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Cronaca

«Farai la baby sitter» e invece finisce sulla strada: 16enne si ribella e fa arrestare 9 persone

Attirata a Piacenza con la promessa di un lavoro finisce invece a prostituirsi per una banda di albanesi e romeni che gestiscono l'attività sul nostro territorio. Trova il coraggio e denuncia tutto. Le indagini dei carabinieri hanno portato all'arresto di nove persone

Ha bussato alla porta della caserma di via Beverora e in lacrime ha raccontato il dramma che stava vivendo. E' stato grazie anche alla testimonianza di una 16enne romena che i carabinieri hanno sgominato una banda dedita allo sfruttamento della prostituzione nella nostra città.

Le indagini condotte dal nucleo operativo dei carabinieri della Compagnia di Piacenza e dirette dal pm Antonio Colonna sono iniziate nel 2013 dopo il racconto della giovane e condotte parallelamente dopo l'omicidio di Omicidio al Baraonda, ascoltati due testimoni che assistettero al delitto
Saidek Haideri il 1 settembre dello stesso anno al bar Baraonda e l'omicidio di Francesco Casella avvenuto il 7 luglio del 2013, hanno portato in tutto a 14 ordinanze di custodia cautelare in carcere, 9 eseguite nei giorni scorsi. Si tratta di albanesi e romeni: uno dei destinatari si trovava già in carcere per altri reati, due sono irreperibili nel nostro territorio e quindi latitanti,  e 6, tra cui una donna, sono stati condotti alle Novate. colonna cappelleri-4

La banda aveva nei mesi preso il posto dei fratelli Donard e Mersin Uku, arrestati per l'omicidio del Baraonda, nella gestione sul nostro territorio della prostituzione. «Un'organizzazione senza scrupoli che faceva arrivare dalla Romania e dall'Albania ragazze molto giovani con la promessa di un lavoro regolare. Le donne una volta in Italia venivano collocate sulla strada e costrette a prostituirsi anche con metodi molto violenti». Fanno sapere dalla Procura dove nella mattinata del 29 maggio il procuratore della Repubblica, Salvatore Cappelleri ha illustrato l'operazione insieme ai carabinieri e al magistrato Antonio Colonna.

La ragazzina, da subito inserita in un programma di protezione, ha raccontato ai militari di essere stata ingannata con la promessa di un lavoro, avrebbe dovuto fare la babysitter al figlio di quello che poi si è rivelato lo sfruttatore. Pochi giorni dopo il suo arrivo, nell'appartamento del suo aguzzino, è stato costretta a vendersi per strada, ma ha avuto la forza di ribellarsi e di chiedere aiuto. 

Le ragazze tenute in scacco dalla banda erano circa una decina, tutte di età compresa tra i 17 e i 25 anni. Ogni componente ne gestiva due o tre, venivano portate sul posto di lavoro e costrette a incassare al giorno cifre molto alte, quasi sui mille euro. Soldi che una volta tornate nelle abitazioni che venivano loro messe a disposizione, sarebbero stati interamente sequestrati. Questo faceva sì che le giovani fossero completamente dipendenti e impotenti sulla loro vita. 

La banda aveva il pieno controllo su zone molto vaste della città: via Emilia Parmense, Montale, Caorsana, Polo Logistico, Borghetto e Pontenure e per mantenerlo non esitava a usare metodi violenti: due prostitute russe colpevoli di lavorare nel posto sbagliato sono state ferocemente picchiate. Per questo alcuni componenti dell'organizzazione sono accusati anche di lesioni aggravate.

«Il Piacentino è interessato in modo molto evidente dal fenomeno dello sfruttamento della prostituzione. E' palese che questo tipo di attività ormai lambisca il centro storico della città. Si cerca di controllarlo ma è molto difficile: tolta una banda, ce n'è già pronta un'altra» dicono in Procura. E ancora: «Le organizzazioni criminali che si occupano di questo business sono spregiudicate e pericolose,  arrivano a conquistare una zona per poi "affittarla" o rivenderla in certe fasce orarie ad altri criminali, e le singole persone spesso fanno parte di diverse bande. Per questi motivi è sempre più difficile arginare il fenomeno». Tutti gli arrestati sono accusati di sfruttamento e favoreggiamento aggravato della prostituzione, e alcuni dovranno rispondere anche di lesioni aggravate e falsificazione di documenti. 


 

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Omicidio al Baraonda, ascoltati due testimoni che assistettero al delitto
Saidek Haideri

 

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