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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Anticaglie

Anticaglie

A cura di Carlo Giarelli

Ritratto di Antonino Coppolino

Nel nome e cognome, sembra tutto in lui un diminutivo. Ma non come persona che invece dal punto di vista umano, professionale e in fatto di educazione è esattamente l’opposto. Dunque dal diminutivo passiamo e passeremo sempre più strada facendo, nello sviluppo ritratto, ad un accrescitivo. Continuando con le sue generalità, se nel nome c’è un riferimento alla terra di origine del padre, dunque alla Sicilia, per lo stesso motivo il nome, diventa tipicamente piacentino, perché ricorda il nostro patrono, cui è stata dedicata la prima cattedrale della città. Se questo riguarda il nome Antonino il cognome invece, Coppolino, non ha nulla di piacentino. Rimanda infatti alla coppola, il famoso berretto nero con visiera del contadino sardo e siciliano che assieme alla lupara, faceva parte del corredo delle vecchie cosche mafiose, che in tal modo dovevano e volevano essere riconosciute per incutere timore. Comunque, sia chiaro, questa digressione sul cognome, in fatto di appartenenza alla malavita sicula, non ha nulla a che vedere con il nostro, che nasce a Piacenza in via Castello, come detto da padre siciliano e da madre piacentina. Anzi, conversando con lui ho avuto modo di conoscere il suo trascorso giovanile in terra siciliana, dove la villa avita in prossimità di Milazzo, con la sua calata al mare, rappresentava la testimonianza di una schiatta nobiliare da cui il nostro proviene. Un esempio questo di come l’antica magna Grecia, nella terra dei Dionigi e di Platone, ha determinato, per schematizzare, due archetipi di popolazione. Da una parte l’antica nobiltà di censo, di modi e di educazione caratterizzata da un assoluto rigore civile e morale, dall’altro l’origine di una tipologia di persone che nella loro vocazione antistato e anti leggi, trovavano modo di allearsi dapprima contro i facoltosi latifondisti e poi contro le istituzioni. Col risultato di pensare di diventare loro stessi stato e di poterlo gestire con proprie regole, fatte di soprusi e coercizioni. Insomma per rendere meglio i due comportamenti, a loro volta condizionati da multipli ragioni storiche che qui non è il caso di scandagliare, si potrebbe anche scomodare l’antico aforisma che ci ricorda come in terra siciliana due sono le possibilità; o carabiniere o mafioso. Detto così pur nella radicalizzazione di una certa mentalità che caratterizza la nostra isola maggiore, ritornando al nostro personaggio, siciliano solo da parte di padre, il suo modo di essere rispetta al massimo la prima categoria, quella non tanto del carabiniere, ma dell’antica nobiltà di quella terra, nella quale e per la quale molto arbitrariamente ho suddiviso la popolazione. Eleganza di modi, correttezza di atteggiamento, rigore morale, sono infatti i contrassegni del suo modo di essere. Il ché vuol dire in sostanza, come l’ antica schiatta nobiliare da parte del padre, trasferita in terra piacentina, in concorso poi con la figura della madre, abbiano reso il nostro personaggio, duttile ed aperto nei contatti umani, cordiale ed amico con gli amici e rigorosamente rispettoso delle norme civili e morali. Ma tutto questo suo agire viene realizzato, con l’arte della discrezione, senza quell’ esagerazione di gesti e modi che spesso si notano in alcuni piacentini cosiddetti del sasso, che assumono atteggiamenti, anche quando non sono autorizzati, fin troppo confidenziali, rischiando spesso di cadere in quei toni troppo disinvolti, che sono parenti prossimi della maleducazione. In Coppolino questo non succede. Un naturale schermo fatto di educazione e riserbo, lo esenta da una comunicazione troppo sbracata. Insomma in lui si notano tante strette di mano, ma mai pacche sulle spalle. Con questo non voglio significare freddezza nei rapporti. Anzi la natura piacentina che per la verità è sempre un po’ riservata presso i cosiddetti piani alti delle categorie sociali, in lui si fonde con l’antica origine ereditata dal padre, dove troviamo un giusto equilibrio di comportamento fatto di umanità ed eleganza. E l’accostamento a Dante a proposito di Manfredi mi viene ora spontaneo col famoso verso: biondo era e di gentile aspetto. Fatte queste promesse, entriamo allora nella valutazione psicologica del personaggio utilizzando la vecchia teoria fisiognomica, che ci consente di decifrare le caratteristiche fisiche e da questa dedurre con qualche personale arbitrio, il carattere. Prima di tutto va precisato che non è biondo e forse non lo è mai stato. I capelli infatti ormai bianchi candidi, folti e pettinati con cura, presentano la scriminatura a sinistra e poi scendono rivestendo le tempie