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Piacenza, una storia per volta

Piacenza, una storia per volta

A cura di Giuseppe Romagnoli

" Ho dedicato, anni fa, lunghi periodi di studio e di lavoro, per fissare sulla carta la Piacenza popolaresca delle vecchie borgate. Mesi e mesi chiuso in biblioteca ed altri nelle osterie, in circoli ed associazioni, per farmi narrare dagli anziani personaggi ed avvenimenti di un mondo già svanito. Nei loro racconti tutta la ritrosia, quasi pudicizia, nel parlare di una società reietta, di estrema povertà, di uomini duri, quasi scolpiti nella roccia che il tempo inclemente aveva sgretolato, ma di cui permaneva ancora il ricordo, nel loro cuore. Oggi, di fronte alla proposta di raccontare di questa Piacenza completamente svanita nell'oblio del tempo, sono stato inizialmente restio, perché mi rendo conto, passeggiando nelle vie, che nulla è rimasto, se non i fantasmi dei ricordi trasmessi o appena afferrati, nella mia fanciullezza, mentre già stavano svanendo. Ma poi ho riflettuto ricordando il giorno in cui ho condotto mio figlio in giro per quelle vecchie borgate, ritrovando il gusto di consegnargli il ricordo (se lo accetterà) di una realtà che non trovavo giusto svanisse completamente; soprattutto quei valori di probità e solidarietà in cui credeva questa gente rude e resa aspra dalla vita. Così, con nuovi e diversi strumenti di comunicazione, on line, proverò a raccontare di nuovo Piacenza com'era una volta, il suo vero humus popolare. Ma so già che mi rimarrà di tutto questo, inevitabilmente, parafrasando il poeta… ""la rimembranza acerba!"" "

Piacenza, una storia per volta

I monasteri urbani piacentini: un’antica storia radicata nella nostra città

I monasteri urbani: che attinenza hanno con il nostro blog incentrato sulla Piacenza popolaresca? Apparentemente quasi nulla, anzi parrebbe quasi una forzatura trattarne, ma lo facciamo per due ben precise ragioni

I monasteri urbani: che attinenza hanno con il nostro blog incentrato sulla Piacenza popolaresca? Apparentemente quasi nulla, anzi parrebbe quasi una forzatura trattarne, ma lo facciamo per due ben precise ragioni. La prima è che il contributo proviene dal dottor Luca Incerti che li ha tratti da alcuni capitoli della sua tesi di laurea e quindi ce li propone dopo la storia del Collegio S. Vincenzo, unitamente a quelli dedicati alle chiese ed agli antichi ospedali. Appartengono dunque tutti alla storia (quella con la s maiuscola) della nostra città ed è Santa Brigida-4quindi piacevole per chiunque apprendere tanti aspetti sconosciuti del nostro passato ma che pur hanno avuto una grande rilevanza nel contesto sociale cittadino, stimolando la nostra curiosità su dove erano ubicati.

La seconda ragione è che le chiese ed i conventi convivevano intrinsecamente con la popolazione, anzi erano sovente, con i remanenze del rancio delle caserme, un contributo non indifferente a placare la fame “nera” di tanta povera gente, soprattutto nei periodi di carestia; anzi sovente l’emergenza era la quotidianità e la vocazione caritatevole ecclesiastica trovava un naturale sbocco nelle borgate più povere della città. Questo indipendentemente dallo spirito religioso che pur era profondamente radicato anche nel popolo; gli oratori annessi alle chiese erano luoghi affollati di fanciulli e giovani che trovavano lì un luogo dove poter giocare e stare insieme.

Per questi motivi, con cadenza periodica, proporremo ai nostri lettori queste “pillole” di storia locale che sono supportate da testi e guide storiche pubblicate da numerosi eminenti studiosi e che sono qui sintetizzate per una piacevole lettura che potrà solleticare l’interesse dei lettori grazie al contributo del dott. Incerti.

