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Libertà di pensiero

Libertà di pensiero

A cura di Carmelo Sciascia

“Non sono un assassino”, ovvero: il diavolo esiste ed è tra noi

Si sa che i film ed i libri sono cose diverse, come diversi sono i film tratti da libri. Forte di questo assunto, credo poter parlare di un nuovo film,  anche se non ho letto il libro che lo ha ispirato. “Non sono un assassino” è il film di Andrea Zaccariello uscito in questi giorni, “Non sono un assassino” è il romanzo di Francesco Caringella edito nel 2014.

Il regista Andrea è in qualche modo figlio d’arte: è figlio del produttore cinematografico Giuseppe Zaccariello, produttore attivo negli anni sessanta e settanta. Della sua attività di produttore da ricordare  un film, passato alla storia, di quegli anni: “A ciascuno il suo” diretto da Elio Petri. Mi sembra che il film di Andrea, cui tutti hanno visto chiari riferimenti al cinema di Dario Argento, sia più che un thriller, un vero e proprio “giallo” all’italiana. Di quei gialli che hanno fatto la storia del cinema e della letteratura della secondo metà del nostro Novecento. Il  filone nazionale del cosiddetto libro “giallo” ci ha illustrato le oscure trame del potere politico, le sue devianze, le sue oscure trame, più che i resoconti  della cronaca giornalistica ufficiale. Buon sangue non mente. Questo film è costruito come un misterioso poliziesco, come sono costruite certe opere sciasciane, penso soprattutto al “Cavaliere e la morte”. In quest’opera, la penultima (l’ultima è stata “Una storia semplice” – che semplice non lo era affatto -)  Leonardo Sciascia  partendo da alcune considerazioni riguardanti una incisione di Albert Durer, ci rende partecipi di una profonda riflessione sul potere, sulla creazione di capri espiatori , sulle dietrologie e la manipolazione dell'informazione. 

Qui nel film, punto di partenza è la relazione di amicizia di tre giovani, tre ragazzi che saranno i personaggi principali della trama. Un magistrato, un poliziotto, un avvocato. Tre personaggi che sono in fin dei conti le tre facce con cui si dovrebbe manifestare,  esprimere e concretizzare,  il Diritto. Quel Diritto, a volte travisato e stravolto, proprio da chi  preposto alla sua corretta applicazione: Forze dell’ordine, Magistratura, Rappresentanza Legale nei Tribunali. La storia può sembrare semplice: l’uccisione di un Magistrato, il Sostituto Procuratore Giovanni Mastropaolo, amico del poliziotto Vicequestore Francesco Prencipe, che viene accusato dell’omicidio, poliziotto che nomina come suo difensore l’avvocato Giorgio (melanconico ed alcolizzato per amore) amico comune degli altri due. Un Pubblico Ministero, Paola Maralfa, con voce roca ed inflessione sicula, chiede la condanna all’ergastolo del poliziotto basandosi su sospetti, non su prove schiaccianti ed incontestabili, come dovrebbe essere. La difesa viene imboccata da personaggi misteriosi, malavitosi che prendendosi  gioco delle istituzioni, determinano una sentenza che lascia non poco perplessi, vista la richiesta del P.M.

Questa miscela di avventure e disavventure, fanno sì che le quasi due ore di film si reggano benissimo, anzi ci si alza a malincuore, come se si aspettasse qualche altro colpo di scena a svelarci i lati oscuri che ogni personaggio gelosamente, a film finito, continua a conservare.  Insomma, in parole semplici mi sembra di capire che il regista, il nostro bravo Andrea Zaccariello, voglia più che stupire il pubblico con facili “effetti speciali”, prenderlo per mano e farlo riflettere sui grandi temi della Giustizia, sull’interpretazione ed applicazione del Diritto. È un film che non racconta in modo lineare una storia, ma gioca con i sentimenti dello spettatore nel tentativo di coinvolgerlo, nel renderlo partecipe ad un dibattito aperto e dagli esiti incerti, oggi più che mai, sul modo in cui viene condotta una indagine, fatto un processo, in fin dei conti amministrata la Giustizia.

L’indagine si sarebbe dovuta svolgere nella direzione cui stava indagando il Magistrato assassinato, la malavita pugliese (visto che il film è ambientato in quella regione), ma così non avviene, l’indagine si indirizza dove la coscienza, o meglio la cattiva coscienza del Pubblico Ministero conduce: non la Ragione guida la ricerca della verità ma l’Istinto che genera il sospetto, e sappiamo quanto il sospetto sia pregiudiziale e pregiudizievole al Diritto, all’affermazione del Diritto.

Gli attori assolvono il loro compito nel migliore dei modi. Sono una nota di appariscente richiamo, di reclame. Nomi noti: da Riccardo Scamarcio (Prencipe, il Vicequestore) a Claudia Gerini (Paola Maralfa, il Pubblico Ministero), da Edoardo Pesce (l’avvocato Giorgio) ad Alessio  Boni (Mastropaolo, il Magistrato ucciso). Il diavolo esiste ed è tra noi. Epigrafe, che nel film viene ripetuta più volte e che da sola,  riassume il film. Non una incerta domanda, ma un’ affermazione. Il diavolo esiste ed è tra noi,  se è vero (e lo è)) che per qualcuno (il caso Montante, Presidente di Confindustria Sicilia docet) l’antimafia è diventata una chiave per costituire lobby di potere, collusa con la stessa mafia, per facile arricchimento personale, come lo era stato la P2. Un flashback questo che non ha nulla a che vedere con i molti (e ben costruiti) flashback del film, ma appropriato a conferma dell’epigrafe che il diavolo esiste davvero ed è tra noi!

“Non sono un assassino”, ovvero: il diavolo esiste ed è tra noi

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