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Anticaglie

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A cura di Carlo Giarelli

Piccola storia del trasformismo politico in Italia

Cosa sia il trasformismo politico lo sappiamo tutti per averlo visto più volte attraverso il comportamento dei più diversi uomini politici. Comunque per dargli  una definizione, potremmo usare la frase di Montanelli: l’arte di trasformare ogni nemico in amico e viceversa. Cui aggiungo. Attraverso la mancanza di veri ideali onde vivere o meglio vivacchiare, al fine di procrastinare ogni cosa per non disturbare qualcuno. Che dunque il trasformismo abbia un significato negativo lo si capisce da questa definizione. La quale caratterizza gli ultimi nostri governi, i  cui rappresentanti hanno sempre anteposto la loro carica, detta anche poltrona, agli interessi generali. I quali interessi abbisognano, per essere realizzati, di uomini che hanno e fanno progetti a lungo termine e vantano di possedere alti ideali, ma che siano  poco interessati alla piccola dimensione quotidiana di una politica fatta di compromessi, di astuzie o furbizie. Tutto questo onde favorire l’arte del trasformismo: non creare pericolose condizioni di rottura in seno ai partiti e non farsi dei nemici all’interno dei governi. Un primo risultato da raggiungere, è quello di non pregiudicare la propria statura di uomo politico.  Un secondo, anche se involontario, quello di suscitare discredito presso l’opinione pubblica e   creare movimenti di pensiero antipolitici. Come ultimamente si è verificato. E valga per tutti il movimento 5 Stelle che agli inizi aveva raggiunto proporzioni superiori al 30%

