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Anticaglie

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A cura di Carlo Giarelli

Un avvocato del popolo di nome Giuseppi

Quando uno si definisce avvocato del popolo i casi sono due. O è un populista oppure un vanitoso. Poiché la prima delle due definizioni non può essere, in quanto è lo stesso uomo a non perdere occasione di criticare il populismo dei populisti, considerati tali, come Salvini, non rimane che la scelta di  essere un vanitoso. Se fosse solo così, non vi sarebbe molto da dire. La vanità è un difetto di molti italiani, tanto che fa parte della nostra etnia. E non uso la parola razza per non essere incriminato appunto di razzismo. Ma chiamata in questo modo, la vanità, si dice una mezza verità. Infatti quello che va precisato è che la vanità quando è leggera, non è sempre una cosa completamente negativa, perchè addirittura contribuisce alla creatività. Tuttavia quando esorbita e si trasforma nella sua forma più complessa, diventa narcisismo, il quale spesso mutua in autocompiacimento ed in certi casi in autoidolatria.  In queste condizioni esiste solo l’io, mentre il noi scompare in una dimensione di completa oscurità, ambiente questo  in cui è stato relegato dalla prepotenza del soggetto che ha per oggetto solo se stesso. Frasi e comportamenti lo dimostrano. Cominciamo dalle frasi. Eccole. “Faccio questo per il bene del popolo. Per la salute di tutti”. E ancora. “Per contrastare coloro che non sono in linea con  le mie idee”. Meglio ancora, per dare forza all’io, “con i miei sempre autorevoli progetti”. E qui scatta l’accusa del narcisista che non ci sta ad essere messo in discussione e preso in contropiede. Mi riferisco alla polemica contro  i medici di Codogno, primo luogo del contagio, che senza nessun protocollo da seguire e nessuna protezione personale, si sono macchiati della responsabilità, secondo Giuseppi, di non riconoscere la malattia  e quindi di diffondere il virus. Dalle frasi passiamo al comportamento. Ambiguo e altalenante nella sostanza,  viceversa  diventa molto attivo nell’immagine. Cominciamo con la sostanza. Incertezza e confusione la sua connotazione. Passare da un estremo all’altro è tipico di chi non comprende il problema e di chi per vanità non si avvale di collaboratori. E mi riferisco ai medici virologi ed epidemiologi che  potrebbero da subito dare indicazioni giuste. Ma su questo piano il vanitoso non ci sente. Essere scavalcato da qualcuno anche se da gente di scienza, rappresenta per lui un minus che non può essere accettato. Infatti sappiamo come Narciso ammaliato dal suo riflesso nell’acqua, piuttosto si perde nella sua immagine, perchè incapace di guardarsi attorno. Narciso diventa  allora  Giuseppi, cosi chiamato  da Trump per un errore di pronuncia, ma che da allora  il personaggio è diventato ridicolo, in quanto lui stesso aveva già fatto di tutto per iscriversi al ruolo di comico nel teatrino della politica. Passando da una maggioranza all’altra e criticando quelli che prima aveva elogiato. Ma ritorniamo al comportamento assunto durante l’inizio del contagio. Parlare poco e lasciare parlare i fatti rappresentava la via da seguire per qualsiasi persona normale , quindi non necessariamente con un grande indice di intelligenza. Evento questo abbastanza usuale nella nostra classe politica.  Ma lui e parlo di Giuseppi, è un narciso e cosa fa allora? Dedica un giorno intero alla comunicazione, urbi ed orbi,  sui vari network televisivi. Quattordici sono  le apparizioni con tanto di pochette, e posa elegante, in quanto l’immagine è per lui sempre l’immagine. Mentre la voce  del personaggio ,sempre un po’ opaca, blatera di questa strana forma di contagio che riconosce di aver perfino stupito il suo possessore, come se fino a quel momento fosse stato in tutt’altra faccenda affaccendato. E cosa dice? Il tutto ed il suo contrario. Passare da un estremo all’altro è  infatti cosa tipica del narcisista. Cosicchè oscillare dalla sottovalutazione alla preoccupazione il passo è breve, come pure poi ascendere o discendere nella posizione contraria. Dire e non dire, per la verità, è sempre stata la mossa del politico italiano, ma qui c’è qualcosa in più: la pretesa di essere protagonista  