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Cronaca

Giudice annulla testamento milionario e condanna sorella e convivente del defunto: «L’hanno falsificato»

Eredità dell’assicuratore Orcesi, la sorella a 2 anni e 6 mesi e la convivente a 2 anni e 2 mesi. Il pm chiede al giudice di rinviare gli atti alla procura per indagare un medico di Cremona che aveva stilato un certificato due giorni prima che l’uomo morisse. I difensori: non ci sono le prove che le due donne abbiano partecipato alla falsificazione del documento

Sono state condannate le due donne accusate di falso in scrittura privata e falso in testamento olografo. Il giudice Ivan Borasi, pubblico ministero Matteo Centini, ha emesso la sentenza dopo l’ultima udienza, che si è svolta il 15 maggio. Ivana Orcesi è stata condannata a due anni e 6 mesi di reclusione, mentre Annamaria Bruno a due anni e 2 mesi. I difensori delle donne, rispettivamente, gli avvocati Carlo Bonino e Gianluca Russo, attenderanno di leggere le motivazioni per valutare il ricorso in appello. Il giudice, inoltre, ha disposto di rinviare gli atti alla procura, come chiesto dalla pubblica accusa, per valutare i reati di falsa testimonianza o falso certificato nei confronti di un medico di Cremona. Il camice bianco aveva stilato un certificato sulle condizioni di Orcesi due giorni prima della morte, attestando che fosse in grado di scrivere e che era lucido.

Il giudice ha anche dichiarato la falsità del testamento e stabilito che il risarcimento dei danni dovrà essere definito in sede civile. Nella precedente udienza, la pubblica accusa aveva chiesto per entrambe la condanna 3 anni e 6 mesi. I due avvocati di parte civile, Giuseppe Dametti (che assiste la bimba) ed Emanuele Solari (che difende la madre) hanno detto che «è stato confermato ciò il Tribunale aveva già evidenziato con la prima sentenza. Giustizia è fatta».

La complessa vicenda aveva visto l’allora pm Roberto Fontana contestare agli imputati la falsità del testamento che sarebbe stato redatto due giorni prima del decesso da Fausto Orcesi, un assicuratore di 63 anni ricoverato in una clinica di Cremona, di cui Bruno era la convivente. Orcesi, però, aveva avuto una relazione con una donna romena, da cui era nata una bimba. Secondo l’accusa, le donne temendo di perdere l’eredità in favore dell’erede legittimo, avrebbero organizzato un falso testamento. E in questa vicenda, lo scorso novembre è stato condannato, a 2 anni e sei mesi, per falso in testamento, un piacentino, M. M. Nel testamento, l’assicuratore nominò erede la sorella Ivana a cui lasciò un milione; l’avvocato, nominato esecutore testamentario, a cui lasciò 850mila euro e la convivente Bruno che si vide intestare la casa, la polizza assicurativa e altri titoli. Una perizia grafica e un’altra superperizia avevano affermato che non era stata la mano di Orcesi a scrivere quel testamento. Tesi opposta, invece, quella dei difensori sostenuta dai loro periti grafici.

IL PM - Movimentate le fasi prima della sentenza. Le parti civili hanno chiesto al giudice di acquisire agli atti la sentenza di condanna dell'avvocato piacentino, la sentenza della Corte di appello che rigettava la richiesta di un nuovo esame del Dna («e conferma che Fausto Orcesi è il padre della bimba») e una sentenza della Cassazione proprio sull’ammissibilità degli atti. I difensori si sono opposti riguardo la sentenza dell’avvocato, ma il giudice ha respinto la loro opposizione dicendo che la sentenza è “afferente” ai fatti e che la Cassazione afferma che si possono produrre sentenze anche se non definitive. L’avvocato Russo ha chiesto invece di acquisire il ricorso in Cassazione contro la sentenza di Appello sul Dna. Il pm Centini ha concluso sostenendo che, anche se non c’è la prova che a scrivere il testamento fosse stata Ivana Orcesi, rimane provato il concorso delle 3 persone nel falsificare il documento. Il pm poi si è rifatto alla precedente conclusione del collega Fontana con la richiesta di condanna a 3 anni e mezzo. 

LE DIFESE - L’avvocato Bonino ha escluso che Ivana Orcesi possa aver partecipato a quella falsificazione, «non c’è la prova». La perizia di parte dimostra che a scrivere fu Orcesi. Secondo il difensore, inoltre, Ivana Orcesi non conosceva l’erede del testamento - che sarebbe nata 5 mesi dopo - né i beni lasciati a Bruno. E, infine: perché produrre un falso quando lei sarebbe stata la legittima erede? Alla donna, durante l’inchiesta, venne sequestrato un milione di euro che lei aveva messo in banca e non aveva cercato di farli sparire «perché si sentiva a posto».

Per l’avvocato Russo, difensore di Bruno, il perito del giudice non ha consultato nessuno degli altri periti grafici di parte «violando così il diritto del contraddittorio. E non li ha nemmeno avvisati» che stava eseguendo una perizia grafica. Quel testamento era valido e la conclusione di falsità «è flebile». Secondo Russo, la perizia non è stata redatta dal perito, ma da qualcuno del suo studio. A domanda, il perito, infatti, non sapeva nemmeno che Ivana fosse la sorella del 63enne morto. A quel punto, il pm Centini ha chiesto di mettere a verbale le dichiarazioni del legale. Russo ha continuato affermando che Bruno compare in modo sfumato nella vicenda, e non ha partecipato ad alcuna attività: «Di cosa deve rispondere?». Il concorso morale e formale nel falso deve essere dimostrato, dice la Cassazione, con un contributo concreto e un nesso causale. Orcesi, ha continuato, in punto di morte ha saputo da quella donna avvenente - poi denunciata per estorsione - che era incinta. E per scrupolo, ha spiegato Russo, ha lasciato qualcosa alla donna di una vita tradita per una più giovane.

Al termine, i due difensori hanno chiesto l’assoluzione per le loro assistite. E’ insorto, allora, l’avvocato Solari, il quale ha ricordato che c’era stata sì una denuncia “fantasiosa”, che aveva coinvolto anche i due avvocati di parte civile, ma che il pm aveva chiesto l’archiviazione e il gip archiviò il procedimento.

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