rotate-mobile
Piacenza Nostra

Piacenza Nostra

A cura di Cesare Zilocchi

I cambiamenti climatici interrogarono anche i piacentini del passato

Adesso c’è Greta che profetizza la imminente fine, causa i cambiamenti climatici colpa dell’uomo moderno. Ma cronisti e storici piacentini del passato remoto furono anch’essi sensibili al misterioso fascino delle stravaganze meteorologiche e ce ne hanno lasciato testimonianze

Adesso c’è Greta la saputella che riempie le piazze del pianeta profetizzandone la imminente fine, causa i cambiamenti climatici colpa dell’uomo moderno.  Ma cronisti e storici piacentini del passato remoto furono anch’essi sensibili al misterioso fascino delle stravaganze meteorologiche e ce ne hanno lasciato testimonianze.  Vediamone alcune. Nel 1277 il gelo dura fino a marzo, siccità da aprile a tutto luglio.  Segue carestia, mortalità nel bestiame e degli umani.

L’arcidiacono conte del Verme testimonia che nell’anno 1368 si hanno copiosissime piogge da aprile a giugno che producono molti danni. Passano poi puzzolenti locuste che divorano frutti, messi ed erbe. Vent’anni dopo si ripete una continua piovosità fino all’estate, con giornate tanto fredde da danneggiare i raccolti. Il marzo del 1470 se ne va lasciando “la neve alta un braccio alla pianura”.

Otto anni dopo, di nuovo tanta neve a primavera, poi, di maggio, grandinate devastatrici con tanti fulmini che ne resta danneggiata la chiesa di Santa Maria in Cortina.

Il biennio 1483-84 è terribile. Nel marzo del primo anno cade molta neve, poi grandine e siccità a seguire.  Frumento, carne, pollastri, fieno e butirro rincararono paurosamente. L’anno seguente – narra lo Scarabelli -  non viene nessuna pioggia, tutto è seccato mentre la peste corre le vie della città, in mezzo a miseria e disperazione, Manfredo Landi approfitta per vantare diritti sulla Trebbia, derivandone le scarse acque e mettendo ancora più a secco la città.

Nel 1503 il Po esce dall’alveo in agosto, tanto cattiva è l’estate. Al contrario tanto siccitosa quella del 1520 che davanti a Piacenza “passavasi il Po a piedi asciutti”. Campagne inondate, bestie affogate, vittime umane nella inondazione del 1627. Il Poggiali riferisce, quanto al 1699: “per la trabocchevole copia di piogge cadute nella primavera, crebbero e gonfiaronsi di tal modo i torrenti e fiumi tutti del piacentino, che il Po andò fino a Fombio e allagò le campagne con gravissimo danno”.

Negli anni 1736, 1751, 1752, 1785 sono attestate suppliche al Santo Padre perché dispensi i piacentini dall’osservanza della quaresima, quanto ai generi alimentari, causa l’inaudita siccità che ha bruciato i raccolti riducendo città e territorio in estrema miseria. Nel suo Viaggio ai Monti di Piacenza il Capitano Boccia riferisce che sul libro censuale di Gambaro ritrova una memoria del 1775: “la notte del 20 maggio si cangiò talmente la stagione che l’indomani v’era una gamba di neve, ciò che apportò molto danno alla frutta e alle granaglie. Gli uomini più avanzati in età non avevano mai veduto a giorni loro un cangiamento sì stravagante”. Per il secolo XIX disponiamo dei giornali e dell’accurata cronologia a cura di Corrado e Antonietta Sforza Fogliani. Limitiamoci a qualche spunto. 

Sulla metà del 1867 il Corriere Piacentino attribuisce alla stagione torrida la diffusione del colera (571 casi in due settimane).  Due mesi dopo la Trebbia, il Nure, l’Arda fanno gravi danni causa le continue piogge. Nel giugno 1874 un temporale violentissimo si scatena in città. Un inserviente in piazza Duomo viene gettato a terra dal vento e ne morirà tre giorni dopo. 

Passiamo al 27 gennaio 1896. Il Progresso scrive di un inverno molto mite e aggiunge: “se questa mitezza dura anche i famosi giorni della merla saranno sconfitti”. Dura fino al 26 febbraio quando nevica in abbondanza.  Passa la neve e già il 20 aprile gli agricoltori cominciano a temere la siccità.  A metà luglio: “… uffa che caldo. Come a Massaua”.  Prima di ferragosto sono piogge torrenziali e frane nella valli. Persino il Po fa una piena estiva. Annullata la festa al santuario di Santa Franca perché sul monte Lama è caduta molta neve (da Il Progresso del 30 agosto!).  Mite l’inverno seguente. Con buona pace dei gretini.

  

I cambiamenti climatici interrogarono anche i piacentini del passato

IlPiacenza è in caricamento