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Giovedì, 18 Aprile 2024
Anticaglie

Anticaglie

A cura di Carlo Giarelli

Ritratto di Franco Scepi

Non volevo fare il ritratto di Franco Scepi. Perché? Troppo complicato riferire i particolari della sua affascinante e molto ricca carriera artistica, per la quale non basterebbe un ritratto di poche pagine, ma un intero libro. Di quelli molto corposi di tipo quasi enciclopedico. E allora? La spiegazione sta nella vita che è quello che è, tanto che a volte avvengono cose che non pensi debbano mai capitare. Mi riferisco ai miei rapporti di amicizia, con lui, ai dialoghi abbastanza sfuggenti, fra un impegno e l’altro, in cui si parlava d’arte, ma stranamente non della sua arte. Troppo modesto l’uomo per proporsi nella veste di sciorinare il suo passato artistico, con tutti i riconoscimenti ed i premi relativi, di cui fra poco parleremo. Ci basti per il momento sapere che tutta la sua vita spazia in moltissimi campi dell’arte, sempre alla ricerca di dare un significato agli eventi che capitano nell’esistenza. Che altrimenti ti scivola addosso se non hai la sensibilità e la curiosità di afferrare quell’elemento misterioso che spinge a vedere oltre la normalità e a tutto ciò che consideriamo indispensabile. Caratterizzato dal bisogno di poter contrapporre l’utile all’inutile , sapendo che quest’ultimo è la quintessenza dell’arte stessa. Insomma ecco allora spiegato il perché della mia iniziale perplessità. Tuttavia una sera per un caso fortuito, capitò di incontrarci. Ai saluti amichevoli e reciproci, mi espresse col solito garbo, la sua preoccupazione circa l’eventualità di una prossima devastante guerra nucleare. Un uomo della Pace, famoso in tutto il mondo per la sua famosa opera, chiamata appunto L’uomo della Pace, mi incuriosiva potesse pensare ad un nuovo pericolo di guerra. Oltre che incuriosito, non nego di essere stato preso anche da un senso di scetticismo, ma non replicai, sapendo che ogni artista ha una sua sensibilità che non va mai sottovalutata. Desideravo però cambiare discorso per non impelagarmi in una questione troppo complicata e troppo legata a sensibilità personali, sulla quale per il poco tempo a disposizione non avremmo risolto granché. - Senti, gli dico, sto scrivendo alcuni ritratti di persone che suscitano in me stima, tu potresti essere uno di questi-. E poi continuando- perché non mi fai avere una tua biografia cui fare riferimento per dedicarti un profilo sia di uomo che di artista?- - Ti dovrei dare i miei libri, fu la sua risposta, dove c’è scritto tutto della mia vita e prima o poi te li farò avere.- Vista la disponibilità, per me consolante, insistetti.- Il ritratto riguarderà la componente umana e psicologica, ma non mi avventurerò, se non in parte, nei tuoi ampi meandri artistici, in cui io rischierei di perdere la bussola-. Pausa di attesa, ma subito interrotta dalla sue parole, frutto della sensibilità dell’artista e dall’ umanità dell’uomo. Queste. -Va bene, ti manderò il tutto e tu fanne quello che vuoi-. Fatta questa doverosa premessa, sciolgo allora gli iniziali dubbi e mi avventuro nel ritratto, iniziando a descrivere la personalità del nostro personaggio, sulla base delle conoscenze, ricavate da diversi incontri. E voglio subito colpire nel segno se individuo nella dote dell’umiltà la sua caratteristica principale. Infatti nessun senso di superiorità, per quanto mascherato dall’educazione, traspare nei suoi rapporti con le persone, indipendentemente dal loro livello culturale. Anzi, per lui, più semplici sono le persone, e più sono in grado di cogliere il senso della vita, al fine di stimolare la sua, mai sazia, curiosità. Un interesse, il suo ,quasi infantile, che si concentra sui significati delle parole date e ricevute durante gli scambi di opinioni. In altri termini, la voglia di indagine e il desiderio di sapere lo affascina e con l’interlocutore ama disquisire su argomenti che riguardano i problemi dell’esistenza. Sarà forse per le sue fattezze fisiche, che rimandano ai filosofi greci, causa il naso un po’ pronunciato, chiamato per questo appunto alla greca. Saranno i suoi capelli setosi , avvolti in piccole spirali di un bianco ancora screziato dell’antico colore nero, che i suoi motivi di interesse sono sempre e