fino a lambire le orecchie, ma con fare talmente naturale, che danno la sensazione di essere così da sempre . O meglio di far parte di un dipinto di stile ottocentesco, che rappresenti in modo statico, personaggi dell’araldica. Lo si vede infatti, osservando il viso di fronte, dove la capigliatura rivela un po’ della sua esuberanza sormontando, come un timido cimiero, la faccia. Ecco allora il primo aspetto che psicologicamente si addice al nostro. Mai nulla di troppo, ma anche mai nulla di troppo poco. Discrezione ed eleganza innata sembrano allora allearsi in fatto di capigliatura, per conferire l’aspetto curato, tipico di una certa nobiltà di origine, come prima ho fatto notare. Ma andiamo avanti. Fronte lievemente bombata, ampia e spaziosa, ma anche in questo caso senza esagerazione, la fronte, dicevo, si completa verso il basso con due sopracciglia cespugliose ( forse questo è l’unico particolare che sa di troppo) che a loro volta sormontano due globi oculari infossati quanto basta per conferire un aspetto pensoso e introiettato. A dimostrazione che l’eventuale curiosità, nel nostro personaggio, non esce dai confini già definiti del troppo , ma sembra imbrigliata da un controllo educazionale che in fatto di stile, contrappone all’apparire futile e vuoto, la dimensione vera dell’essere con tutta la sua vasta gamma di sensazioni. A questo riguardo infatti gli occhi di un colore indefinitamente scuro, non sono mai spalancati ma tendono a socchiudersi per lasciare intravvedere più ciò che si pensa che quello che si vede. Organi di vista e di pensiero quindi, espressione di una personalità complessa, che pensa prima di agire e poi agisce se c’è la convinzione. Il naso aggettante e allungato un po’ appesantito e allargato a livello delle narici, dimostra, se mai ce ne fosse ancora bisogno dopo quanto abbiamo già detto. che trattasi di una personalità più votata al pensiero meditato. Al punto che questa sua caratteristica, gli serve per cogliere gli aspetti più risposti della realtà, onde raccordare ad essi il giusto comportamento. E sempre a proposito del naso, vale ora la pena scomodare la fisiognomica classica, la quale ci ricorda come tutti gli uomini illustri, fin dai tempi antichi, vantavano nasi allungati e di una certa dimensione, se non addirittura aquilini. Gli esempi non si contano e vanno da Cleopatra a Cyrano de Berserac ed infine al burattino Pinocchio. Ma Intendiamoci il naso da solo conta poco, se non si aggiungono altre caratteristiche presenti in altri organi. Queste allora le regole ferree sul valore dell’importanza. L’uomo infatti è da considerarsi di grande caratura , solo se la dimensione del naso si accompagna ad una fronte alta e spaziosa ed arricchita da folte sopracciglia. Al contrario se la fronte è stretta ed il naso posizionato troppo in alto, i valori degenerano ed allora la persona illustre si trasforma in un individuo di bassa lega, fino a toccare i limiti del vanitoso o del chiacchierone quando lo stesso naso presenta caratteri che rimandano al becco di pappagallo. Ebbene se a questa caratteristica fisiognomica bisogna dare credito, tutto si spiega a proposito del nostro, per confermarlo in quella veste di uomo dallo stile raffinato che abbiamo già tratteggiato. E per meglio precisare il concetto, c’è ancora da aggiungere come nessuna caratteristica si possa notare in lui che rimandi all’archetipo del chiacchierone e del vanitoso affetto da superficialità. Abbondonando il naso , per continuare con la fisiognomica, segue la bocca allargata, dalle labbra sottili e perennemente socchiusa, altro particolare questo di riservatezza nella comunicazione . Meglio ancora, le labbra così atteggiate, esprimono la precisa volontà di saper e voler scegliere le persone con cui aprirsi per trasmettere pensieri e confidenze. Pensieri dicevo. Questi abbondano e lo dimostrano le due pieghe che scendono dal naso verso la bocca e poi si continuano con altri due infossamenti lineari che circondano il mento, a sua volta abbastanza pronunciato, come chi non debba preoccuparsi di avere fragilità caratteriale. Tutta questa solcatura allora, visibilmente ben tracciata, ancora una volta sta a dimostrare pensieri, passati, presenti e futuri che affollano la mente del nostro. Tuttavia , contraddizione in termini, dell’aspetto generale del viso, si evince anche una certa serenità, in grado di poter gestire la tempesta dei sentimenti, senza farsi troppo condizionare dagli stessi. In sostanza, e lo ripeto, dai lineamenti affiora sempre una razionalità pensata e ben gestita, capace di allearsi ai sentimenti per trovare un giusto punto di mezzo in questa strana fusione di particolari fisiognomici. I quali se disegnano sul viso rughe anche marcate, non arrivano però a intaccare il profondo della