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Libertà di pensiero

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A cura di Carmelo Sciascia

Il cuoco dell’Alcyon, l’ultima opera di Andrea Camilleri

Posso affermare senza ombra di dubbio di avere festeggiato le nozze d’argento con gli scritti di Camilleri, avendo iniziato nel 1994 con la lettura della Forma dell’acqua e terminato nel 2019 con la lettura del cuoco dell’Alcyon: 25 anni esatti! Mi riferisco solo ai libri pubblicati dalla Sellerio e che riguardano le avventure del Commissario Montalbano. I libri che riguardano le avventure di Montalbano hanno alcune caratteristiche in comune: sono dei gialli polizieschi, hanno sempre gli stessi protagonisti e la stessa divisione in buoni e cattivi, hanno la stessa struttura linguistica. Camilleri ha dimostrato di sapere scrivere e bene in lingua italiana, basta leggere i saggi e gli articoli che ha scritto per il teatro e la televisione. Non da meno sono gli interventi sui giornali, come opinionista, comparsi sul Messaggero, sulla Stampa, sulla Repubblica e sul Sole 24ore, anche la produzione dei vari romanzi rispecchiano una realtà oggettiva descritta in un italiano irreprensibile.

La struttura linguistica del suo Montalbano è la creazione più originale che abbia prodotto, ha creato una scrittura astratta come il russo Wassilj Kandinskij aveva creato una pittura astratta nel 1910.

La sua lingua è un intreccio di vocaboli ora italiani ora dialettali, è una trasposizione moderna della nobile tradizione siciliana dei cantastorie: narrare cantando un fatto realmente accaduto. Camilleri fa la stessa operazione dei cantastorie ambulanti (penso a Cicciu Busacca): parte da un fatto di cronaca giornalistica e la racconta, mettendoci del suo, con una nuova lingua, divenuta la sua lingua. Così in Camilleri, nel suo linguaggio, c’è l’italiano e c’è il dialetto siciliano (in realtà, due lingue) che mescolati danno forma a qualcosa d’altro, quel qualcosa d’altro che assume “La forma dell’acqua”. L’acqua, come la lingua del Nostro non ha forma, cioè grammatica e sintassi propria, ma prende la forma del recipiente che la contiene. Non a caso questo romanzo “La forma dell’acqua” del 1994 è il primo che narra delle avventure del commissario Montalbano ad essere pubblicato dalla Sellerio. Dal primo all’ultimo il passo è breve, solo un quarto di secolo, il tempo previsto di una intera generazione.

I romanzi di Camilleri hanno avuto un notevole seguito televisivo, fenomeno che si è potuto verificare forse perché inconsciamente queste storie sono state pensate proprio come sceneggiature di film (non era stato il Nostro l’autore degli sceneggiati del tenente Sheridan e del commissario Maigret?).

Quest’ultimo romanzo sembra convalidare questa tesi, anche perché l’Autore dichiara espressamente nella Nota e nella Nota alla nota (a mo’ di post-fazione) che questo racconto era nato come soggetto per un film italo-americano. Un esempio della caratterizzazione dei personaggi in quest’ultimo libro è palese: Catarella afferma di non avere il numero telefonico dell’eterna fidanzata di Montalbano, per poterla chiamare come richiesto dal Commissario, perché nel foglietto dove era appuntato il numero era segnato il nome Livia, mentre il centralinista cercava il nome di “Allivia”: chiamami a Livia, aveva detto Salvo. Così Camilleri (ed il suo portavoce Montalbano) ha la capacità di destreggiarsi con le variazioni e le commistioni delle due lingue (l’italiano e il siciliano), come con tutte le possibili variazioni frutto della loro commistione. In primis come esempio di quanto detto abbiamo il grammelot di Catarella, in secundis le costruzioni lessicali (e mentali) di tutti gli altri.

Il risvolto di copertina porta una firma conosciuta (agli studiosi del Manzoni), a noi nota per i suoi studi accademici sulla lingua ed il romanzo, quella di Salvatore Silvano Nigro, il quale sostiene (e ci trova concordi nel giudizio) che “Tutto è indicibile, sogno e realtà, vero e falso, maschera e volto, farsa e tragedia, allucinazione e organizzata teatralità di mosse e contromosse beffarde… La tortuosità della narrazione è febbrile”. Sì è una narrazione febbrile, l’ultima testimonianza di un modo di procedere a scatti fuori da qualsiasi controllo spazio-temporale. Quest’opera è la passerella di tutti i personaggi che ha animato e reso familiari Camilleri, di tutti quei personaggi che hanno ricamato le trame poliziesche di un Commissariato di provincia, dal Questore al Prefetto, dal Comandante all’ispettore di Polizia, dal padroncino vizioso all’operaio disoccupato. Questa volta la semplice tela di un piccolo quadro di paese si dipana fino a diventare un affresco cosmopolita, dalla vita di una piccola Vigata si passa a trame internazionali dove in prima persona interviene con tutto il suo strapotere il Federal Bureau of Investigation (F.B.I.). Non era questo romanzo, come si era già detto, un rifacimento di un copione per un film italo-americano? Si sa che poi a trionfare sarà sempre la giustizia, quella giustizia casalinga e casareccia rappresentata da Montalbano e non è un caso se qui lo troviamo nelle vesti di un vero cuoco di cambusa.

Un romanzo dove avviene di tutto, freneticamente ma anche poeticamente, dove tra sogno e realtà non può mancare una eclisse lunare. Una eclisse fuori dal tempo: suggestiva e sinistra, come la morte dello scrittore avvenuta 25 giorni dopo la pubblicazione di quest’opera, la venticinquesima di Montalbano.

Il cuoco dell’Alcyon, l’ultima opera di Andrea Camilleri

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