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Cronaca

Espulsi dal centro islamico: «Serve una svolta prima che la situazione degeneri»

Espulsioni e tensioni nella comunità islamica. E' tutto fermo al 2 agosto 2016, giorno dell'ultimo incontro tra le due parti. I dissidenti: «Chiediamo alla Prefettura di agire per sbloccare una situazione ormai intollerabile. Ci sentiamo presi in giro»

Espulsioni e tensioni nella comunità islamica. E' tutto fermo al 2 agosto 2016, giorno in cui in Prefettura i vertici dell'associazione islamica avevano incontrato il gruppo di dissidenti per cercare di trovare un accordo, davanti alle autorità e alle forze dell'ordine, che li potesse reintegrare dopo mesi di denunce, liti e diffide, o per lo meno cercare di ricucire uno strappo sempre più profondo. 

Il consiglio direttivo dell'associazione diretta da Yassine Baradai "ha accolto, con atto del 2 agosto, l'invito a portare all'attenzione dell'assemblea la richiesta dei soggetti espulsi dall'Associazione di avere accesso alle funzioni di preghiera programmate per ogni venerdì dalle 13 all 14 in via Caorsana. Questa richiesta verrà vagliata dell'assemblea dei soci alla prima occasione disponibile" si legge in una lettera datata 3 agosto e recapitata a uno degli otto espulsi (da sei infatti si è passati a otto ndr).  La prima occasione disponibile sarebbe stata alla fine di settembre, come aveva dichiarato al termine della riunione al palazzo del Governo, Baradai: «Abbiamo accolto questo tentativo con entusiasmo. Abbiamo discusso tanto e vedremo se il consiglio voterà per il reintegro dei sei espulsi, probabilmente a settembre».

Ma da allora a oggi pare non sia cambiato nulla, tanto che il gruppo degli espulsi ha chiesto formalmente per due volte l'intervento della Prefettura e delle forze dell'ordine per sbloccare questa situazione, che dicono, non riescono più tollerare: «Ci sentiamo presi in giro, sono passati più di tre mesi non riusciamo ad accedere al centro islamico come tutti gli altri. Nell'incontro in Prefettura il 2 agosto 2016 i rappresentanti della Comunità Islamica avevano preso l'impegno di dare una risposta positiva a questa vicenda, ma ancora oggi anche dopo il nostro sollecito del 1 settembre, nessuna risposta formale. Abbiamo chiesto che venga rispettato il nostro diritto sancito dalla Costituzione di professare liberamente la nostra fede, diritto negato dal Consiglio Direttivo perché noi, dopo aver constatato grave irregolarità sulla gestione da parte loro ci siamo rivolti alla Procura con una denuncia formale», si legge sulla missiva consegnata al palazzo di via San Giovanni il 26 settembre. 

«Chiediamo il vostro immediato intervento per risolvere questa vicenda prima che le cose prendano pieghe indesiderate. Noi siamo decisi a chiedete i nostri diritti con tutte le forme legali previste dell'ordinamento e le leggi democratiche di questo paese, perché questa non è una battaglia personale o per il potere, questa è una richiesta di democrazia, libertà di parola, diritti e noi siamo fieri di portarlo avanti anche se con tante difficoltà». Concludono. Abbiamo cercato di contattare il direttore del centro islamico, Yassine Baradai per chiedere chiarimenti in merito all'assemblea dei soci ma ha preferito non rilasciare nessuna dichiarazione. 

Questa tensione nasce anche per la mancata intesa tra le comunità islamiche e lo Stato italiano, e quando c'è un vuoto normativo, ormai è noto, ci si arrangia come si può. Di fatto nei locali delle tantissime associazioni islamiche costituite in Italia si prega, e quindi sono luoghi di culto, cioè moschee, ma all'interno vengono organizzate anche una serie di attività: corsi di arabo, lavaggio dei defunti, conferenze, attività culturali e via dicendo, praticamente come negli oratori. Ora, i fedeli, se si tiene la linea del luogo di culto, potrebbero accedervi senza problemi, ma se invece si parla di associazioni, queste possono decidere chi può entrare o no. E infatti così avviene anche in via Caorsana: per partecipare alle attività e frequentare occorre essere tesserati o essere introdotti da qualcuno.  

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