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Piacenza Nostra

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A cura di Cesare Zilocchi

Come conobbi e presi a stimare il grande Giampaolo Pansa

Una vicenda piacentina legata al giornalista e scrittore Giampaolo Pansa, scomparso a 84 anni

Domenica 18 marzo 2012 sul Pian dei Corsi, nel savonese, venne  inaugurato, ad opera dei famigliari viventi, un piccolo monumento al caduto partigiano castellano Cesare Risposi, la cui tragica storia è legata a quella del piacentino Camillo Bussolati. Fu Giampaolo Pansa a farmi conoscere la vicenda dei due giovani piacentini.  

Nel suo “I Figli dell’Aquila” (2002),  Pansa tiene il filo del racconto su due giovani  della Divisione San Marco, arruolatisi per andare al fronte  e finiti invece  in Liguria a  ogorarsi  in una guerra tra italiani, inattesa, strana, avvilente  e tanto feroce da obbligare  alla ferocia, dove non c’è l’onore della sconfitta né l’orgoglio della vittoria. Una guerra fatta di imboscate e fucilazioni, rappresaglie, tristezze, frustrazioni.  Nemmeno quel po’ di cameratismo è praticabile, dato che  in mezzo  agli stessi marò  aleggia  lo spettro della  diserzione.  

Nel gennaio del ’45 – racconta Pansa - un distaccamento della San Marco, denominata “Controbanda” cattura un marò disertore passato con i partigiani garibaldini della “banda Rebagliati”, attestata su di un altopiano a 1058 metri sul mare (Pian dei Corsi), nell’entroterra di Finale Ligure. La “Controbanda” del ten. Lunardini non ha l’obbligo di uniforme, si mimetizza con fazzoletti rossi al collo (per meglio raccogliere informazioni), porta le cartucciere incrociate alla guerrigliera, si muove di notte e ha carta bianca.   

Così  può offrire all’ex marò catturato un patto: niente fucilazione se accetta di far da guida fino all’accampamento dei partigiani. La notte fra l’1 e il 2 febbraio la Controbanda della San Marco piomba addosso al distaccamento partigiano e accende uno scontro durissimo, sulla neve alta. Alla fine  gli assalitori  hanno la meglio e fra i partigiani  si contano 11 morti e 8 prigionieri. Due degli uccisi –  si legge nel  libro di Pansa - sono piacentini, ex marò passati al nemico.  Ecco un fatto a me sconosciuto  perché trascurato dalla pubblicistica resistenziale piacentina.   

Telefonai all’autore, al famoso, gentilissimo giornalista e scrittore, il quale volle che ci dessimo del tu in quanto entrambi giornalisti (!), dato che al tempo io ero un (umilissimo pubblicista) collaboratore de “Il Giorno. Mi fornì i nomi:  Camillo Bussolati  di Piacenza e Cesare Risposi di Castelsangiovanni. Verificai facilmente: il nome di Camillo Bussolati che  si trova in città, nel famedio  sotto l’arcata del Gotico che prospetta Piazzetta Mercanti mentre quello di Cesare Risposi  è inciso tra i caduti, sotto l’atrio del municipio castellano.

Rintracciai al telefono un fratello di Cesare e le sorelle di Camillo. Questi, al tempo studente universitario iscritto alla FUCI, abitava in via Mosca,  parrocchiano della Cattedrale.  Gli arrivò la cartolina precetto nella primavera del  ’44. Già - perché sovente si dimentica -  la Repubblica Sociale Italiana aveva istituita la leva obbligatoria e un manifesto tristemente  famoso  minacciava di morte i renitenti (lo sciagurato bando Graziani). Camillo  fece qualche tentativo per sottrarsi, senza esito.  Partì il 14 aprile come aviere, destinazione libro pansa 001-2Millesimo (Savona), poi Cosseria (Cuneo), con mansioni nell’avvistamento antiaereo. Mandava alla famiglia  lettere  affettuose e rassicuranti.  Ma il 31 luglio spedì una cartolina: “cara mamma, in seguito a piccolo cambiamento starò molto tempo senza scrivere, non dar credito a nessuna cosa si dica sul mio conto ....”.  Evidentemente  era già  salito  in montagna coi partigiani.  Il messaggio  stringato   rivelava  la preoccupazione di sollevare la famiglia dai rischi della sua scelta.  Il fucìno Camillo  divenne così il partigiano “Gegge”  della 4° brigata Garibaldi Manin, distaccamento Rebagliati. Passò l’estate e l’autunno, Ognissanti e Natale senza che il giovane partigiano desse più segno di sè. Un contatto lo stabilì nel tardo inverno, grazie al  parroco di Orco Feglino (Savona), don Eusebio Parparino.  Dopo un viaggio lungo e difficoltoso, le sorelle  Maria e Luisa erano arrivate a orco Feglino. Un momento di intensa commozione la notte del 25 gennaio ’45, pochi giorni prima di quella tragica battaglia al Pian dei Corsi, quando il  suo distaccamento soccomberà  sotto l’attacco  notturno della Controbanda. A informare la famiglia fu lo stesso don Parparino mediante una lettera  pervenuta   al canonico piacentino don Castagnetti  il successivo 9 febbraio.

Non molto diversa la vicenda di Cesare Risposi, riferita dal fratello Giuseppe. All’arrivo della cartolina precetto, nel maggio del ’44, avrebbe voluto  unirsi subito ai partigiani, ma lo trattenne  il timore di esporre genitori e fratelli alla rappresaglia dei repubblicani. Trovato l’aggancio, al momento opportuno  divenne il partigiano “Frine”.  Era con Bussolati la sera del  25 febbraio nella canonica di don Eusebio, quando poté abbracciare il padre, tre giorni prima di  morire a Pian dei Corsi. 

Dice  Pansa – con ragione - che la storia, a leggerla per intero, è una grande trappola. Grandi trappole sono le grandi sintesi,  destinate ad  essere sostituite – prima o dopo - dalle grandi revisioni. Quando invece le cose si possono leggere e verificare nel nostro piccolo, sono molto più limpide di quando non si creda. La storia di Camillo e Cesare ci dice che nella primavera del ’44  c’erano giovani posati e seri  che non credevano  alla continuazione di quella guerra sbagliata e già perduta. Furono trascinati nel turbine loro malgrado e – solo quando poterono – scelsero da quale parte stare. Morendo da partigiani ebbero i nomi incisi nel famedio del municipio, fossero morti prima, con indosso la divisa della San Marco, per loro nessun diritto alla memoria e alla pietà. Solo all’oblio. Parole profondamente oneste, che tutti dovremmo conservare incise nel marmo della memoria e della coscienza. 

Come conobbi e presi a stimare il grande Giampaolo Pansa

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