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Cencelli, i due ministri e mezzo e l'infarto: una storia tutta italiana

Il suo manuale era una formula matematica creata per regolare la spartizione delle cariche pubbliche in base al peso elettorale di ogni singolo partito o corrente politica. La formula applicata all'inizio oralmente, venne pubblicata in un volume nel 1967, dopo il Congresso democristiano di Milano per le pressioni dell'onorevole Sarti, dirigente della corrente dei "pontieri", di cui Cencelli faceva parte.

Quando il discusso manuale Cencelli entrò nella vita politica, nessuno conosceva Massimiliano Cencelli, nato a Roma nel 1936. L’unica carica ricoperta, prima dell’improvvisa notorietà, era stata di sindaco di Caldarola, un paesino agricolo di 1500 abitanti in provincia di Macerata. Berlusconi, la prima volta che glielo presentarono, a metà degli anni novanta, gli chiese se era figlio dell’autore del codice. Gianni Letta corresse prontamente: «Manuale, Presidente, non codice».

Cencelli, che a quel tempo curava le pubbliche relazioni del San Raffaele, gli rispose che l’autore era lui. Il suo manuale era una formula matematica creata per regolare la spartizione delle cariche pubbliche in base al peso elettorale di ogni singolo partito o corrente politica. La formula applicata all’inizio oralmente, venne pubblicata in un volume nel 1967, dopo il Congresso democristiano di Milano per le pressioni dell’onorevole Sarti, dirigente della corrente dei “pontieri”, di cui Cencelli faceva parte.

Una seconda edizione venne pubblicata nel 1981 per conto di Editori Riuniti. I “pontieri”, così chiamati perché dovevano fare da “ponte” fra gli andreottiani e i dorotei, con il loro 12 per cento di voti rischiavano di non avere rappresentanti nel governo. Per evitare il pericolo, Cencelli venne nominato capo della segreteria D.C. con il compito di studiare un metodo per ottenere qualche incarico nella nuova direzione.

Propose di ripartire gli incarichi come nelle società, in base alle azioni possedute. Dopo interminabili discussioni e controversie, il Manuale ebbe l’imprimatur. Per trent’anni non ci furono ripartizioni di cariche, sovvenzioni, finanziamenti, nomine di funzionari speciali, presidenti, amministratori e consiglieri di enti o società partecipate che non venissero in conformità con i dettami del Manuale, da Roma fino al più remoto comunello della penisola.

Le interminabili riunioni e discussioni che lo stressavano, i ripetuti attacchi di collera, le innumerevoli sigarette e l’ostinata sedentarietà, furono la causa dell’infarto che lo colpì a cinquantacinque anni. Se la cavò bene, anche se non tornò più quello di prima, preferendo restare nell’ombra. Suo padre, che era stato l’autista personale di Pio XII, pensava per lui a un lavoro in Vaticano e l’affidò a Raimondo Manzini, direttore dell’Osservatore Romano, il quale, vista la sua passione per la politica, gli trovò un lavoro nella segreteria democristiana in piazza del Gesù.

Era un grande lavoratore che preferiva restare fra le quinte e vi rimase fino al Congresso di Milano che cambiò la sua vita. Il Manuale Cencelli fungeva da norma regolatrice, così che nessuno recriminasse, secondo valori fissi in base ai quali, le cariche assegnabili erano soppesate qualitativamente. Pare, infatti, che un ministro valesse due sottosegretari e mezzo.

All’interno della cosiddetta “quota” di cariche spettanti a un dato partito, le correnti si dividevano le cariche in proporzione del numero di tessere dei rispettivi capicorrente. Sperò sempre, inutilmente che il suo Manuale venisse tolto dalla circolazione, ma nessuno lo fece, neppure Martinazzoli che non amava la lottizzazione alla Cencelli.

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