solo rivolti all’uomo con tutto il suo bagaglio di contraddizioni. In cui non si riesce mai a cavare il ragno dal buco, su interrogativi quali il come, il quando e il fine di quella strana cosa che è l’esistenza. In sostanza la capacità di ascolto in lui è una dote che se difficilmente si riscontra nelle persone normali, in quelle acculturate o addirittura famose, diventa una merce rara. Ecco allora, il suo modo di fare: prima ascolta con interesse, poi dopo aver meditato, risponde in modo calmo e discreto, senza dare mai l’impressione di arrogarsi il senso della assoluta certezza. Anzi , per essere precisi , si verifica esattamente il contrario. Poiché si sente più stimolato dalla cosiddetta verità degli altri che non dalla sua. Essendo consapevole di non possederla. Per questa sua qualità di ascolto, ogni interlocutore, potrebbe con lui parlare per ore, attraverso domande e risposte che si alternano come le inversione di ruolo. Quelle fra docente e allievo senza sapere chi dei due è l’uno o l’altro. Non per niente il comunicare rappresenta la sua vera natura, che, come detto, è sempre improntata alla consapevolezza del dubbio. Per questo ho parlato di lui come chi manifesta il pensiero ricordando i filosofi greci. Non un sofista cui diamo a torto un connotato negativo e nemmeno un cinico, o uno scettico, semmai uno stoico, che indaga gli eventi alla ricerca della virtù. Quella che giustifica la vita retta in terra, indipendentemente dalla cose del cielo che a lui appaiono troppo lontane. Ma non per questo completamente da escludere. L’educazione dicevo. Anche in questo traspare la sua personalità improntata alla curiosità e al rispetto, il cui motto è quello di non turbare l’esistenza degli altri, con moti d’animo improvvisati ed esagerati, che finiscono poi a creare antipatie nelle pastoie delle contraddizioni umane. Una personalità quindi, la sua, di rara apertura mentale, portata a relazionarsi con chiunque, ma sempre in punta di piedi. Perché sua caratteristica è la tolleranza, associata ad un’eleganza di modi ereditata forse dal D.N.A.. familiare. Dalla discendenza di una famiglia altolocata, proprietaria in Puglia di una casa editrice tipografica che fu la prima nel Regno delle due Sicilie. Dopo queste note caratteriali, ora qualche nota di tipo antropologico. Di complessione normale, rivela un fisico asciutto ed ancora elastico e sciolto nei movimenti. Aspetto del viso piacevole, arrotondato più che allungato, presenta due baffetti folti ma appena accennati e un pizzo sul mento molto ristretto, quasi un colpo di pennello , entrambi di un colore nero che conferiscono alla figura un’aria curiosa di un protagonismo antico. Una specie di moschettiere dei racconti di Dumas, che vuole presentarsi anche visivamente , assumendo una identità contraria alla banalità. Alcuni che potrebbero interpretare questi particolari, cogliendo un lato narcisistico, non si rendono conto come tale possibilità contrasti con l’ assoluta regolarità e nobiltà del viso, di tipo prevalentemente classico. Ecco allora gli altri segni fisiognomici, a cominciare dalla bocca, ben disegnata, che quando si apre in un sorriso, mai esagerato, rivela senso di compiacente partecipazione con chi gli sta attorno. Mentre le guance non incavate, accentuano le già ricordate rotondità del viso. La parte più interessante però sono gli occhi che come sappiamo dalla tradizione culturale, in fatto di pittura e poi di psicologia, sono la finestra dell’anima. I quali occhi, con i loro movimenti rivelano tutte le passioni possibili. Non eccezionalmente grandi, ammiccano facilmente. Mai fermi , spaziano tutt’intorno e si appuntano di volta in volta su quel particolare legato a persone o cose, che muove il suo interesse. Tuttavia quando fissano intensamente l’interlocutore, non danno mai l’impressione di volerlo scrutare, ma solo capire i sentimenti che in lui traspaiono dalla mimica del viso e dagli atteggiamenti del corpo. Nulla da dire invece sul sopracciglio che secondo una vecchia teoria dovrebbe essere la parte del viso in cui le passioni si fanno conoscere meglio. Soprattutto, quando si sollevano in modo non regolare. Il che non è il caso del nostro. Del naso abbiamo già parlato definendolo greco. Ma una precisazione va fatta. Se anticamente tutti