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Cronaca

Espulsioni e tensioni nella comunità islamica, in Prefettura si tenta il dialogo

La profonda frattura in seno alla vasta comunità islamica piacentina approda in Prefettura. Il questore, il governatore e l'Arma hanno voluto un incontro tra le due parti. I "dissidenti" avanzano proposte, il direttore: «Tutto dipenderà dal consiglio»

La profonda frattura in seno alla vasta comunità islamica piacentina approda in Prefettura. Il questore, il governatore e l'Arma hanno voluto un incontro tra le due parti, i "dissidenti" e i vertici dell'Associazione Islamica che gestisce il Centro di via Caorsana. Quasi tre ore di discussione e mediazione hanno portato a qualche stretta di mano e ad alcune promesse. Per ora i sei espulsi dall'Associazione non potranno ancora accedere ai locali del centro per pregare: il consiglio si riunirà a settembre e deciderà se reintegrali oppure no. I dissidenti intanto hanno avanzato alcune richieste: «A nessuno deve essere impedito l'accesso ai luoghi di preghiera (ne parla l'articolo 19 della Costituzione Italiana). Il luogo di preghiera all'interno dell'edificio dove ha sede l'Associazione Culturale è di fatto un luogo aperto al pubblico e quindi riteniamo inaccettabile il fatto che venga impedito l'access ad alcune persone, in particolare a quelle che hanno come unico torto quello di aver denunciato mancanza di trasparenza e legalità nell'amministrazione», dicono. «Chiediamo inoltre - continuano - il ripristino dello statuto che aveva proposto a suo tempo la Provincia di Piacenza e poi approvato l'assemblea dei soci. Recentemente è stato cambiato eliminando il diritto di ciascun socio di accedere alla documentazione relativa alla gestione dell'Associazione, e quindi non in linea con le direttive regionali. Vorremo che il regolamento interno sia redatto da un esperto super partes, e proponiamo nin più di due mandati per i membri del consiglio direttivo e che chi faceva parte del consiglio non possa essere eletto nel consiglio dei garanti o ricoprire altre cariche sociali. Vorremmo anche che si abbassasse la quota associativa a cifre simboliche per facilitare l'accesso a categorie più disagiate, quote rosa nel consiglio direttivo, la presenza di osservatori super partes nelle assemblee e infine chiediamo che l'imam si occupi delle questioni religiose e spirituali invece di usare la sua posizione per infangare, deligittimare le persone che in maniera civile chiedono la democrazia e regole certe». Concludono. «Abbiamo accolto questo tentativo con entusiasmo. Abbiamo discusso tanto e vedremo se il consiglio voterà per il reintegro dei sei espulsi, probabilmente a settembre». Commenta il direttore del Centro Yassine Baradai. «In queste ore di dialogo le due parti si sono impegnate a risolvere le incomprensioni per venire incontro alla richiesta di accedere ai locali pregare. Auspico una buona volontà», dichiara il prefetto Anna Palombi

LE INDAGINI - La Procura sta coordinando le indagini dei carabinieri del Nucleo Informativo che riguardano quattro vertici dell'Associazione indagati per appropriazione indebita aggravata e continuata nella gestione di fondi provenienti dal Qatar dal 2010 al 2014. L'apertura del fascicolo era arrivata dopo la querela di una decina di soci ed ex soci anche fondatori, presentata nel marzo 2016, alla procura della Repubblica, sulla gestione economica, secondo loro, non trasparente. Il gruppo di quelli che ormai comunemente vengono chiamati "dissidenti" aveva informato la stampa il 15 aprile 2016. Da quel momento la città ha saputo cosa stava succedendo, ma la tensione tra le due parti era già alta da tempo. Il 19 luglio 2016 la notizia su IlPiacenza.it dell'apertura delle indagini. Da allora ad oggi, 2 agosto, un susseguirsi di liti, denunce, il cambio di statuto, la cena con gli sceicchi del Qatar e la pubblicazione dei bilanci sul sito della Comunità. Da una parte le sei persone espulse e diffidate dall'Associazione, (che come tale può decidere chi può accedere ai locali che gestisce o no) che volevano entrare a pregare, perché di fatto il centro è anche un luogo di culto, e dall'altra la direzione dell'Associazione che non gradiva la loro presenza proprio per quanto evidentemente avevano reso pubblico e per il loro atteggiamento violento e maleducato, dicono. Questa tensione nasce anche per la mancata intesa tra le comunità islamiche e lo Stato italiano, e quando c'è un vuoto normativo, ormai è noto, ci si arrangia come si può. Di fatto nei locali delle tantissime associazioni islamiche costituite in Italia si prega, e quindi sono luoghi di culto, ma all'interno vengono organizzate anche una serie di attività: corsi di arabo, lavaggio dei defunti, conferenze, attività culturali e via dicendo, praticamente come negli oratori. Ora, i fedeli, se si tiene la linea del luogo di culto, potrebbero accedervi senza problemi, ma se invece si parla di associazioni, queste possono decidere chi può entrare o no. E infatti così avviene anche in via Caorsana: per partecipare alle attività e frequentare occorre essere tesserati o essere introdotti da qualcuno.  Solo il 1 agosto in consiglio comunale Tommaso Foti aveva dichiarato: «E' un controsenso che le istituzioni si schierino al fianco di coloro che sono indagati e non trovino un momento di ascolto per chi invece ha svelato alcuni arcani riguardo la contabilità del Centro Islamico di via Caorsana, senza la loro iniziativa non saremmo venuti a conoscenza di questa situazione». 

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