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Libertà di pensiero

Libertà di pensiero

A cura di Carmelo Sciascia

Le verità nascoste

La conclusione del libro “Le verità nascoste” (Rizzoli – 2019) di Paolo Mieli mi lascia alquanto perplesso. Il libro del noto giornalista affronta alcune questioni storiche che si sono prestate (e si prestano) a dubbia interpretazione. Non a caso, l’opera che ha come sottotitolo “Trenta casi di manipolazione della storia” si divide in tre grandi capitoli.  Capitoli che riguardano fatti e personaggi di varie epoche, dalla più antica storia romana alle più recenti vicissitudini novecentesche. Le verità della storia prese in considerazione vengono divise in tre grandi gruppi: Le verità indicibili, le verità negate, le verità capovolte. Non mi soffermerò sui singoli casi presi in considerazioni dal Mieli, sarebbe, per poterne dare un giudizio critico, un lavoro lungo e complicato di ricerca storica e storiografica, lavoro che lascio volentieri agli storici di professione. Per questo non entro nel merito dei fatti presi in considerazione.

copertina libro di Mieli-2Del libro mi ha lasciato perplesso l’ultimo capitolo, la Conclusione, capitolo titolato: Il sano esercizio della dimenticanza. Il perché è presto detto. Si può essere più o meno d’accordo con le sue tesi, cioè che vi fosse stata una rivoluzione vera o finta contro Tarquinio il Superbo (verità negate), se le origini della mafia possano essere considerate rivoluzionarie o meno (verità indicibile), se il populismo abbia avuto inizio nell’Ottocento, originato dal concetto letterario di folla o meno (verità capovolte), ma non si può sicuramente essere d’accordo sulla conclusione cui giunge la personale riflessione dell’Autore. Mieli riporta al riguardo alcuni esempi storici ad iniziare dall’ateniese Trasibulo, il quale sconfitta la tirannide dei Trenta impose un patto dell’oblio, patto che vietava di chiedere giusti risarcimenti anche a quei cittadini che ne avevano titolo. Enrico IV con l’Editto di Nantes (l’offerta di pace agli Ugonotti) aveva posto fine alle guerre di religione, così come tutti i conflitti religiosi del Cinque e Seicento si conclusero con patti della dimenticanza. Anche gli svizzeri, a fine Ottocento si diedero una nuova costituzione che suggellava la pace civile con il silenzio. Lo stesso dicasi per la più recente storia d’Italia: l’amnistia concessa da Palmiro Togliatti (allora ministro di Grazia e Giustizia e capo del P.C.I.) agli ex fascisti, nel 1946, fu un patto dell’oblio. Questi personaggi non hanno di certo dimenticato, hanno fatto soltanto scelto soluzioni adeguate per evitare, in quel preciso momento storico, ulteriori disastri ai loro popoli, disastri che sarebbero derivati dal perdurare delle guerre, delle vendette, dell’odio.

Non si può infatti essere d’accordo con l’affermazione della sua Conclusione che teorizza “Il sano esercizio della dimenticanza” come premessa indispensabile per una riappacificazione dei popoli. In altri termini, a detta del Nostro, il superamento di qualsiasi conflitto politico, religioso o militare dovrebbe passare attraverso un sano esercizio dell’oblio. “La dimenticanza dovrebbe diventare parte integrante della memoria”. Mi sembra questa tesi dell’oblio o, come l’autore la definisce, il sano esercizio della dimenticanza, l’opposto del ricordo indelebile di alcuni personaggi letterari. Tra i tanti racconti di Jorge Luis Borges ne ricordiamo uno, descrive un personaggio, il contadino Funes, che caduto da cavallo acquista una memoria formidabile. Il ricordare tutto nei minimi particolari è fonte di dolore, una memoria indelebile gli rende impossibile la vita. Un altro caso è quello descritto, a proposito di un suo paziente, dal neurologo russo Alexander Luria nel suo “Viaggio nella mente di un uomo che non dimenticava nulla”.  Anche in questo caso una memoria assoluta è vissuta negativamente, è un handicap. La memoria prodigiosa, può benissimo ascriversi alla diatriba arabo-palestinese, due popoli che non riusciranno mai a fare la pace per un “eccesso di memoria”. Gli ebrei penseranno sempre alla loro storia dai kibbutz alla Shoah, i Palestinesi alla cacciata dalla loro terra sogneranno sempre la Nekba, il ritorno.

Sarà veramente così? Non credo proprio. Credo invece che ci si debba ancora una volta rivolgere alla scienza per superare un problema di pura filosofia della storia. Secondo i più qualificati studi, la memoria non servirebbe a conservare le informazioni più accurate o dettagliate che siano, ma solo a conservare le conoscenze più utili. Perché solo così si possono superare le difficoltà ambientali presenti e si possono prendere decisioni utili per il futuro. "È importante che il cervello dimentichi i dettagli irrilevanti e si concentri su ciò che serve a prendere decisioni nel mondo reale", così lo scienziato Blake Richards dell’Università di Toronto, a proposito della memoria. Allora si potrebbe dire a Mieli che è giusto che si dimentichino i fatti secondari, gli attributi o gli accidenti si direbbe filosoficamente, ma non ciò che è indispensabile per comprendere la realtà che ci circonda e poter prendere decisioni future. Le date sui calendari servono anche a questo, a ricordarci i fatti salienti della nazione, affinché attraverso la storia se ne conservi la memoria. Avrà fatto bene Palmiro Togliatti ad amnistiare nel ’46 tutti i fascisti? Non credo proprio, perché è stato un modo di evitare di fare i conti con il proprio passato, è stato un modo subdolo di perpetuare il fascismo, diversamente che in Germania. Ricordiamoci, tra l’altro, che sarebbe più corretto dire fasci-nazismo che nazi-fascismo, quantomeno per primogenitura. I Palestinesi dovrebbero dimenticare di essere stati cacciati dalle loro terre, in nome di una sana dimenticanza, per potere avere la pace? A fine capitolo, affrontando la storia del conflitto di Ulisse con i Proci, si dice che furono “gli dei omerici i primi ad indicarci l’oblio come cura d’obbligo per gli eccessi della memoria”. È corretto il riferimento al XI, al XXIII ed al XXIV canto dell’Odissea, ma risulta forzata l’interpretazione dell’Autore, perché se consideriamo la posizione degli dei, nell’Iliade come nell’Odissea, è tutto un ricordare torti subiti, rancori e conseguenti vendette il comportamento dei nobili abitanti d’Olimpo, altro che sana dimenticanza!

Le verità nascoste

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