rotate-mobile
Martedì, 23 Aprile 2024
Anticaglie

Anticaglie

A cura di Carlo Giarelli

Piacenza e il "Nemo propheta in patria"

Intendiamoci: non voglio dire che sia la nostra una città dominata dall'ipocrisia. Trattasi solamente di una città provinciale in cui ci si conosce un po' tutti. E chi si conosce non è mai visto come un caso unico e stimabile per le sue doti fuori dal comune

La locuzione è famosa e in sostanza vuol dire che nessuno è stimato nella sua terra, ma non tutti sanno chi è l’autore. In realtà non di uno si tratta, ma di quattro. Tali sono gli evangelisti che riportano una frase di Gesù Cristo, il quale ritornato a Nazaret, dopo aver partecipato alla liturgia nella sinagoga, subisce la reazione di rifiuto da parte dei nazareni, i quali non lo ritengono l’unto del Signore. Colui quindi destinato a ricevere lo Spirito Santo. Da allora molte cose sono cambiate anche in fatto di fede, ma non la veridicità della locuzione che al pari di una profezia mantiene la sua validità anche oggi. Utilizzo allora la frase a proposito di un amico, cui ho parlato di recente, che l'ha pronunciata causa il cambiamento di destinazione (diciamo così lavorativa e non dico di più perché non venga individuato), destinazione - dicevo - associata ai cambiamenti di diverse città nella misura di dieci nell’arco di vent’anni. Per cui era naturale il mio augurio di sistemarsi al più presto a Piacenza, sua città natale. Gli auguri si sa sono pericolosi. Sia che siano sinceri, come ovviamente nel mio caso, perché nelle previsioni prende possesso un elemento scaramantico che, causa la capricciosità della sorte. non li rende  spessoattuabili, sia che non siano sinceri. In quest’ultimo caso, è come pronunciare un rito anti propiziatorio. Cui al pari di un talismano o di un amuleto affidare la speranza che mai si verifichi l’augurio falsamente invocato. L’invidia e l’inimicizia sono spesso i carburanti di tali ipocrisie che si insinuano nell’animo umano, non sempre votato al bene.

Ma andiamo avanti e dall’amico passiamo alla nostra città che della famosa locuzione  se ne è sempre servita. Intendiamoci non voglio dire che sia la nostra una città dominata dall’ipocrisia. Trattasi solamente di una città provinciale in cui ci si conosce un po’ tutti. E chi si conosce non è mai visto come un caso unico e stimabile per le sue doti fuori dal comune. Di lui si ricordano anche quei fatti che  fanno parte delle debolezze e su queste ci si spreme per amplificarle. Tanto che come dice un proverbio inglese, nessuno può essere considerato un santo dal proprio maggiordomo .Il risultato, ritornando dalle nostre parti, è che il caso eclatante passa oltre le nostre mura fino ad approdare in altre patrie. E lì se trova la prova del suo valore, arriva la notorietà e a volte la fama, per poi  diffondersi  a macchia d’olio. Finchè una volta ritornata la fama nella città di origine, gli elogi si sprecano misti alla giustificazione di essere arrivati in ritardo rispetto ad altre e meno provinciali piazze. Così va il mondo. Il risultato è che in questo modo la città non cresce o cresce poco. Non si costituisce al suo interno un carattere, una specificità, una identità che valorizzi  meriti  e ambizioni onde creare quel presupposto culturale in cui far progredire anche in loco i suoi figli più meritevoli.

