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Piacenza, una storia per volta

Piacenza, una storia per volta

A cura di Giuseppe Romagnoli

La felicità povera di Sant'Agnese: via Dogana e paraggi

Quarta e ultima puntata del viaggio nella storia del quartiere di Sant'Agnese. Via Dogana (ora Giordano Bruno), non si discosta molto dagli altri rioni della borgata. La strada è caratterizzata dalla presenza delle mura che racchiudono Palazzo Madama, per lungo tempo sede delle carceri giudiziarie

Via Dogana (ora Giordano Bruno), non si discosta molto dagli altri rioni della borgata. La strada è caratterizzata dalla presenza delle mura che racchiudono Palazzo Madama, per lungo tempo sede delle carceri giudiziarie, chiamate anche “Ca’ Tondi” il cui nome, si dice, derivava da una famiglia, i Tondi, che tra Otto e Novecento abitava presso il carcere e svolgeva per tradizione, di padre in figlio, servizi connessi alla casa di pena. L’edificio è così chiamato perché residenza di Madama Margherita de’ Medici, costruito laddove sorgeva il lazzaretto abbandonato dopo la peste del 1630. Fu poi destinato verso la fine del’700 a Dogana e quindi, dopo l’Unità d’Italia, trasformato in carcere; oggi è sede degli uffici della Procura della Repubblica. Nella parte opposta al complesso, in fondo alla via, sorge la chiesa delle Benedettine costruita nella seconda metà del secolo XVII, con la grande e suggestiva cupola ricoperta di rame che da secoli domina la zona con la sua armoniosa struttura. giocociroloDogana-2

La grandiosità di questi due monumenti, con in più Palazzo Landi sede del Tribunale, la chiesa di S. Lorenzo e quella di S. Eustacchio, offre un “tocco d’arte” e di storia ad una via prevalentemente popolata da un ceto in maggiorana proletario. Anche qui non mancavano personaggi estrosi e caratteristici che animavano, con la loro presenza, il palcoscenico del rione, noto in città anche per la presenza del canile municipale di via Buffalari condotto per molti anni da Domenico Uber e da Telesforo Volpari discendente da una lunga generazione di “masa càn”. Guitto indiscusso su tutti “Cicòn” (...), un uomo che, pur avendo la possibilità di condurre un’esistenza dignitosa e decorosa (era di famiglia discretamente benestante), aveva sposato con la libertà più sfrenatamente anarchica, l’ozio ed il vino, o meglio il rifiuto completo e totale di ogni attività continuata nel tempo.

Viveva adattandosi a piccoli lavoretti, rendendosi utile in vari servigi e spendeva tutti i pochi guadagni all’osteria, unica costante sua fissa dimora. Sua “abitazione” per la notte, un carretto depositato dentro un ampio portico di via Giordano Bruno. Di carattere fiero ed estroverso, non tollerava nessun rimprovero, né imposizione. Una sera, ricordavano gli anziani, mentre era all’osteria, considerata l’ora tarda, la locandiera lo invitò a rientrare a casa con lei e dormire almeno fuori dalla porta, al coperto. Di fronte a questa “imposizione” Cicòn rifiutò adattandosi a rifugiarsi contro il portone della chiesa delle Benedettine, nonostante fosse in atto una fissa nevicata. Al mattino, credendolo congelato così avvolto nel tabarro coperto di neve, alcuni passanti lo scorsero. Cicòn risvegliatosi, li tranquillizzò sorprendendosi per le loro preoccupazioni e si avviò rapidamente all’osteria per riscaldarsi con un litro. Di solito l’inverno lo trascorreva nel vicino carcere dove andava a scontare la pena per qualche furtarello. Vi erano però altri personaggi estrosi nella via: Gerra, venditore ambulante di giornali, Secondo eclettico oste che gestiva la mescita all’angolo con via Gregorio X° (dentro, sul retro di questo palazzo, abitava mia nonna Angela), la Maria che continuò per anni a cucinare per il marito già morto da tempo, credendolo in prigione.

