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Anticaglie

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A cura di Carlo Giarelli

Strana cosa essere italiani

Sì, come ho detto nel titolo, difficile definire l’Italia ed i suoi abitanti. Gli italiani insomma, sono un miscuglio di etnie, poiché hanno marciato sulle nostre strade, per poi essere diventati stanziali, sia i greci (almeno fino al Volturno), sia gli arabi e poi ancora i celti, gli spagnoli, i normanni, i teutoni e quant’altri di popoli  si  sono trovati, per le cause più disparate, dalle nostre parti. Difficile quindi, come dicevo, definire l’Italia ma anche noi italiani sfuggiamo ad una precisa catalogazione. Storicamente il nostro paese, poteva riunirsi un millennio prima dell’avventura risorgimentale, con Desiderio, ultimo re dei longobardi, che si proclamava re d’Italia. E poi con Carlo Magno, anche lui definitosi re di quello che lui stesso chiamava regno italico.  Ma era quello un tempo troppo prematuro per mettere d’accordo i vari stati ed i vari governanti, che preferivano stare separati piuttosto che uniti.  Ce lo ricorda il martire Mameli col suo inno: noi fummo da secoli, calpesti e derisi, perché non siam popolo, perché siam divisi. Tanto che quando nel 1861 venne finalmente raggiunta l’unità del nostro paese, i primi a meravigliarsi furono proprio i suoi artefici. Prima di tutto Cavour che rivolgendosi ad un amico diceva: caro Massari che fortuna aver conosciuto l’Italia dopo averla fatta.  Ed intendiamola bene questa frase. Perché Cavour non andò mai oltre l’Arno e quindi conobbe solo una parte d’Italia, quella che al massimo arrivava a Firenze. Ma se questo era Cavour, anche l’altro padre della nostra nazione, Mazzini, quando rimpatriò per andare a finire i suoi giorni a Pisa, passando dalla capitale, si rifiutò di uscire dalla stazione per non vederla. Infatti non desiderava confrontare la città reale con quella dei suoi sogni. Ma non è finita. Anche l’eroe dei due mondi, Garibaldi, in perenne dissidio con Cavour, preferì ritirarsi a Caprera.  Infatti disgustato dalle pieghe della storia, preferì  accontentarsi di altre pieghe o stoffe. Quelle che rivestivano le  giovani fantesche che la Patria riconoscente gli inviava. E per le quali , ormai settantenne, rivelava per lettere i suoi gusti in fatto di conformazione di seni , cosce e colori dei capelli. Anteporre ai grandi ideali le ragioni personali è una costante del nostro modo di fare. Gli aforismi in questo senso non si contano. Bruno Barilli diceva infatti che gli italiani corrono sempre in soccorso del vincitore.  Mentre Flaiano per sdrammatizzare diceva: la situazione è grave ma non seria.   E ancora. Per sopravvivere alle ingiustizie dei vari  conquistatori, il popolo così pensava e diceva: viva la Franza, viva la Spagna pur che se magna. Ma c’è anche un’altra espressione, sempre di Flaiano, che esprime pur con qualche ironia il carattere degli italiani. Questa: l’italiana non è una nazionalità, ma una professione. Che non richiede molti studi ma si eredita.  Dopo quanto detto, legittimo chiedersi: l’Italia allora che cos’è? Una espressione geografica come disse Metternich?  Ma nemmeno la geografia è dello stesso parere. Essa varia dal nord  che ha come cimiero le Alpi, con freddo e neve,  al sud con sole e mare. E poi sono diversi anche i suoi abitanti. Biondi a Treviso, scuri  di carnagione e neri di capelli al sud, ma con le eccezioni dei discendenti dei normanni che assomigliano agli attuali scandinavi. Anche la lingua che ci unisce, allo stesso tempo ci divide. Poichè esistono 1500 dialetti, alcuni di questi poco comprensibili come il nostro piacentino. Mentre altri invece sono diventati quasi lingua nazionale, come il veneziano con  le opere di Goldoni, il romanesco con le poesie di Trilussa o il napoletano con le commedie di E. De Filippo. Se allora ammettiamo possa esistere l’Italia come nazione, nonostante sia stata tribolata dalle varie vicissitudini storiche,  si potrebbe invece  mettere in dubbio che esitano gli italiani. Sembrerebbe questa una tesi  plausibile, se prendiamo per buona la considerazione che hanno di noi gli altri paesi, soprattutto quelli europei. Fra questi si distingue in modo particolare la Francia, causa la spocchia della cosiddetta  sempre sbandierata grandeur ed anche grazie  all’ invidia che sempre manifesta, con un fondo di disprezzo, verso les italiens .  Le motivazioni e le radici sono storiche. Un esempio lo si ritrova fin da quando Caterina de’ Medici recandosi in Francia per sposare il futuro re Enrico II, disgustata dal vedere mangiare con le mani, si fece portare dal suo cuoco  italiano  uno strumento per prendere il cibo che poi diventerà una conquista del bon ton : la forchetta. Quale la reazione che da lì si diffuse in tutto il vecchio continente? Che gli italiani non mangiano con le mani perché non le hanno pulite.  