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Giovedì, 25 Aprile 2024
Libertà di pensiero

Libertà di pensiero

A cura di Carmelo Sciascia

Al caffè degli esistenzialisti scrittori e filosofi disquisiscono su libertà e indipendenza dell’uomo

Ero ancora liceale quell’anno. Era in verità l’ultimo anno, il 1972, che avrei frequentato il liceo: a luglio avrei sostenuto gli esami di maturità e poi finalmente l’Università. Avevo scelto lo scientifico, nonostante il libretto scolastico delle medie sottolineava la mia propensione alle materie artistico-letterarie. Ma si sa che gli insegnanti sono lungimiranti, alla lunga infatti non sbagliano mai i loro giudizi, tant’è che scelsi, dopo la maturità, Filosofia. Tutto ciò, oltre a non interessare a nessuno, tanto meno sarebbe interessato ad un filosofo come Heidegger, il quale non riconosceva nessun valore al genere biografico. Su Aristotele, aveva esordito una sua lezione dicendo: “A un certo punto è nato, ha lavorato e poi è morto”.  La filosofia di Heidegger prende le mosse dalla fenomenologia di Husserl, suo maestro. La sua ricerca prende a modello la speculazione dei presocratici, i quali avevano indagato sull’essenza ultima  della natura e del mondo.

Perché cito Heidegger? Perché è uno tanti filosofi che ho incontrato leggendo il libro di Sarah Bakewell “Al caffè degli esistenzialisti”, sottotitolato: Libertà, Essere e Cocktail (Fazi  Editore-2016), un libro che mi ha catapultato, in modo piacevole (ma con l’amaro in bocca) in quegli anni. E comunque mi giustifico subito dicendo che l’incipit invece sarebbe stato gradito da Sartre, un filosofo che identificava perfino una personale storia d’amore (una intima vicenda biografica quindi) come una storia relativa alla libertà.  Ecco un altro nome, un altro filosofo che occupa buona parte dell’opera, si potrebbe dire una pagina sì ed un’altra pure.

Era accaduto nello stesso anno, siamo sempre nel 1972, che appena uscita nella X edizione degli Oscar Mondadori, “La nausea” di Jean Paul Sartre, comprai per settecento lire quell’opera e la lessi (non tutta d’un fiato). Sarà stata l’età, sarà stata l’aria che si respirava in quegli anni ma era il terzo libro di una serie poco spensierata -alla faccia di una generazione ritenuta frivola-.  La nausea seguiva infatti a ruota  la lettura dei romanzi di Moravia “Gli Indifferenti” e “La Noia”. Per rendere la pariglia avrei dovuto leggere di Sartre anche “Il Muro”, ma non lo feci allora e credo oramai sia fuori dal cono dei miei interessi più prossimi.

“In compagni di scuola” del 1975 di Venditti (che non essendo un filosofo nel testo non viene citato), ci sono dei  versi:  “Mezzogiorno, tutto scompare,/"avanti! tutti al bar"./Dove Nietzsche e Marx si davano la mano/e parlavano insieme dell'ultima festa/e del vestito nuovo…” . Il libro della Bakewell, inizia proprio presentandoci tre giovani filosofi che siedono al caffè Bec-de-Gaz in  rue du Monparnasse, a Parigi nel 1933, spettegolando e bevendo cocktail. I tre sono: Sartre, Simone de Beauvoir e Raymond Aron (compagno di scuola di Sarte). Ricordiamo la de Beauvoir per il suo saggio “Il secondo sesso” che è stato il manifesto delle lotte per l’emancipazione delle donne dagli anni sessanta in poi. Il testo, rispecchia il modo di procedere speculativo proprio della filosofia esistenzialista. La rivoluzione antropologica della de Beauvoir sarebbe da menzionare nel Pantheon delle rivoluzioni culturali moderne: Darwin aveva riposizionato l’uomo in relazione agli altri animali, Marx aveva riposizionato l’uomo nell’ambito del processo produttivo, la de Beauvoir riposizionava adesso l’uomo rispetto alle donne: “donna non si nasce, lo si diventa”.

