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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Piacenza Nostra

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A cura di Cesare Zilocchi

Ricordo di Bruno Lauzi, piccolo grande uomo

Con la sua voce un po’ così, Bruno Lauzi mi tiene compagnia da molti anni mentre siedo al mio tavolo di lavoro.  Dovrei dire al desk del computer, ma come si fa a fare i modernisti anglofili quando in sottofondo vanno le note di “Ma se ghe pensu” o le parole dolcissime  del “Coniglio rosa”.

Lauzi è l’unico artista di cui conservo l’autografo sulle copertine delle fono-cassette.  Era bravo, era modesto, era un liberale e per tutte queste ragioni passò qualche guaio. 

Conservo anche una foto che ci ritrae mentre mi stringe la mano. Intorno ci sono pannelli con  immagini e ritagli di giornale.  Vedo che i suoi capelli arruffati erano già candidi, i miei ancora scuri. Un quarto di secolo non è poco.

L’ Armata Rossa aveva invaso l’Afghanistan dopo un cruento colpo di stato manovrato dall’URSS per mettere al potere a Kabul un loro uomo di paglia: Babrak Karmal. Iniziavano gli anni ’80, ultimo decennio della storia comunista sovietica. Nessuno però manifestava per le strade; gli intellettuali di sinistra tacevano, i giornali in genere ignoravano o relegavano piccoli titoli nei recessi interni. E anche gli artisti, sempre così vispi e loquaci, stavolta stavano muti come pesci. Tranne Lauzi che cantò per noi nella Sala degli Scenografi, poi  venne nella stanzetta che dava su Largo Battisti (di fronte a Sant’Ilario), concessa in uso a un comitato di liberali e cattolici per adibirla  a mostra documentaria sull’Afghanistan. Passò in rassegna la raccolta, umile ma significativa protesta di carta. Poi ci strinse la mano con un sorriso di simpatia. Un quarto di secolo non è poco, ma io non dimenticherò mai quel piccolo grande uomo che ora ci ha lasciati.  

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