, è presto qui descritto ed è solo uno degli ultimi. Siamo all’Università di Torino. E paradosso della storia nella palazzina del campione della ideologia liberale; Luigi Einaudi.  Cosa succede? Che l’Anpi organizza un convegno sulle foibe dal titolo: Fascismo e colonialismo foibe.  Dove con una infinità di distinguo si mettono sullo stesso piano i crimini delle foibe con  quelli compiuti in precedenza  dai fascisti. Tutto quindi sembra giustificato e le foibe devono rientrare nella dimenticanza. Si oppongono a questa interpretazione gli studenti del Fuan (organizzazione giovanile di Fratelli d’Italia) che organizzano un banchetto fuori dall’Università con tanto di manifestini da distribuire ai passanti. Non sia mai. Si mobilitano gli studenti sia dall’interno, chiamati antagonisti,  sia dall’esterno integrati dai gruppi sociali con l’intento di impedire la diffusione dei volantini. Entra il gioco la polizia per impedire gli scontri. Per farla breve, gli antagonisti non si accontentano della loro azione violenta contro gli oppositori, ma vogliono anche occupare alcune aule universitarie per denunciare il sopruso delle forze dell’ordine contro la loro giusta battaglia nel voler impedire ad altri studenti, i cosiddetti fascisti, di manifestare. Dopo aver sedato gli scontri all’esterno, ora la polizia entra anche nelle aule occupate per sgomberarle dai facinorosi al fine di non impedire l’attività di studio. Ma cosa succede?  Che in una di queste aule, la professoressa  Raffaella Ferrero Camoletto, associata al corso di laurea di Sociologia, sta interrogando alcuni studenti. Lasciare l’aula, si chiede, non sia mai. Protesta  e minaccia, ma alla fine deve cedere: abbondonare l’aula e sospendere la seduta d’esami. Vinta? No. Infatti  ha in serbo un’ arma, molto potente, quella del docente  che mette prontamente in campo: il voto. Il trenta politico per tutti, bravi o asini, scatta  fulmineo e dalla mente esacerbata diventa cosa scritta. Il libretto è a posto ed è la solita prosecuzione dei libretti della sinistra da quello rosso di Mao a quest’ultimo. In questo modo la protesta, vera e democratica,   può considerarsi andata a buon fine con la soddisfazione degli esaminandi,  il cui merito passa dai libri di studio, alla ideologia antifascista e ovviamente  democratica. Il commento a questo punto non mi viene, perché ogni critica non serve, considerandola inutile.  La condanna è nei fatti ed un conservatore come me deve accettare suo malgrado il suo destino. Essere considerato per la politica un fascista e per la chiesa un peccatore.   

Non pensavo di essere un fascista

IlPiacenza è in caricamento