gli uomini illustri vantavano nasi più o meno aquilini accompagnati però da una fronte alta e spaziosa e da folte sopracciglia , nel nostro di questi due caratteri, esiste solo la fronte alta ma non il naso rostrato. Meglio così perché in questo ultimo caso, sempre secondo vecchie teorie fisiognomiche cui ci rifacciamo con tutti i benefici di inventario, tale caratteristica potrebbe tradire il vanitoso ed il chiacchierone. Due caratteri questi, completamente mancanti nel nostro personaggio. Ed ora spazio alla biografia che ribadisco, non è possibile citare in modo integrale. Troppe le iniziative del nostro nei campi più disparati che vanno dalla scenografia televisiva e teatrale, alla pittura, scultura, filmografia e alla pubblicità . Che detta così non vorrebbe dire nulla di artistico, se non fosse maturata in Scepi l’idea di una reinvenzione della stessa pubblicità, in modo di far perdere il suo significato di comunicazione commerciale, ma piuttosto banale, arricchendola della componente dell’arte. Il risultato divenne allora la realizzazione di presentare il prodotto attraverso il piacere estetico. Se dunque trattare in sintesi tutte le iniziative del nostro in uno spazio ristretto come questo ritratto è quasi impossibile, altrettanto difficile è citare tutti i grandi dell’arte mondiale che sono stati in sintonia di lavoro con lui. Così pure è facile dimenticare causa il loro numero, i grandi critici e tutti i vari luoghi della terra che hanno ospitato le opere del nostro personaggio. Mi limiterò allora a riportare gli eventi che io considero più importanti ,onde poterli commentare e non necessariamente in ordine cronologico. Alla base comunque di tanto lavoro c’è un principio, cui il nostro si è sempre attenuto e che riguarda la sua ferma convinzione che l’arte e la vita non sono separabili. Ma si integrano creando la apparente contraddizione fra utile ed inutile, con il primo dei due fattori legato alla vita concreta, ma senza fantasia ed il secondo che si evidenzia invece nel superfluo che sfugge da ogni utilitarismo pratico. Così dopo aver messo le mani avanti con queste doverose giustificazioni, comincio a trattare la biografia che come sempre comincia dalla nascita. Il nostro allora nasce a Lucera in Puglia nel 1941 in quanto i genitori durante la guerra avevano ritenuto più prudente recarsi in quella località , da sempre feudo, come già accennato, degli Scepi. Ma la fuga dura poco. Infatti dopo pochi mesi eccolo di ritorno, con la famiglia, in terra piacentina, in particolare a Bicchignano località posta, come sappiamo noi piacentini, sul Bagnolo. Non si sa nulla sui suoi studi inferiori, ma lo si vede poi studente a Brera sotto la guida di Gianfilippo Usellini. L’arte è la sua guida ed infatti comincia subito alla grande come scenografo alla Scala di Milano e alla tv nella trasmissione, siamo negli anni 60. che si chiama: L’amico del Giaguaro. Spettacolo ai tempi molto seguito per gli attori del calibro di Marisa del Frate , Gino Bramieri e Raffaele Pisu e che i non più giovani probabilmente ancora ricordano. Poi inizia la sua trasformazione artistica riguardo alla comunicazione commerciale. Questo il presupposto di partenza : la pubblicità non essendo più la vecchia reclame, doveva diventare un moderno marketing in cui l’artista assumeva un ruolo fondamentale. In altri termini si trattava di coniugare arte e commercio in un ibrido dove le due componenti considerate prima inconciliabili dovevano sposarsi fra loro e partorire i figli della cosiddetta comunicazione artistica moderna. Questo strano connubio lo si vide per primo proprio a Piacenza dove il marchio di una industria conserviera ICA divenne DE RICA. Siamo a metà degli anni 60 ed il nostro lo troviamo già a New York. Conosce Andy Wharol, inventore della Pop Art ed entra in garbata polemica con lui sostenendo che la Pop Art non era altro che una riedizione del Ready Made di Duchamp. Discussione fra artisti su cui sorvoliamo. Tuttavia i rapporti fra i due si mantennero sul piano dell’amicizia e fu proprio Wharol che già sfruttava l’effetto divulgativo del marketing del prodotto, ad aiutare il nostro a coniare per lui il termine Over Ad Art che vuol dire sovrapporre l’arte alla pubblicità. Non passa molto tempo che i due li troviamo in Piazza