Ma non è detto che le cose stiano così. Si potrebbe anche avanzare un’altra ipotesi. Che ogni città, insieme di tante case, abbia i suoi lari e penati. In altri termini  che  il carattere dei suoi abitanti sia legato ad un destino che rende tutto predeterminato e al quale non si può sfuggire. Dove insomma tutto si realizza, come per le tragedie greche, indipendentemente dalla volontà dei suoi abitanti. Come se le storie che succedono al suo interno rispondano ad un destino fissato e prefissato dalla notte dei tempi. Il tutto legato a cause esterne all’uomo il quale non può sfuggire al suo ineludibile determinismo. La responsabilità sarebbe allora da attribuire agli eventi naturali sia in terra che verso l’alto, in  cielo, coinvolgendo quindi il mondo delle stelle. Da qui l’interrogativo che si chiede se siamo nati sotto una buona o cattiva stella.Che  quest’ultima teoria sia poco verosimile ce lo dice la psicologia. Per essa anche l’uomo ha la sua importanza e dunque sembra giustificato ritornare al criterio della responsabilità degli abitanti. Infatti il destino non è più visto come un assoluto cui tutti debbano ubbidire, dei dell’olimpo inclusi, ma come un contenitore che si incista dentro ogni uomo in una zona incerta e imprecisa che ancora oggi si chiamava inconscio. Un zona della coscienza o dell’incoscienza questa, misteriosa e poco comprensibile, che fa parte dell’io ma nello stesso tempo lo sfugge. Un’area  che non esclude spazi di autodeterminazione per appannare l’irriducibile tracotanza del destino, come un tempo le Moire ammonivano. 

Soprattutto di questi tempi tecnologici in cui esso, l’inconscio,manifesta il suo imprinting nel corpo con la determinatezza dei geni. Detto questo,  ritorniamo allora alla nostra città,al suo destino e ai suoi abitanti e quindi al detto,nemopropheta in patria. Perché il caso vuole (anagrammandolo diventa caos) che qualcuno dei suoi abitanti sia già sfuggito al determinismo strapotente, assoluto e immodificabile che sembra  invece paralizzare gli altri concittadini. Con lui la città sta conoscendo il suo periodo di rinascita. Nessuno sfugge al merito e se è il caso alla gratificazione del ricordo. Scritti e parole, attraverso pubblicazione ed incontri culturali animano la città. Sulle case compaiono iscrizioni e lapidi che ricordano i nativi illustri e nello stesso tempo ammoniscono chi della cosa pubblica dovrebbe avere più a cuore le memorie. Che questo personaggio sia l’artefice di tutto questo non ci sono dubbi. Più interessante sapere perché  e da cosa sia mosso in questa sua frenetica attività di valorizzare l’anima cittadina. L’amore verso la città è la prima risposta, ma ce n’è una seconda per me più soddisfacente e che trova più credito anche in campo psicologico.

E’ la libertà associata alla volontà, la vera molla costitutiva di una mente tesa acompetere con  il destino. Di fronte a tali propositi si dimostra che nulla è definitivamente deciso e che quell’assoluto che è dentro di noi, dalla realtà può anche essere trasferito nella dimensione della favola cui  attribuiamo, a seconda dei casi, pocao troppaimportanza. In campo filosofico tutto questo non è una novità. Già Eraclito diceva che tutto cambia, ma per cambiare ci vuole la forza, il fuoco sacro di volerlo fare. Oltre alla filosofia anche la storia ce ne dà ragione. E diventa spontaneo scomodare, nella successione dei vari periodi, il cinquecento al fine di veder cambiare il rapporto fra l’uomo e la natura fino a quel momento troppo rigido e prefissato. Nel caso nostro, l’uomo di cui parlo mi rimanda a quel periodo. Mosso non tanto da spirito di carità, ma di giustizia a dimostrare che attraverso la libertà di voler essere, si  può perfino modificare il caos in meglio.  Il risultato è quello di dare ossigenoallo spirito cittadino. Che, come sappiamo, quando si perde nelle piccole cose, causa lamancanza di idealità, cade  e scade nella rassegnazione. Da tutto questo si deduce che  anche in patria, meglio dire  nella nostra città, qualcuno può definirsi profeta. Riconoscerlo equivale a riconoscere  in noi stessi la speranza che non tutto è perduto. Se poi a qualcuno questo profilo dà fastidio ,ritenendolo una sorta di panegirico, peggio per lui. Io, libero, vanto la libertà di esserlo sia nelle critiche che negli elogi. E poiché la verità non si può occultare, non nego che questi ultimi, gli elogi, soprattutto se oggettivamente incontestabili, mi danno la soddisfazione di chi crede in quello che scrive. Pax.

Piacenza e il "Nemo propheta in patria"

IlPiacenza è in caricamento