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Cronaca

Crac Dorini, chiesto il giudizio immediato per padre e figlio

Verso la fine una parte della maxi inchiesta finanziaria che ha visto il coinvolgimento della Dia di Genova. Altri chiedono di patteggiare e la procura accetta: atteggiamento collaborativo. Angelo Dorini nel 2013 si rese conto del disastro: «abbiamo preso per il c…troppa gente, se ne sono accorti…»

Una parte della maxi inchiesta sul crack Dorini è in dirittura di arrivo. La procura, infatti, ha chiesto il giudizio immediato - cioè senza passare per il giudice per l’indagine preliminare, la procura lo chiede quando ritiene di aver in mano tutte le prove per un processo - per Angelo Dorini il 67enne titolare dell’omonimo impero con società immobiliari e, all’epoca, concessionario della Volvo Truck in Italia, e per il figlio Pierangelo. Alla procura, inoltre, hanno proposto, tra gli altri, il patteggiamento - il gip deciderà lunedì prossimo - il commercialista spezzino Vittorio Petricciola, Giuseppe Fago, e le altre teste di legno spezzine, e Gian Marco Govi, dipendente di Dorini a conoscenza di tutti i movimenti finanziari del gruppo. La procura ha accettato le proposte di patteggiamento, in considerazione dell’atteggiamento collaborativo tenuto dagli indagati. Attualmente, rimangono in custodia cautelare Pierangelo Dorini (figlio di Angelo) il commercialista Vittorio Petricciola, il prestanome Roberto Piras e il romeno Adrian Moraru. Per tutti, le accuse sono di bancarotta, riciclaggio e trasferimento fraudolento di beni. Accuse pesanti e anche imponenti. Basti pensare che il solo Angelo Dorini deve rispondere di 35 capi di imputazione, legati al turbinio di società vendute, riacquistate da prestanome o fallite.

MAXI OPERAZIONE - “Grecale Ligure”, la più grande operazione finanziaria mai svolta a Piacenza e con un respiro nazionale, coordinata dal sostituto procuratore Roberto Fontana, aveva visto scendere in campo anche la Dia (direzione antimafia) di Genova. L’indagine, durata oltre un anno, conclusa alla fine di agosto, aveva portato all’arresto di 8 persone (tra cui la famiglia Dorini, padre, madre e figlio) e 14 denunce. Otto mesi di intercettazioni della Dia, 90 uomini impiegati il giorno degli arresti, e consulenze affidate all’università Bocconi di Milano, danno l’idea di un impianto investigativo di alto livello. Al Gruppo piacentino sono stati sequestrati beni per circa 150 milioni euro, tra cui 140 immobili. Tutti i beni - società e immobili - e il patrimonio restano sequestrati. Al processo, inoltre, la situazione potrebbe aggravarsi perché, in caso di condanna, si potrebbe arrivare alla confisca, come previsto dalle norme antimafia per il reato di distrazione fraudolenta di beni.

LE ACCUSE - Dorini, secondo le indagini, avrebbe voluto aggirare i creditori insinuati al passivo delle varie società per circa 60 milioni, oltre che portare al sicuro 100 milioni di beni. Secondo le accuse, attraverso un complesso giro di trasferimenti di società a prestanome, il meccanismo avrebbe consentito a ditte in difficoltà di creare all’estero una nuova società con tutti i beni. Una mossa che avrebbe evitato il fallimento e tolto la possibilità ai creditori di rifarsi. In particolare, il Gruppo Dorini avrebbe dovuto spostarsi in Bulgaria, ma la procura è intervenuta prima che l’ultimo passaggio potesse realizzarsi. Gli ideatori del sistema, secondo la procura, avevano creato un pacchetto “chiavi in mano” per permettere a chi era in difficoltà di poter sparire dalla circolazione, salvando il proprio capitale. Il romeno Moraru, arrestato alla fine di novembre, si occupava di eseguire le attività operative in Bulgaria, tra le quali l’apertura di uffici, gestione di movimentazioni finanziarie, coordinamento con i professionisti bulgari e di attività di collegamento tra Italia e Bulgaria, come il trasferimento di documentazione contabile e l’accompagnamento di altri soggetti coinvolti nelle condotte distrattive. Il sistema stava per essere “venduto” ad altre aziende in difficoltà e i professionisti coinvolti - commercialisti e avvocati - si sono avvalsi anche di Piras, una persona coinvolta con la ‘ndrangheta. E l’inchiesta è partita proprio da Piras, su cui la Dda genovese aveva acceso i riflettori e lo stava seguendo con intercettazioni.

PRESA DI COSCIENZA - Dorini, secondo le indagini, avrebbe cominciato nel 2013 un’opera di svuotamento a partire dalla società principale Partecipazione (Dan Ang fino al 2013) fino alle altre, tutte poi dichiarate fallite dal Tribunale. L’obiettivo era quello di lasciare i creditori all’asciutto e, attraverso nuove società intestate a prestanome, trasferirle poi all’estero. A fornire a Dorini il know how erano l’avvocato Pierpaolo Zambella e il commercialista Petricciola, entrambi di La Spezia, con uno dei promotori del sodalizio, Piras. Che la situazione stesse precipitando e che il comportamento messo in atto fosse spregiudicato era chiaro nell’agosto 2015, quando in una intercettazione della Dda, negli uffici di una società, Angelo dice al figlio: «…di debiti ne abbiam seminato in tutto il mondo, tutto il mondo, non abbiamo pagato neanche un euro, nessuno (segue una bestemmia) adesso saranno mica tutti stupidi? non credere che finisca bene la storia, altro che barometri, altro che tsunami che arriva…». Ancora Angelo, in altre intercettazioni sempre in agosto: «abbiamo fatto e continuiamo a fare delle cose da maiali …»; «li abbiamo presi per il culo troppo la gente, hanno ragione, se ne sono accorti hanno visto …».

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