San Pietro a Roma in quanto Wharol su appuntamento aveva chiesto al Papa Woityla il permesso di dedicargli un ritratto in stile pop. Il ritratto non venne eseguito per la morte precoce dell’artista, ma il destino riservò un’altra soluzione, qualche anno dopo. Quando fu lo stesso Scepi che nel 77 aveva già realizzato il ritratto del cardinale Woityla, allora non ancora Papa, ad essere coinvolto nel progetto. Cosicché il ritratto uscì lo stesso, ma con la firma Scepi , eseguito secondo lo stile Wharol e intitolato alla memoria di quest’ultimo con un titolo che sa di grande riconoscenza verso l’amico scomparso. Questo:Senza Wharol. Il ritratto venne donato al Papa in occasione di un incontro in Vaticano per l’anno santo, divenendo, per il Vescovo di Roma, il simbolo dell’ Uomo della Pace. Ora il grande dittico, chiamato appunto: L’Uomo della Pace- Karol Woityla si trova in Vaticano, mentre il suo bozzetto si può ammirare nella basilica di S. Eufemia presso l’altare creato dallo stesso Scepi nel 2015, ed intitolato al Papa polacco. Ma la fantasia del nostro non ha confini e continua ad espandersi. Allestisce scenografie in tv, elabora manifesti per film alla biennale di Venezia , dove nel 82 viene proiettato con successo un suo provocatorio short film: Packagin. Ma ancora non basta. Tutto lo attira, perfino l’informatica, seguendo la sua volontà di tutto comprendere e tutto trasformare in arte. Una vera patologia, si potrebbe dire, psicologicamente parlando, tesa a voler liberare l’arte dalla ghettizzazione di un certo isolamento. L’occasione gliela offre un certo Atari ,che anni prima della nascita dei computer, aveva realizzato uno strumento molto simile. E Scepi che fa? Un grande monumento in Piazza del Duomo a Milano dove il simbolo mobile di una scultura si sposa con la tecnologia del futuro. Un futuro che in lui rimanda al futurismo di Depero ispiratore dei suoi nuovi lavori in quanto non si sa come, lui dice, possedeva un quadro del grande artista futurista intitolato : Squisito al selz. Ma, ritornando alla pubblicità d’arte, proviamo ora ad andare con un minimo di ordine dopo il disordine fin qui seguito. Questa la situazione allora esistente sul mercato. Non tutte le aziende comprendevano la strategia del nostro di elevare l’immagine del prodotto con il valore aggiunto dell’arte. Successe però che dopo i successi alla biennale di Venezia, alcune case commerciali, come Campari, Gaggia, Pommery, si dimostrarono più disponibili. Prima di tutte, Campari, per la quale Scepi divenne l’erede del futurista Depero, quello della famosa bottiglietta futurista. Questo fatto, dà inizio ad una serie di iniziative che hanno del vertiginoso. La costruzione di un’auto elettrica, La Scepi C’art sull’ispirazione della citata bottiglietta e la creazione di una grande pittura murale, negli spazi destinati alla pubblicità tabellare posti nella metropolitana di Roma e Milano dal titolo: Campari dal segno al movimento. Opera ispirata ai graffiti di un giovanissimo artista che oggi dipinge la realtà virtuale 3D che si chiama Pongo. E di chi si tratta? Di niente meno che del figlio del nostro. L’attività è sempre frenetica. Interpella artisti per Campari del nome di Fellini, Woody Allen, Benigni e l’artista Ugo Nespolo. Di lui, di Scepi intendo, si interessano critici come Gillo Dorfles e Bonito Oliva. Ma non è ancora finita. Anche la musica lo attrae ed elabora dopo quello di Wharol un suo ritratto di Elvis Presley che stimato dalla moglie del re del rock, divenne la copertina di un album dedicato postumo al grande cantante. Sempre nell’ambito dell’incontro fra arte e comunicazione, da Campari si passa a Gaggia con l’invito da parte del nostro a coinvolgere Schifano a coordinare questo progetto: Gaggia caffè espresso ad arte. Ma la frenesia continua. Sempre in movimento, ritorna nella terra degli avi in Puglia ed incontra due giovani architetti, Marcello ed Antonella Norcia, coi quali realizza a Milano una scultura fatta di tante testine che sembravano chicchi di caffè. Poi è la volta del registra polacco Andrejwa Yda che per il suo film : L’uomo di marmo lo invita ad interagire sul suo già citato dipinto del 77 riguardo ad un arcivescovo, allora sconosciuto in occidente che di lì ad un anno diventerà Papa Woityla. Fu allora che