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Devozione e salute: chi va in chiesa si ammala di meno

Il rapporto tra atteggiamento religioso e benessere costituisce un argomento di crescente interesse dal punto di vista sia della psicologia sia dell'antropologia culturale. Si moltiplicano le riflessioni sulla importanza della religione e della spiritualità anche in ordine alla salute fisica e sono molti gli studi che assicurano che coloro che frequentano la chiesa o la sinagoga hanno più salute fisica e mentale e dispongono di un sistema immunitario più salutare

Il rapporto tra atteggiamento religioso e benessere costituisce un argomento di crescente interesse dal punto di vista sia della psicologia sia dell’antropologia culturale. Si moltiplicano le riflessioni sulla importanza della religione e della spiritualità anche in ordine alla salute fisica e sono molti gli studi che assicurano che coloro che frequentano la chiesa o la sinagoga hanno più salute fisica e mentale e dispongono di un sistema immunitario più salutare.

Uno studio dell’Università dell’Illinois, pubblicato sul Journal of Personalità and Social Psicology, sostiene che nelle società sottoposte a forti tensioni ci sono molte più persone che si affidano alla religione e si sentono per questo più felici anche non avendo particolare affinità con il culto.

Gli scienziati hanno analizzato i dati raccolti tra il 2005 e il 2009 attraverso un sondaggio condotto in 150 paesi dai quali risulta che in quelle realtà dove aumentano i disagi socio economici le persone sono più religiose e più felici rispetto a chi non ha una particolare fede. E’ stato anche asserito che chi è devoto vive più a lungo e ha minori probabilità di diventare iperteso.

Solitamente le persone che frequentano regolarmente una chiesa, pregano o leggono scritture religiose, godono di stili di vita più salutari che possono tradursi in una miglior salute fisica e sono meno portati, ad esempio, ad abusare  di alcol o sigarette. Non sembra quindi così strano supporre che possa sussistere un legame tra pratiche religiose e longevità e pressione arteriosa.

In passato erano apparsi contributi sull’effetto benefico della meditazione trascendentale o della meditazione buddista. Le pratiche meditative come percorso per la serenità della mente, l’etica del comportamento e il sollievo dalle sofferenze  sono seguite da circa 4000 anni in oriente e ci sono evidenze che dimostrano come  la meditazione  influenzi positivamente, attraverso un’azione sul cervello, la salute fisica e mentale dell’uomo.

Di recente è stato autorevolmente affermato che la presenza assidua alle funzioni religiose possa non solo migliorare il benessere spirituale ma anche avere effetti fisici positivi. Di fatto la vera vita religiosa, qualunque sia il credo, tende ad educare alla sobrietà e alla condivisione, interpella la nostra coscienza sociale e ci ricorda l’impegno a contribuire  a una distribuzione più equa dei beni materiali.

In una inchiesta effettuata a margine del NHANTES III ( National Healt and Nutrition Examination Survey), che è un programma di indagine volto a valutare la salute  e lo stato nutrizionale di adulti e bambini negli Stati Uniti, su un campione nazionale multietnico americano di circa 15.000  persone di ambo i sessi, con 20 o più anni di età, quasi il 29% affermava di presenziare a pratiche religiose  almeno una volta la settimana e il 10% ancora più spesso. A fronte di questo 40% circa di fedeli assidui, si registrava un 33% di persone che non avevano mai assistito a funzioni religiose .

Alcuni ricercatori hanno potuto appurare che esisteva un rapporto inverso tra assistenza alle funzioni religiose e prevalenza di ipertensione. Infatti coloro che attendevano ai servizi religiosi almeno una volta alla settimana  avevano valori pressori lievemente più bassi ed una prevalenza di ipertensione inferiore rispetto ai soggetti che si dichiaravano estranei  alle pratiche di chiesa.

Le differenze di pressione  in termini assoluti di mmHg si sono rivelate piuttosto contenute :-1,46 di sistolica  tra i fedeli con presenza settimanale e -3,03 tra quelli con presenze plurisettimanali rispetto ai non praticanti. Tali differenze, anche se statisticamente significative, non appaiono sostanziali. Tuttavia , avendo gli autori adottato una definizione restrittiva di ipertensione( pressione sistolica uguale o superiore  a 140 oppure diastolica uguale o superiore a 90), in tale schema  rigoroso anche variazioni minime possono acquistare significato. In questo contesto acquista valore anche un lavoro dell’Università di Berkeley che coinvolgeva 5000 adulti seguiti per 28 anni.

Nelle persone che frequentavano i servizi religiosi una volta alla settimana o più si registrava una mortalità inferiore quasi del 25% rispetto al gruppo che presenziavano meno. Per le donne la differenza era maggiore: -35%. I frequentatori assidui si mostravano più disponibili a modificare il loro stile di vita, smettendo di fumare, aumentando l’attività fisica, i contatti sociali e mantenere lo stato coniugale. Appare quindi credibile quanto scritto dalla Bibbia “ Tienti unito al tuo Dio, poiché è Lui la tua vita e la tua longevità” ( Deuteronomio)

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