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Piacenza, una storia per volta

Piacenza, una storia per volta

A cura di Giuseppe Romagnoli

Via Colombo

Quando via Colombo era l’operoso sobborgo dei Molini degli Orti

Gli abitanti della zona però non hanno passivamente subito il grande fiume di motori che scorre incessantemente davanti alle loro case, ne sono emigrati in altri rioni della città, ma hanno adottato la tattica della reazione laboriosa, sfruttando al massimo la caratteristica negativa del grande, continuo, traffico

Prima di rituffarci nell’entro mura (S. Agnese, Strà ‘Lvà, centro storico, non vi abbiamo dimenticato…), compiamo una lieve deviazione in una zona oggi completamente inglobata nella città, ma che nei primi del ‘900 era ancora caratterizzata da un paesaggio semirurale, ovvero i Molini degli Orti.

Pare così si chiamasse perché anticamente, situati sulle rive di un grande canale (probabilmente il Rifiuto), erano in funzione degli autentici mulini, quasi un paesaggio olandese situato appena fuori le porte della città.

I più anziani ricordavano ancora il verde dei numerosi orti che qui lussureggiavano più che altrove, il grande canale Rifiuto (oggi completamente coperto ma che si intravede nella vecchia cartolina pubblicitaria) proveniente dalla zona della Corneliana che portava il suo corso d’acqua verso il Po e permetteva l’irrigazione costante delle aree coltivate. Fino a non moltissimi anni fa, le sue rive erano ricoperte da foltissime macchie di robinie, di sambuchi, di more entro cui i monelli del sobborgo si lanciavano in giochi sfrenati.

Ed è proprio il Rifiuto, toponomasticamente, a segnare il limite iniziale della nostra zona, escludendo i magazzini della ex latteria Aurora ed il mercato della frutta.

I Molini degli Orti si chiamano ora via Cristoforo Colombo e strade adiacenti (Respighi, Trento, Trieste ecc): è questo il punto cittadino più battuto dal traffico, attraversato com’è dalla via Emilia, perpetuamente rumoreggiante di macchine e di grandi automezzi.

Gli abitanti della zona però non hanno passivamente subito il grande fiume di motori che scorre incessantemente davanti alle loro case, ne sono emigrati in altri rioni della città, ma hanno adottato la tattica della reazione laboriosa, sfruttando al massimo la caratteristica negativa del grande, continuo, traffico. Sono così sorti, nel giro di pochi anni, l’uno vicino all’altro, alberghi, ristoranti, caffè, garages, autorimesse, negozi. Quasi tutta l’economia dei Molini degli Orti si è adeguata a questa intensa vita ed accanto ai servizi legati alla struttura dei trasporti, sono sbocciate fiorenti attività artigiane. Un sobborgo dunque inquadrato in un’attività economica dinamica, potenzialmente evidenziata già negli anni Trenta.

Fuori Porta Cavallotti si svilupparono tra il 1920 ed il ’30 numerose attività destinate a svolgere un essenziale ruolo nella vita economica della città. Primo in ordine di importanza il Consorzio Agrario la cui data di nascita risale addirittura il 10 aprile 1892 quando a Piacenza (nell’attuale Palazzo Galli fulcro, ohimè unico, della cultura cittadina), veniva costituita la Federazione italiana dei Consorzi agrari, fusione di un movimento cooperativo a carattere agricolo imperniato sul rinnovamento delle attività delle aziende agrarie ed il mutamento delle condizioni sociali del mondo rurale. Mancando una specifica azione statale, si volle promuovere la cultura agraria diffondendo l’istruzione professionale e potenziando le varie coltivazioni attraverso un razionale piano di sviluppo.

Il primo organico complesso sorse negli anni Trenta sull’area precedentemente occupata dalle Officine meccaniche piacentine specializzate nella costruzione di carri ferroviari. In breve tempo sorsero magazzini, silos per la conservazione del grano (ammasso), un impianto per la fabbricazione dell’acido solforico, reparti per la macinazione e l’impasto del perfosfato per la produzione di concimi.

Questa sede che subito operò incisivamente nella realtà economica piacentina, creando numerosi posti di lavoro, venne distrutta dai bombardamenti il 1° ottobre 1944. Quel giorno caddero non meno di 200 bombe di grosso calibro che rasero al suolo i fabbricati e svilupparono un incendio che completò l’opera devastatrice.

Per buona sorte era di domenica ed erano assenti gli oltre 200 operai; terminato il conflitto, il Consorzio fu rapidamente ricostruito nella veste e nelle strutture che ancora si vedono e che entreranno in un piano organico di razionalizzazione urbanistica imponente nei prossimi anni; ma una parte è ancora attiva.

Di non minore importanza fu la costruzione del mercato ortofrutticolo avvenuta negli anni 1934/35. Fin dall’alba un traffico incessante di carri proveniente dalla campagna riversava tonnellate di frutta e verdura che veniva allineata sui banchi per essere acquistata dai dettaglianti delle varie borgate della città. Ci piace immaginare la Babele di voci concitate nelle contrattazioni, i fruttivendoli che osservavano, toccavano la merce esposta sugli scaffali, l’odore acuto delle cipolle, delle zucche, dei pomodori, dell’aglio.

I facchini terminata la loro opera, andavano a ristorarsi nelle numerose osterie della zona con una “picùla ‘d caval” e qualche bicchiere di vino rosso, mentre i carrettieri ripartivano per trasportare nuova merce a destinazione. Erano assai numerosi nella zona: la presenza del Consorzio e del Mercato offriva lavoro in abbondanza. Molti erano concentrati nella piazzetta Barrozzieri, in via Scalabrini nel “Purtunass”, vicino  al Macello (ne tratteremo).

I loro nomi erano notissimi nella memoria dei più anziani: Boiardi, Calamari, Chiesa, Dallavalle parenti dei noti “Magròn” di Porta Galera, “Miotu” Barbieri, “Palarèi” Biselli, i Fracchioni che avevano l’appalto del servizio postale. Alcuni di loro non si limitavano al servizio in città, ma percorrevano anche lunghe distanze, specialmente quando si recavano in Piemonte per trasportare tini di vino acquistate da locande cittadine, soprattutto i Montbaruff.

Ma l’elenco delle attività economiche della zona dei Molini degli Orti non si esaurisce certo qui: non possiamo trascurare la fabbrica di materiale edilizio di Emilio Micheli, le Vetrerie riunite dei fratelli Vigorelli, lo stabilimento tipografico “L’arte bodoniana” di Lorenzo Rinfreschi, gli stabilimenti di Ferdinando Auricchio e di Domenico Amendolara, specializzati nella produzione di formaggi come provole, scamorze, mozzarelle, caciocavallo e provolone, prodotti allora tipici dell’Italia meridionale. Gli Amendolara giunsero infatti a Piacernza attorno agli anni ’30 da Gravina in provincia di Bari ed iniziarono la loro attività prima in casa Boiardi, e subito dopo in casa Roncaglia, in via Trento.
(Fine prima puntata)

Quando via Colombo era l’operoso sobborgo dei Molini degli Orti

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