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Esse come sicurezza

Esse come sicurezza

A cura di Siap (Sindacato italiano appartenenti polizia) di Piacenza

I violenti manifestanti che restano impuniti e impunibili

Durante lo scontro, eccoli là pronti alla ricerca di scene "interessanti" da immortalare, che facciano notizia, da usare anche per far pubblicità ad un fotografo qualunque e mettere in secondo ordine un intero servizio ben organizzato

Cassonetti ribaltati, segnali stradali divelti, lancio di bottiglie, lancio di pietre, lancio di petardi, calci, sputi, pugni, insulti, bastonate, spranghe di ferro addosso, incendi: tutti lì, insieme appassionatamente, tutti lì a lanciare e coprire e spalleggiare chi lo fa... Poi, finalmente per i manifestanti, arriva la carica. E già, finalmente per i manifestanti, perché è questo che vogliono: lo scontro da arena. Uno scontro inevitabile, cercato, voluto. Durante lo scontro, eccoli là pronti alla ricerca di scene “interessanti” da immortalare, che facciano notizia, da usare anche per far pubblicità ad un fotografo qualunque e mettere in secondo ordine un intero servizio ben organizzato.

Se ne vedono migliaia e migliaia, si vedono “banditi” mascherati che lanciano di tutto contro gli agenti, si vedono calci e pietre lanciate che fanno male. Un ragazzo perde la mano, ma la notizia la si racconta in diverse salse. Perde la mano per colpa di un petardo che forse ha tenuto troppo in mano al fine di lanciarlo all’ultimo momento per cercare la detonazione prima che la bomba carta colpisca per terra con lo scopo evidente a far male davvero. Tensioni forti, colleghi che vedi cadere, uomini dello Stato maltrattati, picchiati, derisi, insultati...

Poi, finalmente arriva la foto o filmato che cercavano ed ecco come tutto quello sopra descritto, di colpo viene dimenticato. Un agente, che non sto qua a difendere perché certo è che ha sbagliato e subirà le giuste conseguenze - anche se i manifestanti diranno di no – calpesta una manifestante che non stava là per caso, e l’attenzione si pone tutta su quell’episodio che in una “guerra”, anche se sbagliato, può succedere e molto probabilmente è quello che i manifestanti, insieme al fotografo, cercano.

Agente che si è consegnato spontaneamente. Cercano lo scontro, cercano la rissa, sono violenti e spietati, e poi una singola azione  ruba la scena su tutto, anche su cose ben più drammatiche, con la conseguente pubblicità di chi ha fatto lo scatto. E le rivendicazioni? Sparite! Che gli frega del lavoro, della casa, dei giovani, dei diritti democratici? Nulla, a loro interessa poter far di tutto per poi, in tutta quella confusione, trovare una mezza scena e continuare la strumentalizzazione su una  guerra da loro voluta. Poco gli importa delle famiglie italiane che stanno passando momenti drammatici grazie ad una crisi che molto probabilmente non tocca le famiglie di questi “figli di papà” ai quali del lavoro poco importa.

Adesso il collega che ha sbagliato pagherà, come giusto che sia, e nessuno lo sta difendendo anche se c’è da tenere in considerazione lo stato in cui è stata avvenuta l'azione, in un ambiente lavorativo dove nessuno ti insegna a gestire lo stress. E tutti quelli che hanno usato violenza molto più efferata del collega? Che hanno menato un uomo dello Stato? Che hanno distrutto una città?  Che importa, oramai i poliziotti sono là per farsi menare, attenti a reagire, per far sbollire la rabbia mentre lo Stato sta là a guardare inerme e il fotografo di turno diventa famoso!

In questo Paese dove si cercano le giuste responsabilità su tutti come poliziotti, magistrati, politici, dirigenti: ci sono i violenti manifestanti che restano impuniti e impunibili.

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