Ecco perché le polveri fini sono emergenza ambientale e un grande pericolo per la salute
Nel 2013, in Europa, 467mila morti precoci, in Italia 66.300 vittime, causa le polveri sottili. Il bilancio è stato comunicato il 23 novembre 2016 dall'Agenzia Europea dell'Ambiente che ha condotto studi in 41 Paesi europei e oltre 400 città, tra il 2000 ed il 2014. L'inquinamento atmosferico è stato da tempo considerato fattore di rischio per l'insorgenza di malattie neoplastiche, dell'apparato respiratorio e cardiovascolare. Maggiori evidenze emergono sulla correlazione tra l'esposizione a fattori inquinanti e mortalità per cause cardiache, ma accanto a questi studi di tipo epidemiologico, numerosi altri sono stati condotti per cercare di chiarire i meccanismi fisiopatologici coinvolti. E' stato così possibile documentare come l'esposizione agli inquinanti atmosferici sia in grado di determinare un aumento dello stress ossidativo e degli indici infiammatori, l'induzione di uno stato pro-coagulante e una disfunzione del sistema neurovegetativo. Tutte condizioni, che possono correlarsi alla insorgenza di complicanze di tipo cardiovascolare.
Recentemente, l'attenzione si è rivolta all'inquinamento atmosferico, quale fattore scatenante di infarto miocardico acuto, con osservazioni che suggeriscono un reale collegamento tra l'esposizione a sostanze atmosferiche inquinanti e un evento coronarico acuto. Il particolato atmosferico è costituito da una mistura di particelle solide e liquide (Particulate Matter, PM) sospese nell'aria. Le particelle primarie sono emesse direttamente nell'atmosfera, come i prodotti della combustione dei motori diesel, mentre le particelle secondarie sono create attraverso la trasformazione fisico-chimica dei gas da parte dei raggi utravioletti; ad esempio, i nitrati e i solfati vengono formati dall'acido nitrico e dal diossido di zolfo. Anche se migliaia possono essere i costituenti del particolato, i più comuni sono: i nitrati, i solfati, gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), materiale biologico (pollini, batteri, virus, endotossine), il ferro, il nichel, il rame, lo zinco, il piombo, il manganese e il vanadio.
Il PM10, presenta una tossicità intrinseca che viene amplificata dalla capacità del particolato di assorbire sostanze gassose come gli IPA ( idrocarburi policiclici aromatici), potenti agenti cancerogeni. Il PM 10, materiale particolato, rappresenta insieme ai gas ad effetto serra, una grande emergenza ambientale per la comunità internazionale, soprattutto per l'Italia che ha caratteristiche meteo climatiche non favorevoli alla dispersione degli inquinanti e quindi, a migliorare la qualità dell'aria. Le dimensioni ridotte permettono alle particelle di rimanere sospese in aria, per lunghi periodi, da qualche ora a qualche settimana e possono essere trasportate per distanze lunghe fino a centinaia di chilometri. Ciò conferisce all'inquinamento da PM10 la caratteristica di poterle trasportare in Paesi diversi da quelli di produzione.
Risultano particolarmente suscettibili agli effetti delle polveri atmosferiche gli anziani ed i malati cardiovascolari e polmonari. Neonati e bambini possono essere particolarmente a rischio per crisi di asma bronchiale. E' dagli anni '90 in poi che sono stati avviati numerosissimi studi osservazionali di tipo prospettico e recentemente, con sistemi che hanno utilizzato la metodica del “case-crossover”, che aiuta, cioè a discriminare tra gli effetti legati alla esposizione acuta e quelli legati ad una esposizione cronica agli inquinanti atmosferici. Oggi, l'attenzione si è incentrata sull'inquinamento da particolato, come possibile specifico “trigger” di infarto miocardico acuto e la revisione della letteratura evidenzia, in maniera inequivocabile una associazione tra l'esposizione all'inquinamento atmosferico, sia di breve durata che cronica e l'insorgenza di malattie cardiovascolari, con particolare riguardo alla cardiopatia ischemica. La conoscenza, sempre più approfondita, anche se ancora incompleta degli effetti biologici degli inquinanti atmosferici e dei possibili meccanismi patogenetici indotti, rende ancora più plausibile tale correlazione.
Le principali fonti di PM10 sono sorgenti legate all’attività dell'uomo: processi di combustione, tra cui quelli che avvengono nei motori a scoppio, negli impianti di riscaldamento, in molte attività attività agricole (combustione di residui vegetali agricoli e forestali) e industriali, negli inceneritori e nelle centrali termoelettriche, usura di pneumatici, freni ed asfalto; sorgenti naturali: l'erosione del suolo, gli incendi boschivi, le eruzioni vulcaniche, la dispersione di pollini, il sale marino. L'incenerimento dei rifiuti porta a una quantità enorme di nanoparticolato e gli impianti più recenti di incenerimento, funzionano a temperature maggiori, rispetto a quelle del passato, originando polveri più fini e quindi, più aggressive. Al momento, non esistono filtri in grado di bloccare particelle di diametro inferiore a 0,2 micrometri (200 nanometri) e gli strumenti di misura comunemente usati per le polveri non sono in grado di rilevare tali nanopolveri, essendo necessari strumenti basati su tecniche di rilevamento differenti (es. microscopia elettronica a trasmissione). Le nanoparticelle navigano nel corpo e colpiscono soprattutto i cardiopatici. Le diossine sono gli agenti inquinanti più conosciuti prodotti dagli inceneritori e sono causa di una quantità di problemi di salute pubblica, incluso il cancro, danni al sistema immunitario, problemi riproduttivi e legati allo sviluppo. Per tutto il mondo, gli inceneritori sono la fonte primaria di diossina. Il sistema di incenerimento dei rifiuti è anche causa dell'inquinamento da mercurio, una potente neurotossina che indebolisce le funzioni motorie, sensitive e cognitive e anche di altri metalli pesanti, inquinanti, come: piombo, cadmio, arsenico e cromo. Le ceneri prodotte da un impianto di incenerimento sono altamente pericolose, ma spesso scarsamente regolate a livello normativo. I nuovi inceneritori riducono le emissioni delle particelle PM10, quelle monitorate per legge, ma non le nanoparticelle, in particolare le PM 0,1 che sfuggono sia ai filtri che ai normali strumenti di misurazione.