Ho parlato prima, a proposito dell’italiano, che sembrerebbe non esistere ma non è così. Se è vero che il nostro vizio è quello di aggiustare tutto a livello personale, perfino per quanto riguarda la religione, si usa dire: ho peccato ieri due volte  con due persone, ma mi pento e mi dolgo.   E se anche è vero che molto spesso non riusciamo a trasferire i moti personali in una coscienza civile e collettiva, per quanto sia spiacevole, è doveroso ammettere che l’orgoglio nazionale non è una nostra caratteristica prioritaria.  Ma se tutto questo è vero, tutto poi  si stempera fino a scomparire quando ci troviamo di fronte alle difficoltà. In pratica, quando ci troviamo a tu per tu col pericolo. Lo dimostrano le guerre combattute. Dove gli eroismi individuali e collettivi,  in condizioni di estreme difficoltà, in fatto di armamenti e dotazioni di mezzi di sussistenza,  non si contano. Lo dichiarava perfino Rommel che rivolgendosi al figlio diceva come il coraggio del soldato italiano non era secondo a nessuno. Anche se a differenza dei tedeschi mancava l’organizzazione. Ma aggiungeva che gli uomini devono essere valutati non solo sulla base dell’organizzazione militare, altrimenti non sarebbe possibile la civiltà. Dopo questa lunga premessa, entro nel merito dell’italianità a proposito di questa nuova guerra rappresentata dal coronavirus. Che sta interessando soprattutto il nostro territorio, colpendo in particolare regioni come la Lombardia, il Veneto e l’Emilia. Ho già criticato in un precedente articolo il nostro Presidente del consiglio Conte. Non stimando la sua indecisione iniziale e la ambiguità della sua comunicazione. Che da una banale influenza come veniva valutata all’inizio è diventata una pericolosissima pandemia. La quale, come sappiamo, dalla Cina ha avuto un nuovo epicentro proprio da noi.   Anzi vicino a noi piacentini che confiniamo con Codogno, sede del primo focolaio.  Incertezze iniziali senza dubbio, ma dopo? Ebbene è proprio questo dopo che ci fa sentire orgogliosi di appartenere a questo paese, in quanto, come dicevo, è di fronte al pericolo che gli italiani reagiscono con determinazione e coraggio. Le disposizioni governative, dopo le iniziali titubanze, finalmente sono state tassative. Chiusura di tutti i luoghi pubblici, a parte farmacie e generi alimentari e invito a tutti a restare a  casa per evitare il contagio. L’Italia che viene spesso criticata che fa? Obbedisce tranne qualche eccezione. Le strade diventano deserte e si avverte visivamente una condizione di non vita che fa pensare ad altri periodi storici, che sembravano dimenticati,  come le  epidemie di peste o più recentemente di colera.  Se questa è l’Italia che agisce e reagisce in modo ammirevole, le altre nazioni che fanno? Esaminiamole. La Francia parla molto con il  suo leader Macron, ma  fa poco, tanto che non abolisce le elezioni nonostante gli oltre 7 mila contagiati,  che fra l’altro sono in fase di aumento. La Germania, la famosa Germania, organizzata, precisa e rigidamente teutonica, dunque poco simpatica da noi italiani, per ora  non  agisce come dovrebbe. Si potrebbe dire che con molto fumo e poco arrosto, si dimostra incapace di prendere le stesse decisioni che ha preso la, per loro, svalutata e indebitata Italietta. Ma continuiamo. Guardiamo allora alla Spagna. Lì, la diffusione del contagio è molto elevata, ma Sanchez che fa? Chiude tutto come in Italia, ma solo quando si accorge che la moglie è positiva al tampone. Finisco allora con la Gran Bretagna, il cui leader Boris  Johnson, decide di non fare nulla. Limitandosi con grande cinismo a comunicare  che ogni famiglia dovrà piangere un proprio  congiunto, normalmente l’anziano di casa,  per raggiungere, dopo il 60% dei contagiati e circa 400 mila morti, la cosiddetta immunità di gregge. Ecco allora, attraverso il raffronto con gli altri paesi europei, che non solo esiste l’ Italia ma esiste anche l’italiano. Quello che ha superato tante prove della sua complicata storia, compreso da ultimo il fascismo e che oggi di fronte ad un nuovo pericolo reagisce  con ordine e disciplina.  Dimostrando una unità ed un ritrovato spirito di appartenenza, che in condizioni normali non è in grado di esprimere, causa la nostra tendenza all’individualismo.  Perchè  allora  sono orgoglioso di essere italiano?  Perché ho respirato la sua aria, la sua cultura,  la sua storia, le sue contraddizioni , il  suo vizio del malaffare, l’inveterata abitudini  delle raccomandazioni per farsi strada, il peso della sua  onnivora burocrazia, e  persino le  attuali drammatiche statistiche  giornaliere sul  contagio. Insomma questa è l’Italia che mi ha fatto e a cui non posso e voglio rinunciare.

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