e stimato addirittura nell’incoerenza. Perchè qualsiasi cosa dica è convinto che il giusto non sta nella comprensione o meglio nella incomprensione degli altri, ma solo nella sua capacità di  dare sentenze. In altri termini  di esprimersi come fosse un oracolo. Ma non tutto riesce al narcisista. Infatti  pur non rendendosi conto, capita , in base alla evoluzione degli eventi ,  di essere  costretto a scendere nella realtà, non tanto  la sua, sempre deturpata dall’immagine di se stesso, ma quella che coinvolge il paese. Quello vero. Così quando l’epidemia si allarga e diventa pandemia, non c’è più tempo di sistemarsi la pochette. Il contagio avanza in aree prima limitate  e poi si diffonde colpendo tutta la Lombardia, il Veneto, il Piemonte e in pratica pur con statistiche differenti tutto il nord del paese. I morti aumentano e bisogna prendere decisioni serie e drastiche. Questo non vuole dire, per il narcisista, ammettere gli errori e riconoscere la ragione dei  Governatori  delle suddette regioni, quando avevano proposto, all’inizio del contagio, di sottoporre a controllo tutti coloro che venivano dalla zona del contagio, la città di Wuhan in Cina. Preferendo, come tanti della sinistra omofila, andare a far mostra di falso umanitarismo  nei locali cinesi, a mangiare gli involtini e a pronunciare la frase: siamo tutti cinesi. Una citazione questa che detta da Kennedy  durante la sua visita a Berlino nel 1963, in tempi di guerra fredda con tanto di cortina di ferro che divideva in due la città ed in senso più ampio la Germania, esprimeva un senso di appassionata condivisione, ma che   oggi è solo una espressione retorica e basta. Tacciare i Governatori di populismo e razzismo, è stato il comportamento dell’avvocato del popolo. Ma ora bisognava correre ai ripari. Chiudere in quarantena il paese ma con le eccezioni tipiche del modo di affrontare le emergenze in Italia,  che non è mai  stata votata alle decisioni senza se e senza ma, rappresentava la soluzione obbligata, alla quale Giuseppi doveva piegarsi. Al punto di farle sue, tanto che anche in questa circostanza il modo di comunicare, rimanda sempre all’immagine della pochette. Succede infatti, allargandosi il contagio, anche gli altri paesi europei corrano ai ripari. E La soluzione italiana viene presa a modello, dimenticando che prima di noi ed in misura più drastica sono stati i cinesi a impedire la diffusione del virus mettendo, oltre alla città di Wuhan, ampie zone del paese in quarantena. Il risultato per ora non consente alcun ottimismo in base al numero di contagi e di morti. Si parla infatti di guerra perché ogni giorno il bollettino in fatti di decessi e contagi è tragico, come se una nuova forma di guerra di tipo batteriologico o meglio virale si fosse sostituita alle armi. E Giuseppi cosa dice, presentandosi  al pubblico come una Wanda Osiris rediviva? Che il nostro esempio è stato il primo a prendere drastici provvedimenti di contenimento dell’infezione fra tutti i paesi europei. Il narcisista non cambia mai perché non può cambiare se stesso. Tanto che dopo aver conseguito un patto con imprese e sindacati per offrire un lavoro sicuro per chi deve o è costretto a lavorare,  brinda all’accordo come fosse un suo successo personale. E la sicurezza sbandierata, viene attuata con mascherine, talmente inconsistenti nella loro pochezza, da essere considerate di carta  igienica visto che quelle veramente protettive non si trovano sul mercato.  Ora si dice non convenga fare polemiche, ma nemmeno è il caso di tacere sui tanti aspetti contradditori e criticabili. E la recente decisione da parte della regione lombarda di affidare la direzione dei lavori  a Bertolaso la dice lunga appunto,  sulle cose che non vanno.  La mia proposta allora è quella di offrire un bello specchio al nostro leader, ma mi accorgo  come questa soluzione sia inutile. Infatti Giuseppi non ha bisogno di specchiarsi col rischio di perdersi come Narciso. Egli si è già perduto in quanto  contempla continuamente   se stesso senza bisogno di qualcosa che gli rimandi l’immagine. Essendo già un riflesso opaco e sbiadito di quello che dovrebbe essere un  vero leader.      

Un avvocato del popolo di nome Giuseppi

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