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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Piacenza, una storia per volta

Piacenza, una storia per volta

A cura di Giuseppe Romagnoli

Il centro storico: nobiltà, locali mondani e circoli esclusivi

Anni '30: un quadro d’epoca del pittore Alfredo Soressi raffigura la ressa di fedeli dell’alta società piacentina e ci restituisce la realtà dell'epoca

I protagonisti di cui era stato possibile ottenerne testimonianza, al tempo della stesura della “Piacenza popolaresca delle vecchie borgate” si contavano sulle dita di una mano. Tra questi Sandro Cerri che ho conosciuto quasi alla soglia dei cento anni: figlio di uno dei proprietari della fabbrica del ghiaccio, fu testimone diretto (anche con tante fotografie) della 1° guerra mondiale, come della Piacenza dei primi del ‘900 e degli anni susseguenti.

Da lui, di agiata famiglia borghese, era stato possibile reperire alcune testimonianze condensate in appunti necessariamente schematici, utili comunque ad abbozzare alcuni nomi dei ceti patrizi, borghesi, professionali, culturali, i quali svolsero ruoli tipici, anche con riflessi pittoreschi, sull’immaginario popolaresco, se non altro per il gran divario che correva tra le misere condizioni dei residenti delle borgate povere, miserevoli e quelle dei grandi privilegiati dal censo e dal lignaggio.

Senza la pretesa di compilare un elenco completo dei signori di sangue blu figuranti nella nostra araldica con le loro insegne blasonate, ne nominiamo alcuni che furono personaggi di scena sul teatro mondano del centro, frequentandone i locali eleganti, i circoli elitari, i salotti, i club, i ritrovi d’affari finanziari, un po’ meno quelli culturali ed intellettuali: i Radini Tedeschi, i Malvicini, i Cavalli Lucca, i Calciati, i Landi, i Barattieri, i Fontana, gli Anguissola, i Lucca Prati, i Marazzani, i Pallastrelli, tanto per citarne alcuni.

Tra le figure di vistosa sontuosità coreografica, primeggiava il Conte Dionigi Barattieri di S. Pietro in Cerro, con dimora in Strà ‘lvà. Costui era solito uscire per diporto su carrozze d’epoca, tirate da una quadriglia di cavalli con i cocchieri in livrea. Questa sua usanza da spettacolo in costume, in un periodo in cui le disparità di classe emergevano con stridenti contraddizioni sociali, suscitando amari rancori più che ammirazione, gli valsero l’appellativo popolaresco di “quatar cavai”.

Ma l’estroso Dionigi era fatto così, ne sembra si curasse gran che dei giudizi e delle opinioni altrui, essendo votato ai cerimoniali della bizzarria e della stravaganza. Inoltre non aveva problemi coniugali avendo scelto quale condizione anagrafica congeniale quella di scapolo e perciò amico dei celibi come lui impenitenti e spensierati. In tal senso si ricordava una delle sortite più spassose, architettate per “scornare” la comunità civica dei maritati.una carrozza sullo stradone Farnese-2

 
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