via Giordano Bruno-2cittadellamercatocoperto-2Ogni giorno si presentava con la sua “sbobba” davanti al portone del carcere per consegnarla al marito ed i secondini, impietositi anche dalle condizioni mentali della donna, si prestavano al gioco, ritiravano la ministra che poi buttavano nei rifiuti. Anche allora la famosa Ca’ Tondi presentava sicuramente una realtà ben diversa dall’attuale: dentro non vi erano rinchiusi pericolosi soggetti. Erano per lo più ladri di polli, vagabondi che vivevano di piccoli furtarelli, persone tanto indigenti che commettevano lievi reati per poter trascorrervi l’inverno.

La zona però, nel 1943 (precisamente martedì 7 dicembre), fu teatro di un duplice omicidio che sconvolse gli abitanti del rione, un episodio a lungo fisso nella memoria di tutti. La stampa del tempo (La Scure, di giovedì 9 dicembre) diede risalto al fatto di sangue, anche se le versioni presentate furono piuttosto contraddittorie. Così il cronista:” Martedì sera verso le venti, un ragazzetto mentre transitava in via Dogana n°8 s’accorgeva che la saracinesca del negozio per la vendita di Sali e tabacchi, con banco d’assaggio per il vino, era sollevata e l’interno illuminato. Ritenendo che l’esercizio fosse aperto, entrava e trovava il proprietario immerso in un lago di sangue. Nel retrobottega la moglie Carolina Lombardi di 70 anni uccisa con un colpo d’accetta. I ladri, dopo avere rovistato, hanno asportato denari, oggetti d’oro, sigarette, carta bollata e valori”. Il giorno dopo il quotidiano riportava invece che i due coniugi erano morti per soffocamento e che gli assassini dovevano avere una certa familiarità con le vittime perché erano entrati dal retrobottega di solito usato solo come passaggio.

Nei giorni seguenti più nessuna notizia inerente il delitto. Queste contraddizioni, questo successivo silenzio stampa, si potrebbe spiegare con il fatto, riportato da testimonianze, che fra le mani del morto era stato rinvenuto un bottone della divisa della milizia fascista che, in quel periodo, era subentrata ai secondini nella sorveglianza delle carceri. Il delitto, sia per la rarità dell’evento, sia perché le vittime erano conosciutissime e ben volute da tutta la gente della borgata, suscitò grande costernazione ed indignazione. I colpevoli non vennero mai rintracciati. 

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Ma le testimonianze di quel variegato mondo non si esauriscono qui: Demetria Volpari, la “Cinèi”, anziana fruttivendola di via della Ferma, angolo via Melchiorre Gioia, ricordava tanti protagonisti di quella borgata. Sulla piazzetta c’era Pipèi Milanesi, falegname con alla dipendenza diversi operai. Fu socialista di forte fede proletaria, stimato dalla classe operaia della borgata, soprattutto dai paesani di Mortizza dove si recava per riunioni presso la “Casa del popolo”, dove ci furono scontri con lo squadrismo negli anni ’20. C’era l’osteria di Camminati, fratello di “Gilè, quello della balera in Cittadella (ne abbiamo già trattato), dove c’era pure la sala cinematografica Eden” all’epoca dei muti, con le comiche di Ridolini e del popolarissimo cow-boy Tom Mix. Dietro la piazzetta della Dogana c’era l’orto dei Campelli. Uno dei figli, Nino, dopo il soldato a Napoli, sposò una ragazza del posto ed al suo ritorno aprì il Bar Campelli di Piazza Borgo. In piazzetta Dogana, ad onta dei tempi, c’è rimasto il “pompèi”, come ricordare l’esistenza che sgocciola via, come una generazione dopo l’altra che è passata. Sant'Agnese è cambiata ed anche i ricordi, pian piano se ne vanno, come tanti protagonisti di quest’era povera, ma felice.

La felicità povera di Sant'Agnese: via Dogana e paraggi

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