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Piacenza Nostra

Piacenza Nostra

A cura di Cesare Zilocchi

La pianta che brucia in punta e fuma dalle radici: storia fantasiosa del tabacco e dei suoi adepti

Un buon selvaggio di nome Arro, sempre in giro a raccogliere erbe, disse una sera, nell'intimità dell'amaca matrimoniale:”Moglie, voglio mettergi biù gusdo e biù fuogo..”.

“Si garo” rispose la femmina allupata. Lui tirò fuori una foglia scura accartocciata, l'accese e cominciò a far fumo. Era nato il si-garo.

La poveretta, che si chiamava Caterina – detta Cat – per quanto delusa, un po' abbozzò poi non ne potè più e tirò un cazzottone nella bocca dello stomaco al marito, proprio mentre stava a mezzo di una voluttuosa boccata. L'uomo divenne paonazzo e cominciò a tossire di brutto; un magmatico brontolio gli rimescolò nel petto. E fu subito Cat-Arro.

Cat era sempre incinta (proprio come la mamma dei rompiballe) e quindi l'avversione al fumo andava crescendo di generazione in generazione. Nei villaggi le vecchie narravano di donne che mettevano il veleno nella minestra del marito fumatore (da cui la fortuna del famoso slogan:”Attento chi non fuma può avvelenare anche te”). Il terrore correva lungo le volute grigie. I più fortunati continuavano a buscarsi pugni nella bocca dello stomaco e di conseguenza aumentava il catarro. Un tale che ne era pieno fino agli occhi ebbe una trovata: sbriciolò un sigaro nel mortaio da cucina e col naso tirò su la polverina scura. Starnuti da far tremare la capanna, si liberò del catarro e inventò la rinite allergica (da cui il raffreddore).

Arriva Colombo

E' storia risaputa, infatti, che quando arrivò da quelle parti Cristoforo Colombo la gente moriva di raffreddore come le vespe di flit.I poveretti, nel tentativo di ingurgitare vitamina C, erano costretti a rimpinzarsi di mollicci e disgustosi kiwi, papaie, ananassi.

L'astuto genovese, ben sapendo che “chi vespa mangia la mela” escogitò il “tre per due”, nel senso che si mise a vendere due mele verdone, belle dure, in cambio di tre piante indigene.

I selvaggi recavano cose mai viste e lui – consegnando al contempo le mele – andava  per assonanza catalogando: melan-zana, pomo-doro, pomo da terra, melo-ne, mel-ica(come botanico era scarso).

Un vecchio allampanato gli portò tre strane pianticelle che bruciavano lentamente  sulle punte delle foglie e facevano fumo dalle radici. Cristoforo lo guardò storto. Sto besugo, pensò, mi  fa fesso. Cercò due mele nisse, con il loro bravo “giovannino” che faceva capolino e le allungò al poveraccio. Selvaggio sì, ma mica scemo, quello si mise a protestare: tà baco! tà  baco! (in selvaggese vuol dire: guarda c'è un bego).  All'ammiraglione, lì per lì, venne di chiamare la strana pianta che faceva braci e fumo: “tabaco”. Alcuni storici sostengono che la vicenda si svolse su di un'isola caraibica ancora oggi – appunto – chiamata Tabago (leggi T'ò bego) ovvero, “beccati il verme”).

Il tabacco in Europa

Ad ogni buon conto, Colombo portò il tabacco nella vecchia Europa insieme ai pomodori, le melanzane, la melica e le patate. La confusione fu enorme. Chi, cercando di fumare pomodori, inventò la pizza, chi tentando di rendere fiutabili le patate fece il purè. Altri, sforzandosi di accendere pannocchie si ritrovarono a sgranocchiare popcorns.

Andò ancora peggio a quelli che si ostinavano di voler fumare le melanzane. Tirando boccate da quel cotechino vegetale diventavano bluastri e la gente diceva perciò che fumavano come i turchi (gli uomini blu). Invece fumavano un cavolo, cioè una ... melanzana di niente. I toscani, che son sempre un dito più arguti e vispi, finalmente ci arrivarono. Prima crearono il pomo-nolio del tabacco (in seguito storpiato in mono-polio), quindi fecero il sigaro toscano che andò a ruba fra i contadini delle paludi malariche e gli intellettuali di sinistra. I primi, con la puzza, tenevano a bada le zanzare, i secondi con dense cortine di fumo, riuscivano a nascondere i frequenti vuoti d'idee.