“L’origine del monachesimo in Italia- sottolinea nella sua prefazione al corposo ma sintetico elenco che proporremo in due puntate- è tuttora ignota; si ritiene generato o almeno ispirato al monachesimo egiziano, noto tramite Atanasio.I cenobi d’Occidente si differenziano da quelli d’Oriente poiché si costituiscono  prevalentemente in forma comunitaria, anche se non mancano alcuni casi di eremitismo.

L’origine è prevalentemente dovuta alla volontà di qualche santo eremita che, grazie al proprio carisma, riesce ad attorniarsi di numerosi seguaci; le fondazioni private si registrano solo a partire dal VI° secolo.

La maggioranza dei monasteri fondati a Piacenza, come in gran parte d’Italia, ubbidiscono, almeno nei primi secoli del cristianesimo, alla  regola di S. Benedetto, che prescrive l’equilibrio tra vita attiva e contemplativa. In Emilia-Romagna, le comunità benedettine, si concentrano nei centri urbani, dove costituiscono cenobi ed intrattengono rapporti con il clero secolare ed il Vescovo. Gli studi di Zerbi, incentrati nell’area ambrosiano-lombarda, hanno dimostrato come l’opera del clero regolare abbia integrato quella del clero secolare. IlSant'Eufemia-3 monastero diventa luogo di aggregazione e punto di riferimento, non solo per l’organizzazione della vita religiosa, ma anche per artigiani e mercanti, che spesso si stabiliscono nei dintorni, come nel caso del monastero di S. Brigida in piazza Borgo.

I Benedettini riescono ad integrarsi nel territorio sfruttando la stabilità garantita dalla regola di S. Benedetto e la propria capacità missionaria, ciò gli assicura l’opportunità di tessere relazioni con i più elevati livelli delle istituzioni ecclesiastiche e civili.

La diffusione dell’Ordine va di pari passo all’affermazione dei Longobardi in Italia: l’Emilia e Piacenza certamente non rappresentano un’eccezione, infatti, tra le fondazioni del VI° secolo si ricorda S. Colombano a Bobbio e il monastero urbano di S. Sisto.

In età Carolingia e post Carolingia, allo sviluppo delle comunità monastiche, si assiste all’inserimento di un numero consistente di chierici regolari nelle gerarchie secolari della Chiesa locale, forse incentivato dal clima d’insicurezza generato dalle incursioni ungare nella Pianura Padana, ma anche dai generosi privilegi e donazioni elargiti ai monasteri o alla Chiesa dagli imperatori carolingi.

In età Ottoniana i monasteri benedettini, saranno sottoposti al controllo dell’autorità imperiale, poiché gli imperatori germanici avranno influenza in ogni grado della gerarchia ecclesiastica. Malgrado le cronache e i documenti piacentini non descrivano la planimetria dei monasteri benedettini, la Regola ricorda il progetto di massima. Si viene così a stabilire che, nell’abbazia, fornita d’acqua, mulino ed orto, doveva essere presente un dormitorio comune, un’infermeria dotata di servizi igienici, un ricovero per gli ospiti vicino alla mensa dell’abate, un guardaroba, una portineria e altri servizi necessari alla vita comunitaria. 

