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Cronaca

Condannati i quattro indiani che uccisero il "caporale"

Per tutti 10 anni e 8 mesi di reclusione. Accusati di omicidio volontario, avevano strangolato un 34enne e lo avevano gettato chiuso in un sacco nel Trebbia: «Ci tratteneva il denaro e minacciava di stuprare e uccidere le nostre mogli»

Dieci anni e 8 mesi di carcere per aver ucciso l’uomo che, secondo loro, gli tratteneva i soldi e li minacciava di far del male alle loro famiglie. Si è concluso l'11 luglio, davanti al giudice per l’udienza preliminare Adele Savastano, il processo che vedeva imputati di omicidio volontario (ma senza aggravanti) quattro indiani. Il pubblico ministero Emilio Pisante aveva chiesto 12 anni, ma aveva anche chiesto di concedere alcune attenuanti (poi riconosciute dal giudice). Il quartetto era accusato di aver ucciso Jagtar Singh, connazionale di 34 anni, il 27 agosto del 2016. L’uomo sarebbe prima stato strangolato, poi rinchiuso in un sacco di plastica e gettato, dal ponte di Tuna, nel greto del Trebbia. Alla moglie, che si era costituita parte civile con l’avvocato Vera Sala, di Reggio Emilia, il giudice ha riconosciuto un risarcimento di 100mila euro.

La vittima, secondo il racconto dei quattro - Kanwaljit Singh di 33 anni, Jagroop Singh di 29 anni, Daljeet Singh di 35 anni e Jagmohan Singh di 33 anni - avrebbe trattenuto le buste paga o dato ad alcuni di loro una parte del denaro che gli spettava. Assunti regolarmente come addetti alle stalle (lavoravano in un’azienda agricola vicino a Gossolengo) non venivano pagati direttamente. Il datore di lavoro consegnava le buste a Jagtar Singh, il quale decideva chi e quanto pagare. Insomma, una sorta di caporale. Un uomo duro che, secondo quanto emerso dal processo, avrebbe detto ai quattro di stare zitti altrimenti lui sarebbe tornato in India e avrebbe stuprato le loro mogli o ucciso le loro sorelle. In un anno, secondo le indagini dei carabinieri del Nucleo investigativo e di Rivergaro, Jagtar avrebbe raccolto circa 100mila euro.

Al termine del processo i quattro sono tornati nelle loro celle alle Novate, senza particolari emozioni. Molto religiosi, i “bergamini” hanno pregato al termine della sentenza, dopo che un interprete aveva spiegato loro le fasi del processo e la sentenza. Jagroop e Daljeet sono stati difesi dall’avvocato Silvia Preda, Jagmohan da Fabio Leggi e Kanwaljit dal legale cremonese Paolo Bogiani. Gli avvocati attenderanno di leggere le motivazioni della sentenza prima di avanzare un ricorso in Appello.

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