personalità, il cui vero contrassegno è un equilibrio faticosamente raggiunto, in grado di diventare alla fine rasserenante. A questo punto viene spontaneo chiedersi dove il nostro personaggio manifesti il suo autocontrollo. Me lo ha detto lui stesso in una particolare incontro fra noi. Ecco allora la chiave interpretativa: la passione ereditata dal padre per i motori. In essi il nostro ritrova tutti i suoi desideri frenati o se vogliamo dirla in chiave più prettamente psicologica, tutte le sue pulsioni rimosse e non attuate nella vita reale. Infatti in lui attraverso i motori, bellezza e velocità si alleano per soddisfare l’ansia frenata , onde uscire dai limiti imposti dalle comuni regole di vita. Ma c’è di più. L’ebrezza della velocità che rende ogni individuo libero di fantasticare e di illudersi di poter dominare la realtà, in lui , già libero per questioni ideologiche legate ai principi liberali, costituiscono una autentica esaltazione che afferra il pilota dentro un mezzo meccanico, quando sente la vibrazione del motore assieme a quello del cuore. Due rumori che rimandano ad una sensazione di potenza che può essere anche effimera, mentre il vento ti scivola addosso scompigliandoti i capelli e sferzandoti il viso, ed il paesaggio ti viene incontro in modo troppo celermente indistinto per osservarne i particolari. Perché hai solo il tempo di osservare il nastro stradale che scorre veloce. Nella velocità il tempo e lo spazio non confliggono, anzi si alleano, perché entrambi subiscono un processo di minimalizzazione. Tanto che il pilota sembra quasi vivere l’illusione di essere fuori da questi condizionamenti fisici che definiscono, nei loro eccessi, anche i limiti della vita. Ultimamente il nostro ha abbandonato l’auto, forse perché troppo impegnativa e si è dedicato alla moto. Non una qualsiasi, perché trattasi di un veicolo Enduro o da moto cross, che nei momenti liberi inforca per inerpicarsi su sentieri impervi di montagna, con l’illusione di essere lui solo, a tu per tu con gli elementi naturali , a realizzare una comunione di spirito con la natura. Dove il rumore del mezzo in apparente contrasto con la tranquillità dell’ambiente, in realtà supera i suoi stessi limiti, innescando nell’animo uno spirito di potenza che diventa emozione incontrollabile, soprattutto se ti afferra l’inconscio stimolo del rischio. Tutta questa passione non è disgiunta però da una forma fisica che permette al nostro, di praticare questo sport. infatti il fisico è ancora elastico e non appesantito dall’adipe, grazie forse ad una dieta controllata, mentre i riflessi sono ancora validi e reattivi quanto basta, per scongiurare eventi spiacevoli. Tutte queste cose che vi racconto le ho apprese da una sua confidenza. Al tempo in cui mi parlava dei lunghi mesi estivi passati nella sua villa avita prospicente il mare e si divertiva con gli amici del posto, tuffandosi ripetutamente nell’acqua azzurra e incontaminata di quello specchio di mare, alla ricerca dei tonnetti che da quelle parti nei periodi di fregola abbondavano e tuttora abbondano. Confidenze dicevo. Infatti ospite una volta nel suo studio, mi sovviene ora non avervi ancora detto la professione del nostro personaggio , ebbene nel suo studio di avvocato, dicevo, ebbi modo di ammirare una moto d’epoca di grande fascino per la bellezza intrinseca del modello e lo stato di perfetta efficienza. Questa sistemata proprio in una stanza a ridosso di una parete, faceva bella mostra di sé. Ammirato ma anche meravigliato di questa strana forma di arredamento in uno studio legale, dove normalmente si vedono solo scrivanie zeppe di incartamenti e librerie dalle scaffalature pieni di tomi giuridici e di sentenze con eventuali libri di carattere storico o filosofico, meravigliato , dicevo, chiesi lumi in quanto neppure la più fervida l’immaginazione poteva concepire quella strana presenza. Da quel momento ebbi le notizie che vi ho riferito e nello stesso tempo più chiara la conoscenza dell’amico nei suoi risvolti psicologici, che si inquadrano nella necessità di uscire dagli schemi, senza però tradire gli schemi stessi. Una passione quindi che rende legittimo, in certi momenti, la fuga dalle preoccupazioni , ma senza tradire la fiducia nella vita . In altri termini un conflitto fra emozione e ragione, però da risolversi in un contesto individuale, senza coinvolgere altri e senza tradire l’attività professionale con l’aggiunta di altre forme di interessi e passioni di cui presto farò cenno. Ed eccoci allora al punto, quello di trattare un po’ della sua biografia. Della nascita abbiamo già parlato e l’anno è il 1952. Da quel primo giorno, la vita si svolge a Piacenza e dalla città assorbe tutti gli usi e costumi, perfino il dialetto che parla correttamente. Dopo gli