Per un po' andò tutto a gonfie vele. Poi il duce Benito prosciugò le paludi e i contadini poveri furono costretti ad emigrare in lontane paludi superstiti, oppure a trasferirsi in città dove, fatalmente, incappavano in certe femministe che tiravano cazzotti allo stomaco peggio della vecchia Cat. Così tornò il cat-arro. I fumatori cominciarono ad accontentarsi di certe sigarette che stavano al vecchio, caro sigaro toscano come l'acqua di malva alla barbera,   nel tentativo di accattivarsi le donne e arginare la montante ostilità. In questa strategia riformistica e mediatrice si distinse un attore, certo Humphrey Bogart, ma non ci fu niente da fare.

Fumatori al bando

Guaritori, sciamani, stregoni si misero in testa di convertire i fumatori. Inventarono le più sadiche torture; amuleti pinzati nelle orecchie, punture di spilloni sparati nei punti più reconditi, lavaggio dei cervelli, cerotti imbevuti di liquidi magici, intrugli da ingurgitare, gomme da masticare, messaggi terroristici e scheletri minacciosi affissi ovunque potesse annidarsi un sospetto tabagista.

Giusto intorno al 1992, mezzo millennio dalla scoperta del tabacco, scesero in campo persino i reggitori della cosa pubblica a reprimere la ancora consistente pattuglia degli ostinati fumatori. Ordinanze durissime li misero severamente al bando. Le guardie andavano a stanarli persino nei cessi pubblici (quelli aperti in alto), dove venivano traditi dalle inevitabili spiralette grigiastre evolventi verso il soffitto. Pioniere della crociata fu un certo Imbeci, sindaco di Bologna la dotta. Andavano nel frattempo dilagando altre orride erbacce dette hascisc, oppio, coca, maria-giovanna, che si potevano fumare o fiutare in modica quantità (ah ah ah). I cultori del tabacco furono invece ridotti a pochi gruppi settari in clandestinità. Si disse persino che costoro – riprendendo antichi riti tramandati da un tal Manzoni – con la morchia del tabacco ungesserogli oroscopi al perfido scopo di diffondere il cancroin danno di vergini, gemelli e persinopesci.   

I segreti della pianta che fa la brace in punta e il fumo dalle radici furono conservati da quegli sparuti nuclei iniziatici entro serre sotterranee e tramandati all'orecchio di padre in figlio. C'era poco da scherzare, ormai rischiavano la fucilazione nella prostata con pallottole dum dum e la delazione dilagava. Molti giovani passavano alle canne di  maria giovanna,  promossa anche dalle autorità per scopi sanitari e ricreativi.

La riscossa

Poi, com'è noto, il mondo conobbe un secondo rinascimento. Il tabacco poté risalire alla luce del sole. Grazie ai rari iniziati di origine toscana sopravvissuti si ritrovarono antiche formule per arrotolare i buoni, sani, robusti, puzzolentissimi sigaroni. La scienza, risorta dall'oscurantismo, riconobbe che inspirando fumo si respiravano minori quantità di ossidion – benzen – porcheriol (una miscela terribile di cui era satura l'aria) e perciò si campava di più. Grazie al progresso scientifico  la pianta del tabacco – geneticamente modificata – divenne un potentissimo anti-tumorale. I  sindaci, incredibile a dirsi, tornarono ad occuparsi di cose serie e le donne a tollerare. Finalmente buttava male per gli psicanalisti, costretti a contendersi i pochi irriducibili avversari del fumo, facilmente riconoscibili dal pollice in bocca (sintomo chiarissimo di carenze affettive, infantilismo cronico eccetera).

La scritta: “Attenzione, il fumo ti uccide” tolta dalle confezioni di sigari toscani  fu trasferita sulle testate dei missili terra-aria. Era l'anno del Signore 2492 millesimo dalla scoperta dell'America.
Cesare Zilocchi
(6 – 4 – 1992)

La pianta che brucia in punta e fuma dalle radici: storia fantasiosa del tabacco e dei suoi adepti

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