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Venerdì, 19 Aprile 2024
Il tarlo scemo

Il tarlo scemo

A cura di Nereo Trabacchi

Ho scoperto perché Leopardi passava tanto tempo sul colle a fissare l’infinto

Bighellonavo sul mercato mensile del libro antico in piazza Diaz a Milano, quando in un banchetto di una coppia anziana mi cade l'occhio su due volumi datati 1864 che raccolgono l'epistolario più interessante di Giacomo Leopardi. Sfoglio sotto lo sguardo sempre vigile dei guardiani di tesori, e vedo che la maggior parte di queste interessantissime lettere sono indirizzate al grande amico di Leopardi: il piacentino Giordani

No, non sono impazzito, non ancora almeno, ma oggi, per dare una risposta al tarlo scemo, ho dovuto riflettere molto, molto, molto; ma andiamo con ordine. Bighellonavo sul mercato mensile del libro antico in piazza Diaz a Milano, quando in un banchetto di una coppia anziana mi cade l’occhio su due volumi datati 1864 che raccolgono l’epistolario più interessante di Giacomo Leopardi. Sfoglio sotto lo sguardo sempre vigile dei guardiani di tesori, e vedo che la maggior parte di queste interessantissime lettere sono indirizzate al grande amico di Leopardi: il piacentino Giordani. Così compro.

Inizio una lettura interessantissima, fatta di passaggi di una finezza intellettuale di rara qualità, fin quando arrivo al mese di agosto 1817 dove il Giacomo mi va in bombola perché da un po’ di tempo non riceve risposta dal nostro Pietro. I toni anche nelle precedenti, erano tipiche del Leopardi, cariche di quel pessimismo cosmico per cui è conosciuto in tutto il mondo, ma qui mi dà il meglio: “O carissimo e dolcissimo Giordani mio, vi abbraccio con tutto il cuore e l’anima. Che è questa maniera di cominciare? O Dio! Voi non sapete in che pena sono stato in questi giorni per voi. La cagione potete immaginarvela. Dal giorno in cui vi scrissi l’ultima mia fintanto che ho ricevute le vostre, sono stato, non vedendo la vostra lettera, in un’ansietà spaventosa. Ho provato strette di cuore così dolorose, che altre tali non mi ricordo di avere mai provato  in vita mia.”

Oh perbacco, quasi come in un giallone! Inizio così a pensare e cercare di capire per quale ragione Giordani non si facesse più vivo (nel libro non sono riportate le sue missive). Fin quando ormai pure io preoccupato, arrivo alla lettera che Leopardi spedisce da Recanati a Piacenza il 27 ottobre 1817, e si svela l’arcano: “… Caso che questa si trovasse in sul partire per Milano, aspettate di rispondermi quando sarete là, chè così verrete a guadagnare dieci giorni, perché le lettere di Milano mi giungono in cinque e da Piacenza in quindici, come vi ho detto.” (foto).

Tiro un sospiro di sollievo come in un vero e proprio romanzo (consiglio queste letture che io porto spesso nelle scuole), e comprendo che, ahi ahi, tanta ansia per l’autore dell’Infinto era a causa della lentezza delle poste piacentine. Ecco perché forse passava tutto quel tempo sul colle solitario a fissare il vuoto. Aspettava il postino.

Ho scoperto perché Leopardi passava tanto tempo sul colle a fissare l’infinto

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