Scepi modificò l’opera. Rimosse falce e martello trasformandoli in una colomba che usciva dalla sommità del capo, costruito però come un muro. Il film vinse a Cannes e l’opera detta L’Uomo della Pace, 11 anni dopo il crollo del muro di Berlino, venne considerata da Mikhael Gorbachev e dai premi Nobel per la pace di tutto il mondo, l’ opera d’arte che aveva anticipato la fine della guerra fredda. E fu proprio nell’anno del grande giubileo che il dipinto venne trasformato in monumento, quando con il consenso del sindaco della Roma di allora, Rutelli, fu fondato il summit dei Premi Nobel per la Pace da parte di una serie di personalità quali Gorbachev, Vladimir Zagladin, Marzio Dallagiovanna, Cristiano Grandi e don Pietro Casella, i quali elessero l’opera del nostro personaggio come simbolo della Pace. Potremmo a questo punto finire la nostra trattazione biografica, ma c’è ancora da aggiungere un’appendice. Dopo il duemila infatti subentra nell’uomo Scepi, prima ancora che nell’artista, una trasformazione , Il motivo? Il pericolo, secondo lui , della globalizzazione cui vuole contrapporre una visione del mondo su base etica ed umana. Che possa essere classificato allora un Don Chisciotte contro i mulini a vento? Potrebbe anche essere. Lotta infatti contro la centrale nucleare di Arturo a Piacenza. Elabora con la sorella del Dalai Lama una scultura in terra cotta: La Goccia, con la geografia del pianeta terra. Si occupa poi del morti sul lavoro attraverso una targa con la scritta: Cancellando. Quindi a Forlì crea l’evento: Rallentamento del tempo nello spazio. Poi ancora, elabora una scultura Pop Pommery collocata all’ ingresso del teatro Puccini a Torre del Lago. Successivamente nel museo Magi 900 di Cento ( Bo) viene definitivamente consacrata la sua arte con il riconoscimento di un parallelismo fra la sua opera, L’Uomo Della Pace e il famoso dipinto Guernica di Picasso. Infine più recentemente nel 2017, presenta una versione innovativa del già ricordato simbolico monumento scelto dai premi Nobel per la pace, che viene collocato davanti all’Abazia di S. Colombano a Bobbio (Pc).

Dopo tutto questa trattazione, lo confesso, un po’ confusa, che dire in questa nota conclusiva su Franco Scepi? Un essere quieto ed inquieto nello stesso tempo. Quieto in quanto ha una visione filosofica dell’esistenza che lo porta a valutare le cose con quel distacco tipico della saggezza della cultura greca. Quella da cui derivano molte altre culture, fra cui la nostra latina grazie anche alla colonizzazione greca della terra di Puglia e dell’Italia in genere almeno fino al Volturno, che venne chiamata Magna Grecia. Ma, dopo il quieto, anche l’inquieto, perché malato di arte, ha addirittura osato attraverso la forza della sua tenace volontà nel voler sapere e capire, di trasformare l’impossibile in possibile. E qui allora E. Jonesco ci dà una mano. In quanto, ci ricorda come non si comprende l’arte se non si coglie quello che in termini psicoanalitici, prima ho definito una patologia. Vale a dire sostenere l’inutilità dell’utile e l’utilità dell’inutile. Infatti un paese dove non si comprende l’arte, questo stesso paese diventa un agglomerato di case, di schiavi e di robots. Un insieme di persone infelici, di persone che non ridono né sorridono, un paese senza spirito, dove non esiste umorismo e dove senza il riso rimane solo l’uomo indaffarato e prigioniero delle sue necessità, nel cui animo crescono collera e odio. In conclusione allora mi è d’obbligo chiudere il ritratto , in modo preciso senza le mie divagazioni. Per farlo adotto termini legati all’arte e non raffazzonati come quelli finora da me usati. E mi riferisco alla definizione degli addetti ai lavori, dei compagni di avventura artistica che forse sarebbe meglio chiamare di sventura nel campo dell’arte, da parte del nostro Scepi. I quali hanno espresso sul nostro personaggio, questa definizione. Eccovela servita. “ Franco Scepi Over Ad Art conseguenze e condivisioni da Wharol a Schifano dai fratelli Norcia a Pongo paiting 3D N. Y., sull’eredità del futurista Fortunato Depero e George Maciunas( Fluxus). Così dopo quest’ultima nota, diventa rigorosamente vietato aggiungere qualsiasi altro particolare se non la parola fine.

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