Nietzsche che secondo Venditti dava la mano a Marx, in realtà l’aveva data a Kierkegaard, perché sono i due filosofi che si son passati il testimone nel trattare l’angoscia e la difficoltà del vivere stesso: infatti  l’essere e l’angoscia sono gli argomenti che stanno alla base di tutto l’esistenzialismo moderno.  Diciamo che tutto, o quasi, è iniziato dalla fenomenologia di Husserl, una concezione filosofica che ha come oggetto principale d’indagine l’esperienza vissuta, l’osservazione del fenomeno scevro da qualsiasi giudizio precostituito (l’epoché di antica memoria scettica). Comunque tornando al “Caffè degli esistenzialisti”, diciamo che mi ha coinvolto, perché al di fuori di  Husserl,  tutti gli altri intellettuali protagonisti del libro sono stati comprimari viventi e presenti del dibattito filosofico  della mia generazione. Mi riferisco a scrittori e filosofi quali Jaspers, Heiddeger, Sartre e la de Beauvoir morti  tutti dal 1969 al 1986. Eccezione per Camus che pur lasciandoci a soli quarantasette anni, nel 1960, è stato sempre presente per le sue  scelte politiche: lotte per l’indipendenza dell’Algeria,  contro la tortura e la pena di morte (definito omicidio di Stato), contro qualsiasi sopruso ed abuso del potere dello Stato, idee bene espresse nella rivista “Combat”. Da ricordare il suo capolavoro “Lo straniero” ed il saggio sul “Mito di Sisifo”: nonostante l’assurdità della pena “bisogna immaginare Sisifo felice”. Come dire che nonostante una visione nichilista bisogna decidere se rinunciare o andare avanti, ed anche se non esiste un senso ultimo in ciò che facciamo, Camus ci indica la strada per andare avanti lottando nella Resistenza, per la libertà e l’indipendenza dei popoli.

Noi oggi possiamo comprendere meglio l’esistenzialismo se facciamo riferimento ai film di Woody Allen (Irrational Man, ne è un esempio evidente), o a film che mettono in primo piano il rapporto dell’esistenza individuale con lo sviluppo della tecnologia: Matrix dei fratelli Wachowski  o  The Truman Show di Weir.

Tutti noi viviamo (non so quando e se avrà fine) un’epoca caratterizzata dalle incertezze sulla libertà, personale e collettiva, sull’angoscia per le prospettive che ci riserva il futuro. Le guerre del XX secolo hanno segnato i filosofi di quel secolo, così come la precarietà politica ed economica oggi sta segnando e condizionando il nostro modo di essere e di vivere. Quella dell’esistenzialismo è stata ed è dunque una vicenda politica e storica. È politica perché tutti gli attori furono coinvolti politicamente: Heidegger aderì al nazismo, Sartre diede una interpretazione esistenzialista del marxismo. È storica perché tutte le loro idee e le loro vite sono state moralmente e fisicamente connesse alle cronache del XX secolo.

Molti non lo sapevano, ma gli slogan che si sono gridati nelle manifestazioni studentesche dal sessantotto a tutti gli anni settanta, erano esistenzialisti: Vietato vietare- l’immaginazione al potere-siate realisti chiedete l’impossibile. Come disse Sarte, gli studenti chiedevano tutto e chiedevano niente, chiedevano libertà. Spesso separiamo il mondo delle idee da quello della vita reale, separazione che qualche letterato non ha mai fatto, tra questi il filosofo francese che ebbe a dire: “penso sempre contro di me”,  dichiarandosi disponibile non solo a cambiare opinione se altri lo avessero convinto ma per porre l’accento soprattutto sulla sua curiosità intellettuale, sempre pronta ad indagare in qualsiasi direzione. Questo mi fa ricordare, per coerenza ed onestà intellettuale, un altro scrittore di casa nostra, Leonardo Sciascia: - Di me come individuo, individuo che incidentalmente ha scritto dei libri, vorrei che si dicesse: «Ha contraddetto e si è contraddetto», come a dire che sono stato vivo in mezzo a tante «anime morte», a tanti che non contraddicevano e non si contraddicevano-. Ma questa è un’altra storia. Intanto finito il libro, mi sento in dovere di ringraziare la Bakewell  perché  anch’io mi sono sentito seduto al caffè degli esistenzialisti, al caffè Bec-de-Gaz in  rue du Monparnasse, a Parigi, a parlare “con profondità di anarchia e di libertà/ tra un bicchier di coca ed un caffè” .

Al caffè degli esistenzialisti scrittori e filosofi disquisiscono su libertà e indipendenza dell’uomo

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