Alzheimer Day, in Italia in 700mila colpiti dalla malattia
Fattori di rischio: genetica, età avanzata, traumi cranici ripetuti, malattie vascolari, stile di vita scorretto, ipertensione, diabete, obesità, e inquinanti atmosferici
Il 21 settembre ricorre la giornata mondiale della malattia di Alzheimer, istituita nel 1994 dall'OMS e dall'Alzheimer 's Disease International (ADI) con l'obiettivo di informare e sensibilizzare l'opinione pubblica su una delle patologie più invalidanti e drammatiche. L'OMS riporta stime di crescita allarmanti: in Italia, sono circa 700.000 le persone con demenza di Alzheimer, secondo l'Osservatorio dell'Istituto Superiore di Sanità e, da alcune proiezioni, i casi potrebbero triplicare nei prossimi anni. La malattia prende il nome da Alois Alzheimer, neurologo tedesco che nel 1907 descrisse i sintomi e gli aspetti neuropatologici. All'esame autoptico, egli evidenziò la presenza di agglomerati, poi definiti placche amiloidi e di fasci di fibre aggrovigliate: i viluppi neurofibrillari.
Il 14 maggio 2019, l'OMS ha pubblicato le linee guida "Risk reduction of cognitive decline and dementia" le quali pongono l'attenzione sul concetto di prevenzione della malattia, sostenendo, come l'attività fisica e l'adozione di uno stile di vita sano, rappresentino importanti strategie per evitare il rischio di decadimento cognitivo nella popolazione generale.
Fattori di rischio oltre alla età avanzata, comprendono: la storia familiare, traumi cranici ripetuti, malattie vascolari ed uno stile di vita scorretto (fumo, alcol, scarsa attività fisica, alimentazione non equilibrata), alcune malattie (ipertensione, diabete, obesità, depressione, ipercolesterolemia), tutti possono essere implicati nella insorgenza della malattia.
Questa patologia colpisce soprattutto gli over 65 e per la maggior parte si tratta di donne (73,9%) tra i 75 e gli 84 anni, ma nel 5% compare tra i 40-60 anni.
Il 60% delle forme ad esordio precoce sono denominate familiari ed il 15% di esse è causato dalla presenza di mutazioni genetiche, trasmesse con modalità autosomica dominante. Le mutazioni riguardano i geni: presenilina - 1 (PSN-1), presenilina - 2 (PSN-2) e la proteina precursore di beta amiloide (APP). In età più avanzata è stato identificato il gene APOE (localizzato sul cromosoma 19) ed una variante, l'APOE 4, comporta un rischio maggiore, ma non è certo che in futuro sviluppi la malattia.
Studi di ricerca scientifica dimostrano una correlazione tra l'esposizione all'inquinamento atmosferico (ossidi di azoto, polveri sottili, pesticidi) e la frequenza di demenze. Le polveri sottili (PM 2,5), per le loro minime dimensioni, sono in grado di attraversare la barriera emato - encefalica, provocando infiammazione dei neuroni e stress ossidativo. Nell'Alzheimer, il fenomeno facilita la produzione della proteina B-amiloide, associata alla malattia.
Il sintomo precoce è la difficoltà a ricordare informazioni apprese di recente; i pazienti avvertono difficoltà nel trovare le parole giuste, fare i calcoli, riuscire a recarsi in un posto conosciuto, nella lettura, nella espressione scritta e orale.
Nella fase intermedia della malattia si manifesta una progressiva perdita di autonomia, ansia, panico, deliri e allucinazioni.
L'avanzare della malattia provoca sintomi sempre più gravi: disorientamento, cambiamenti di umore e di comportamento, confusione su eventi, tempi e luoghi, sospetti infondati relativi a famiglia, amici e persone che assistono, una più grave perdita di memoria, difficoltà nel parlare, deglutire e comunicare.
Il paziente necessita di una terapia farmacologica, ma anche psicologica relazionale.
Gli attuali trattamenti non riescono ad arrestare la progressione, ma possono rallentare temporaneamente il peggioramento dei sintomi e migliorare la qualità di vita.
Farmaci inibitori dell'acetilcolinesterasi, un enzima che distrugge l'acetilcolina, il neurotrasmettitore carente nel cervello dei malati di Alzheimer, possono limitare l'aggravarsi dei sintomi per alcuni mesi.
Farmaci che agiscono sul sistema glutammatergico, sono indicati per rallentare il deterioramento cognitivo: Memantina.
Le placche e i grovigli sono le principali sospettate nella distruzione delle cellule nervose.
Le placche sono depositi di un frammento di proteina chiamata "beta amiloide" che si accumula negli spazi tra le cellule nervose, mentre i grovigli sono fibre contorte di un'altra proteina chiamata "tau" che si accumula all'interno delle cellule.
Anche se la maggior parte delle persone sviluppa alcune placche e grovigli con l'età avanzata, chi soffre di Alzheimer tende a svilupparne molti di più.
Molti esperti ritengono che essi abbiano un ruolo fondamentale nel bloccare la comunicazione tra le cellule nervose e nell'ostacolare i processi dei quali le cellule hanno bisogno per sopravvivere.
Sono la distruzione e la morte delle cellule nervose che provocano mancanza di memoria, cambiamenti di personalità ed altri sintomi. Nei pazienti affetti da Alzheimer, si osserva una perdita di cellule nervose nelle aree cerebrali vitali per la memoria e per altre funzioni cognitive.
La diagnosi si avvale di una serie di esami clinici e di laboratorio per poter escludere altre patologie.
E' possibile osservare le placche tramite tecniche di imaging del cervello. La PET (Tomografia ad emissione di positroni ) cerebrale con Fluorodesossiglucosio (FDG-Pet), una tecnica di neuroimmagini funzionali che permette di evidenziare l'attività metabolica cerebrale, è in grado di rivelare se il deficit cognitivo sia dovuto alla malattia di Alzheimer.