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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Piacenza, una storia per volta

Piacenza, una storia per volta

A cura di Giuseppe Romagnoli

La Piacenza del primo Novecento nelle descrizioni di Giana Anguissola

Ci affidiamo alla sensibile penna della scrittrice piacentina Giana Anguissola, che visse la sua giovinezza in zona San Raimondo e fu testimone attenta del costume memorialistico della Piacenza dei primi del ‘900

Suoni e fischi regolavano e indicavano gran parte gran parte della vita della città; le sirene delle fabbriche dei bottoni, le trombe delle caserme, i più lontani fischi dei treni in sosta ed in manovra, perché Piacenza era ed è città di coincidenze e smistamenti ferroviari. Allora i bottoni si esportavano, rappresentavano quasi tutta l’industria della città. Bottoni di corozo, di palma Dum. Le bellissime bottonaie sullo sfondo i bagni pubblici-2seguivano ciabattando fiere sugli esegui marciapiedi di pietra il fischio di uscita, quello di entrata. Si chiamavano a gran voce, schiamazzando. Tenevano la mano sul fianco; erano padrone della città. Quando litigavano si tiravano i lunghi capelli demolendo elaborate pettinature a torre, seminando il lastricato di forcine. A brusio finito passavano solitari, pensosi i padroni e i capi: l’ingegner Rossini, l’ingegner Vaccari, l’ingegner Galletto, l’ingegner Perrault, il signor Biraghi, il signor Cress, il signor Dodi, il signor Rindi.

Al suono della libera uscita la città si inondava di soldati. Al suono della ritirata ne rimaneva in secca. Le lunghe note del silenzio cadevano sulla stanchezza di tutti, raggiungevano accorate, le estreme profondità dei cuori, le misteriose lontananze delle stelle. L’opera lirica era una passione quasi sportiva. I loggioni si gremivano, nei palchi brillavano, assieme ai loro gioielli, molti fra i nomi più belli d’Italia: Landi, Casati, Confalonieri, Douglias-Scotti da Vigoleno, Della Somaglia Marazzani, Volpe Landi, Caracciolo, Malvicini, Nasalli-Rocca, Barattieri, Cigala-Filgosi, Fogliani, Sforza, Trissino da Lodi, Pallastrelli, Pallavicini. Le carrozze a due cavalli, imbottite di raso, le lanterne di cristallo, i finimenti cifrati d’argento si avvicendavano sotto il portico dello splendido teatro Municipale, una scatola rococò bianca, azzurro ed oro, ideata da Lotario tomba.

I quartieri erano fazioni. Ogni tanto squadre di ragazzi che li rappresentavano facevan la sassaiola. Allora bisognava chiudere le persiane. “State attenti alle biciclette- ammonivano le mamme”. Nelle vie secondarie l’erba cresceva di sasso in sasso; la banda suonava in Piazza e per Ferragosto si facevano i fuochi artificiali.

l'uscita delle bottonaie-2

Gli articoli per regali sicuri gli aveva Nastrucci. Il gioielliere fine era Amadori. Il pasticcere di classe Damino Grandi, il maggior fiorista Zucconi, il fotografo di grido Gregori (ne tratteremo ndr.), il farmacista tradizionale Corvi. Un vero cappello lo creava la Pallaroni, un abito charmant la Verdini; le scarpe Piendivalle. Un uomo chic non poteva fornirsi di camicie che da Neri Colombo, La signora esigente di tessuti da Zanetti. Andando su e giù anche tre volte per il Corso, alla domenica, da via nova a via Milano insieme con la madre, la ragazza spesso trovava marito. La sosta era al Bar Italia, con quei bei vestiti di seta, crespo, velo.

L’hotel San Marco poteva considerarsi internazionale: vi correvano gli ultimi soldi di molti antichi signori ed i primi soldi nati con la guerra, ma i bei palazzi erano sempre dei conti, marchesi e duchi di cui portavano da secoli il nome. Poi i bottoni cominciarono a diventare galatite, i cavalli dei motori. Altre industrie sorsero, languirono le vecchie. Nuovi nomi sostituirono gli antichi. Il wauxall non è più nulla, tratti di mura cadono, la città si allarga. Nella memoria, come un medaglione, la generazione che ora ha i capelli grigi porta in sé un ricordo: una miniatura intorno alla quale, a cornice, stridono pazze le rondini che oscuravano l’aria intorno al Palazzo Farnese generoso di buchi ed anfratti per i loro nidi europei che ora lasciano pressoché deserti perché gli insetti (il loro pasto) li distrugge il micidiale D.D.T”.

La Piacenza del primo Novecento nelle descrizioni di Giana Anguissola

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