  • S. Ambrogio: il monastero, fondato secondo la tradizione nel 402, fu assai fiorente, vi trovò sepoltura il vescovo Mauro, ma ben presto decadde, infatti, passò come beneficio semplice alla chiesa S. Maria in Gariverto. L’immobile doveva sorgere nei pressi di via Giarelli in coincidenza di una strada che, non più percorribile, collegava via Benedettine ai bastioni delle mura. 
  • S. Agostino: citato per la prima volta dal Campi nel 1155, fu edificato nei pressi di S. Antonino e fu ricostruito nel Quattrocento nell’attuale sito. L’ubicazione dell’antico complesso monastico è ignota per la scarsità delle fonti storiche.
  • S. Alessandro: la chiesa divenne sede di monastero nel 1065 e venne riedificata; trova attestazione nella Cronaca di Campi fino al 1431; trasformata in parrocchia venne soppressa nel 1855 e l’edificio venne parzialmente demolito per migliorare il tracciato di corso Vittorio Emanuele. La chiesa, comprata dal Comune, fu adibita a teatro e rasa al suolo nel 1920. L’edificio, secondo Siboni, doveva sorgere in coincidenza dell’ex cinema Iris all’inizio di corso Vittorio Emanuele, che in antiche mappe conserva il nome di strada di S. Alessandro.   
  • S. Brigida: fondato nell’850 dal vescovo irlandese Donato, nel 1135 divenne prepositura ed fu devastata da un incendio nel XIII secolo e successivamente ricostruito. La chiesa è situata all’angolo tra via Castello e piazza Borgo che in antico era il centro di Borgo Santa Brigida.
  • S. Benedetto: fondato fuori dalle mura urbane, è citato dal Campi nel 603, successivamente distrutto e riedificato fu assegnato ai monaci vallambrosini e successivamente riedificato dalle religiose dell’ordine di S. Benedetto. Il monastero, secondo Siboni, doveva essere ubicato nell’area del castello di Pier Luigi Farnese e venne distrutto nel 1805 dallo scoppio di un deposito di munizioni.  
  • S. Cristoforo: fu fondata nel 1164 dalla compagnia dei Crociferi, ma è menzionata in modo esplicito da Campi solo nel 1234, era collocato a Mezzogiorno nel luogo chiamato in passato pista della polvere e oggi piazza Medaglie d’Oro. Nel 1350 i Crociferi iniziarono ad intrattenere rapporti con la chiesa di S Silvestro, nella quale, ben presto, si trasferirono. La chiesa di S. Cristoforo fu saccheggiata e distrutta dai Lanzichenecchi nel 1528. 
  • S. Eufemia: consacrato nel 1107 dal vescovo Aldo, nel 1123 diventa monastero agostiniano, è situato all’incrocio delle vie S. Eufemia e Bonini Boselli.   
  • S. Dalmazio: il monastero, priorato dell’abate di Tolla, fu menzionato da Campi nell’anno 680. La chiesa ha conservato l’aspetto antico a tre navate con la cripta in coincidenza dell’altare maggiore. S. Dalmazio è situato in via Mandelli, di fronte all’omonimo palazzo, sede della Banca d’Italia.
  • S. Gregorio: fondato, secondo Campi, nel 934 dalla contessa Adelinda di Lomello, come dipendenza del monastero di S. Maiolo di Pavia, l’edificio di proporzioni monumentali, doveva aprirsi su piazza Cittadella e lambire le vie Gregorio X, Cavour e della Ferma. Fu demolito nel 1564 insieme alla chiesa di S. Fruttuoso per consentire l’edificazione di palazzo Farnese.
  • S. Michele: il Monastero, fondato secondo Campi, da S. Savino nel 377, ma postdatato all’VII- X secolo da storici successivi, passa nella giurisdizione di S. Vincenzo al Volturno, fu restituito alla diocesi di Piacenza nel X secolo e venne affidato al capitolo della Cattedrale. Il monastero era ubicato all’incrocio tra le vie XX Settembre e Felice Frasi, che ha mantenuto il nome di Strada di S. Michele fino al 1887.
  • S. Marco: Fondato nell’XI secolo per volere di un elite nobiliare piacentina (Marcassola, Muglani, Diotisalvi, Pallastrelli, Angiprandi e Seccamelica), il monastero non sopravvisse alla costruzione del castello di Pier Luigi Farnese, ma venne risparmiata la chiesa e adibita a deposito; scoppiò insieme al Castello nel 1805 per la deflagrazione di un deposito di munizioni dell’esercito napoleonico.
  • S. Maria di Campagna: E’ menzionato per la prima volta da Campi nell’anno 1044 e già all’epoca doveva avere ragguardevoli dimensioni. Ufficiata prima da monaci, poi da frati, subì numerose trasformazioni tra Cinquecento e Settecento, è ubicato al termine di via Campagna, quasi a ridosso delle mura cinquecentesche.
  • S. Maria ad Argines: fu fondata dall’ordine degli umiliati nel 1180, trova ancora attestazione nel Trecento, ma successivamente se ne perdono le tracce. Il monastero, secondo Campi, doveva essere ubicato lungo corso Vittorio Emanuele in coincidenza della chiesa di S Teresa.

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