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Venerdì, 29 Marzo 2024
Piacenza, una storia per volta

Piacenza, una storia per volta

A cura di Giuseppe Romagnoli

Emilio Rossi detto “Risula”, erede dell’antica scuola di liuteria piacentina

Estremo epigono della prestigiosa tradizione locale germogliata sul ceppo di Lorenzo Guadagnini, allievo dello Stradivari, capostipite di una famiglia di preclari artefici operanti fra Piacenza, Milano e Torino tra la fine del Seicento e la prima metà dell’Ottocento

Emilio Rossi era assai più conosciuto con il nomignolo di “Risula” per via della capigliatura ricciuta che ancora, quando aveva superato gli ottant’anni, gli frondeggiava sul capo non domato dalla canizie. “Risula” fu l’erede dell’antica scuola di liuteria piacentina, l’estremo epigono della prestigiosa tradizione locale germogliata sul ceppo di Lorenzo Guadagnini, allievo dello Stradivari, capostipite di una famiglia di preclari artefici operanti fra Piacenza, Milano e Torino tra la fine del Seicento e la prima metà dell’Ottocento. Rossi rientrava nell’area elettiva di quella tradizione creatrice di leggiadri e pregiati strumenti a corda. Suo padre e suo nonno furono infatti esperti costruttori di liuti. Il primo, Domenico,stimato professore di contrabbasso, lavorò gran tempo nella vetusta bottega di via Castello 70 dove Emilio, già all’età di 10 anni, intraprese a maneggiare utensili ed attrezzi alla maniera del genitore. Domenico Rossi morì alle soglie della prima guerra mondiale all’età di 56 anni quando aveva già consolidato la propria notorietà di liutaio anche fuori provincia ed in alcuni centri dove il suo nome figurava degnamente accanto ai liutai di accertata ascendenza storica e di comprovata valentia.
“Risula” iniziò dunque giovanissimo nella bottega paterna. All’età di 13/14 anni aveva già “montato” il suo primo violino acquistato da Elda Mazzoni per il suo negozio di strumenti musicali in via S. Raimondo (ora Corso Vittorio Emanuele). internoportasraimondo-2


In pochi anni seppe cimentarsi assai bene, se non uguagliare o superare i modelli della bottega familiare. E’ un paragone puramente quantitativo: si dice che Stradivari costruì non più di 700 violini  siglati dal suo talento magistrale; “Risula” in più di 50 anni di attività, ne costruì a centinaia, tra violini, violoncelli, contrabbassi, mandolini, chitarre, sparsi un po’ovunque, in varie città italiane, all’estero, soprattutto in Belgio. Ma numerosissimi erano anche gli strumenti a corda da lui restaurati, ripristinati o riparati. Tutto questo nelle molte ore che sottraeva al lavoro per la caccia di cui era appassionatissimo. Ora il suo nome, unitamente a quello del padre Domenico, è catalogato fra i più esperti e sensibili liutai di autentico retaggio tradizionale. Non a caso diversi collezionisti venivano nella nostra città per rintracciare sul mercato locale liuti firmati dai Rossi. L’ultimo violino costruito in via Castello, “Risula” lo cedette al suo medico curante, un esemplare di elaborata rifinitura. Recava sul manico la testa scolpita di Paganini, quasi il suo canto del cigno. Tra le sue mani nella semisecolare attività, sono passati strumenti di pregio, qualche firma di gran vaglia. Avrebbe potuto mettere a profitto la sua competenza, volgerla in vantaggiosi affari commerciali, ma “Risula”, da quel galantuomo che fu, non abusò mai  dell’altrui buona fede o sprovvedutezza. A chi gli proponeva “affari d’oro” rispondeva immancabilmente:” Io i liuti li costruisco e li vendo, non li compro e non li traffico”. Quando era nel periodo di piena attività creativa, capitò nella sua bottega di via Castello certo Vallarini, collezionista genovese di antichi strumenti. Era sua intenzione rivolgersi a Domenico, suo padre, morto parecchi anni prima, ma il cui nome non era ignoto al Vallarini. Costui recava un prezioso liuto da riparare, un autentico Pressenda, liutaio vissuto tra il Settecento e l’Ottocento. Venuto a conoscenza della scomparsa di Domenico, il collezionista decise di affidare al figlio Emilio la riparazione dello strumento. Si trattava di eseguire un certo innesto nel manico. Il cliente partì e ritornò dal Rossi alla data stabilita e si accorse con soddisfazione e sorpresa che il Pressenda era stato riparato alla perfezione e che il liutaio piacentino si era nel contempo esercitato in una imitazione del prezioso esemplare. La copia risultò talmente simile all’originale che il Vallarini, malgrado la sua competenza di collezionista, lì per lì non riuscì a distinguere il violino vero da quello contraffatto. Fatto sta che il collezionista genovese, innamoratosi di quella copia esteticamente e funzionalmente perfetta, non esitò ad acquistarla, pagandola 500 lire di allora, mentre per la riparazione sborsò a “Risula” la somma di 300 lire. Emilio ricordava che quella imitazione gli era riuscita particolarmente ad hoc perché si trovava in un raro stato di grazia creativa. Anche la qualità della vernice (top secret dei liutai di antica tradizione) gli riuscì egregiamente dopo pazienti prove che restituirono la giusta e dosata patina d’epoca. Lo strumento non faceva una grinza; perfino le tarlature furono ottenute con appropriati e diligenti procedimenti. Castelloora Malta-2


Come nei musei vi sono copisti di grandi pittori, da Raffaello a Leonardo, da Correggio al Tiepolo, così “Risula” si dilettò nella copia di strumenti siglati da grandi maestri liutai, non escluso Stradivari. Egli però sempre si preoccupò d’inserire nel fondo dei violini imitati la dicitura “Copia di Stradivari- liutaio Emilio Rossi- Piacenza” e ciò a scanso di equivoci, soprattutto di ingannevoli complicazioni che avrebbero potuto compromettere la propria proverbiale probità professionale. “Risula” ha sempre ribadito che l’arte di costruire liuti è in sé difficilissima, tanto che il costruttore non può mai ritenersi sicuro di conseguire i risultati che si prefigge. Ogni liutaio deve tenere conto, tra l’altro, di alcuni fattori basilari: la qualità del legno (sempre acero e abete), lo spessore del fondo, la fattura dello strumento. Secondo “Risula” l’incognita maggiore non è tanto costituita dalla vernice, come comunemente si pensa, quanto dal trattamento della fibra del legno. Una volta costruì 10 violini ricavandoli  dal medesimo tronco d’acero. Solo due di essi riuscirono inappuntabili ed efficienti, mentre gli altri otto non presentavano affatto i requisiti armonici desiderati. Anche la loro “voce “ lasciò del tutto insoddisfatto il nostro costruttore, essendo sempre stato della convinzione che uno strumento musicale debba possedere, quasi alla stregue di un essere vivente, un’anima, un flatus, una sorta di psichismo organico. Ecco perché nell’arte del liutaio è assai difficile frodare, barare, mistificare”. “Risula” tra i conoscenti fu più popolare come cacciatore che come liutaio, tanto che una volta nella sua bottega di via Castello si presentò un vecchio compagno di caccia e vedendolo seduto al banco, assorto tra attrezzi e strumenti musicali, lo fissò stupito e gli disse. “Ma come, fai anche dei violini?”.

Emilio Rossi detto “Risula”, erede dell’antica scuola di liuteria piacentina

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