Se dunque la caratteristica del trasformismo è chiara, non altrettanto la sua origine storica. Primo fra i primi ad utilizzare la politica del trasformismo, un padre della patria, il conte Camillo Benso di Cavour. Per la verità il trasformismo in Cavour, fu solo occasionale e mai divenne elemento stabile, della sua politica. Cosa diversa in Agostino Depretis, deputato di Stradella che tenne il governo per 11 anni dal 1876 al 1887 come esponente della sinistra. Ebbene mai fino ad allora il trasformismo ebbe questo nome, finchè lui ne fu lo scopritore. Il suo modo di essere e di fare, quello di procrastinare sempre tutto senza prendere mai una decisione, che fosse coraggiosa e personale.  Questo il suo sistema, utilizzare la tecnica delle interpellanze, delle mozioni, dei cavilli procedurali, nei ridotti dei corridoi o dietro le quinte di palazzo, per stemperare i contrasti attraverso il gioco delle convenienze. Dichiararsi progressista e di sinistra gli serviva per accontentare gli uni, ma senza scontentare gli altri, perchè nei fatti si comportava in modo familiare con tutti. Attraverso promesse che non conoscevano colore politico. Un incendiario che si trasforma in pompiere, sarebbe la descrizione a lui più congegnale. Ma di definizioni se ne guadagnò sia a destra che a sinistra ed anche fra i letterati, quali il Carducci che lo chiamava con un certo disprezzo, l’irto, spettral vinattiere di Stradella. Fra i suoi più accaniti detrattori, va anche ricordato un politico e giornalista di quel periodo storico, un certo Petruccelli della Gattina, il quale scrisse articoli anche sulla Cronaca Bizantina assieme al mio avo Francesco. Ebbene questi gli epiteti (parlo di Petruccelli), rivolti a Depretis boia, clown, volpone, mago, Caino per finire con Giano bifronte. In compenso, sempre Depretis ebbe anche qualche difensore. Fra tutti, Silvio Spaventa, che con ironia involontaria non ebbe altro di meglio da dire che paragonarlo ad un cesso che resta pulito nonostante accolga tutte le porcherie. Superato Depretis. Passiamo ad un altro campione del laissez faire, che lasciò la situazione politica italiana così come l’aveva trovata. Immersa nel clientelismo, nella corruzione e nelle ambiguità dei ricatti. Mai una parola contro questi vizi italici, da lui fu pronunciata, anche perché parlava poco e male. Infatti una volta disse alla Camera che quando aveva finito di dire aveva anche finito di parlare. Con Giolitti le affinità rispetto a Depretis si sprecano. Stessa vocazione a non prendere di petto i problemi, analoghe attrazioni dottrinarie e  uguale capacità di variare le maggioranze rendendo fluidi gli schieramenti  secondo i modi diversi in cui si presentavano i problemi. Facciamo un altro passo avanti ed arriviamo ai tempi più recenti. Dove cambiano i nomi, ma non i comportamenti. I personaggi si sprecano specie in seno alla DC. Comincio e per primo cito Amintore Fanfani, chiamato da Montanelli, il rieccolo, per la sua tempra di non dimettersi mai e di stare sempre a galla.  Prima come giovane docente di Economia, in sintonia col fascismo, fino a firmare per eccesso di zelo mussoliniano, il Manifesto della razza nel 1938. In seguito però cambia strada e si lega alla Dc. Ne diventa segretario e poi per cinque volte Presidente del Consiglio dei ministri dal 1954 al 1987. Con lui ricomincia il trasformismo politico. Il governo infatti non agisce con lui in base a propri disegni improntati a determinate visioni di comportamenti etici o di stili di vita. Meglio ricorrere, ecco il trasformismo, al quieto vivere, attraverso l’alleanza con le opposizioni. In pratica il detto latino, quieta non movere et mota quietare, applicato alla lettera. Infatti l’alleanza, sempre il nostro, la trova e senza alcuna difficoltà. A disposizione il PSI di Nenni, con quale deve ingoiare il rospo della nazionalizzazione dell’energia elettrica. Siamo attorno agli anni 60. Un decennio dopo ci riprova col trasformismo un altro Presidente del Consiglio. Magro e sempre un po’ triste come il suo nuovo alleato. Aldo Moro il primo, Enrico Berlinguer il secondo. Ed il compromesso storico, il frutto della loro alleanza, che si può definire la loro  terza realizzazione per  dividersi le responsabilità di governo. Poi sappiamo come andò a finire con l’uccisione di Moro da parte delle brigate rosse che diedero all’Italia i cosiddetti anni di piombo.  Continuiamo nell’elenco. Perchè altri due nomi di fautori del trasformismo furono  Mariano Rumor ed Emilio Colombo, due esponenti di spicco sempre della DC .rappresentanti del doroteismo. Una teoria politica, se di teoria si tratta, di cui non si è mai capito cosa fosse, ma solo cosa volesse.   Quello di calcare il solito vezzo, una vera mania del potere, di stare sempre a galla. In pratica rinverdire il vecchio schema, già in uso presso Ferdinando II di Napoli. Amico di tutti e nemico di nessuno.  Ma, nel caso di questi due politici, con una variante tipicamente democristiana, legato allo spirito di sacrestia e alla netta differenza fra parole e fatti. Finchè si arriva ad Andreotti dove il trasformismo si trasforma in immobilismo a proposito dello stellone (l’Italia), secondo il detto il potere logora chi non ce l’ha. Ebbene siamo arrivati ai nostri giorni e la tradizione continua. Ora c’è Conte, avvocato e professore universitario, ma anche Presidente del Consiglio. Spiaggiato al Governo, senza il voto popolare, ha imparato anche lui il mestiere, quello di cambiare alleanze, senza un moto di sopracciglio. Gli antichi amici che lo avevano portato alla carica, sono diventati (in parte) nemici. Ma che importa. Bisogna saper scegliere, secondo lo spirito trasformista. In altri termini nulla è vietato e tutto è permesso. Meglio ancora tutto si modifica. Il primo di questi temi l’immigrazione, il secondo la politica europea. Ora siamo al terzo punto, il coronavirus. Le parole sono importanti come dice il regista Nanni Moretti, ma per il nostro attuale Presidente, un po’ meno. Infatti dire un cosa e poi dimenticarsene, per sostituirla con un’altra di significato opposto, per ogni politico non deve sembrare un vizio ma una inclinazione naturale. Una caratteristica o un dono fra le più stimate qualità politiche. Ecco un esempio. Il virus a noi non fa paura, siamo pronti a tutto e la gente deve stare tranquilla. I turisti continuino a venire in Italia dove fra l’altro abbiamo una sanità, fra le migliori del mondo.  A parte quest’ultima considerazione condivisibile, passano due mesi. Mancano le mascherine e quei minimi provvedimenti di difesa personale, riguardante soprattutto il settore curativo, specie quello ospedaliero. La gente muore e fra queste vittime anche medici ed infermieri. Ognuno fa quel che può, perchè al nemico, il virus, ce n’è un secondo quasi altrettanto pericoloso: la burocrazia. Intanto si assiste alla incomprensione fra governo e regioni. E l’Europa? Assente. Conte in questa condizione di emergenza, si muove a tentoni. Le ordinanze si sovrappongono e si oppongono fra loro. La conclusione è che il virus sembra resistente al trasformismo. Non ci resta che sperare ed aspettare il nuovo Presidente. La scuola  del trasformismo, già storicamente ben avviata e ben pasciuta, per la  prossima nomina è pronta. Basta aspettare.     

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