studi superiori, si iscrive a Giurisprudenza presso l’Università di Parma. Si laurea. Comincia l’attività professionale nello studio fra i più quotati a Piacenza, quello dell’avvocato Corrado Sforza Fogliani di cui conserverà sempre una rispettosa e deferente amicizia. Nove anni di questo tirocinio sembrano un’eternità, ma verosimilmente vuole imparare bene la professione. Poi dopo l’abilitazione professionale conseguita presso la corte d’Appello di Milano, pur continuando la collaborazione con lo studio di formazione, ne apre uno in proprio sempre in città dove esercita la professione sia in diritto civile che penale. E siamo alla fine degli anni 80. Intanto si sposa. La prescelta su cui pone gli occhi e cuore dopo forse qualche avventura galante presto dimenticata, è una signora di bella presenza e di buone maniere, pienamente disposta ad integrarsi con una vita fatta , come si suol dire, di codici e pandette. E in questa occasione emerge una della virtù del nostro uomo: la fedeltà che riserva agli affetti familiari, agli amici, quelli veri, e alle sue idee liberali che mai sconfesserà. Intanto la famiglia si allarga. Nascono due figli una femmina ed un maschio di nome Francesca e Corrado che ora cresciuti frequentano entrambi il Politecnico di Milano. Facoltà di Architettura la figlia Francesca ( quarto anno) di Ingegneria meccanica il figlio Corrado (terzo anno ). Quindi non in linea con gli studi e la professione del padre. Questo succede per chi, avendo una sua precisa personalità, preferisce affrontare la propria vocazione in modo libero ed autonomo senza la scorciatoia di rifugiarsi sulla strada, già avviata dal padre. Ho parlato in precedenza della passione per i motori, ma di passioni ne esiste un’altra più cogente, perché ammantata di ideali: la visione liberale della vita. Infatti è fra i fondatori dell’ Associazione liberali piacentini intitolata a Luigi Einaudi, forse unica in Italia, della quale Associazione diventa Presidente nel 2015 in sostituzione del giornalista e grande amico Vito Neri , purtroppo scomparso. Ma non è tutto, perché anche l’attività politica sul piano operativo, lo attrae. In sintesi nel 1999 viene eletto consigliere provinciale nella seconda Giunta Squeri, ponendosi all’opposizione come esponente liberale. Finchè nel 2008 viene di nuovo eletto consigliere provinciale col Pdl, e stavolta essendo cambiata la maggioranza con l’arrivo di Trespidi alla Presidenza, viene nominato a sua volta Presidente della Commissione affari istituzionali. Infine per chiudere con le sue cariche, recentemente nel 2018 viene nominato Presidente di Confedilizia provinciale. Chiuso con la biografia bisogna anche chiudere con il ritratto. Ma prima chiediamoci chi è allora Antonino Coppolino, dopo quanto già detto? Semplicemente una persona a modo, che secondo la locuzione popolare possiamo anche definire una brava persona, meglio ancora un galantuomo, con una caratteristica principale il tratto gentile nei rapporti umani e la capacità di non abusare mai della confidenza, trasformandola in invadenza. Ma intendiamoci la sua anima sicula non è spenta. Perché esistono al mondo anche persone che non destano la sua stima ( è infatti selettivo nel scegliersi gli amici ). E se con queste non è uomo da caciara in pubblico, in privato le cose cambiano. E nessuno mi toglie il sospetto che le emozioni allora affiorano in lui, come pure la critica nei confronti delle persone e cose che non gli vanno a tiro. Che diventano aspre, acide e senza possibilità di mediazione. Ma se questo sospetto è vero, altrettanto vero( e questo non è un sospetto, ma una certezza ) la già dichiarata virtù della fedeltà che rivolge alla famiglia, agli amici, quelli veri, ed a quella causa per il momento persa, rappresentata dall’idea liberale che trova molti sostenitori a parole, ma pochi propugnatori nei fatti. E sempre a proposito della virtù di cui dicevo, un tempo molto considerata in termini morali, e che oggi è talmente scaduta nella nostra società liquida o gassosa dove tutto scorre o evapora, il risultato è che nulla si tiene del passato e lo stesso diritto viene soppiantato dai molteplici diritti che ognuno vanta. Cosicchè i desideri dei singoli diventano diritti, mentre il vero diritto rappresentato dalla legge si misura a fatica nella spesso poco comprensibile discrezionalità dei giudici. Allora per evocare un termine non più di moda, potremmo definire il nostro un gentiluomo. Vi basta? No? Allora chiudo dicendo che sono legato a lui da una amicizia vera e così il ritratto finisce perché proprio sulla philia o amicizia non c’è più niente che valga la pena aggiungere.

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Ritratto di Antonino Coppolino

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