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Venerdì, 29 Marzo 2024
Piacenza, una storia per volta

Piacenza, una storia per volta

A cura di Giuseppe Romagnoli

Il centro storico: nobiltà, locali mondani e circoli esclusivi

Anni '30: un quadro d’epoca del pittore Alfredo Soressi raffigura la ressa di fedeli dell’alta società piacentina e ci restituisce la realtà dell'epoca

Già nel 1926, anno in cui si tenne a Piacenza il trionfalistico Congresso Eucaristico, si avvertirono i sintomi del ritorno del cattolicesimo di massa, che “liturgicamente” ritornava ai lunghi cortei delle processioni che affollavano le contrade del centro. Il moderatismo di Pio IX°, rampollo della borghesia agiata e conservatrice lombarda (la famiglia Mastai era di antichissima e nobile stirpe, originaria di Crema già dal 1300), non dispiacque ai ceti del benessere ed alle caste del privilegio, specie le neo-guelfe. Anche nella diocesi piacentina degli anni ’30 la situazione socio-religiosa si adeguò alle forme sancite dal Concordato tra Stato e Chiesa. Si registrò un rilancio delle pratiche e della dottrina della fede; attorno alla “religione di Stato” fiorirono i circoli parrocchiali e l’insegnamento del catechismo, anche se successivamente gli oratori divennero occasione di conflitto con il Fascismo che pretendeva il monopolio educativo delle giovani generazioni.

“Dio-Patria-Famiglia” fu il motto “uno e trino” che restaurò la prassi del perbenismo, specie nei nuclei familiari della “buona società” del centro, non certo delle borgate popolari. Esiste a questo proposito un quadro d’epoca del pittore Alfredo Soressi che raffigurava con veristico virtuosismo coreografico, una scena di specifico interesse socio-religioso. Rappresenta “l’uscita della messa domenicale in San Francesco”: sul sagrato si snoda una ressa di fedeli, in prevalenza eleganti signore in abiti decò-floreali. Quel dipinto potrebbe essere considerato con un documento speculare della live high piacentina del tempo.Soressi e la messa in San Francesco-2

La conformazione edilizia del centro storico si può riscontrare dai rari documenti fotografici precedenti i disastrosi sventramenti e le demolizioni dei più rustici caseggiati che si articolavano con ritmica ed organica continuità, sulle aree dove sorsero poi, in fredda e simmetrica monotonia, i palazzoni dell’Inps e dell’INA.

Una carrellata crono-storica sulla vita e sui costumi socio-culturali, mondani ed economici del centro e paraggi dai primi del secolo scorso fino al primo dopoguerra, è impresa ardua anche dedicandovi anni di ricerche; le testimonianze documentali sono frammentarie e scarsissime, perdute nel flusso vivo e mutevole dell’esistenza di parecchie generazioni.

sagrato san Francesco e palazzo Inps-2

 
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